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martedì 2 luglio 2013

SULL’ANTISPECISMO

di DANILO CARUSO

Si racconta che (in questo imitando i giainisti orientali) Giordano Bruno, durante un periodo di detenzione, invitasse un suo compagno di prigionia a non uccidere un ragno perché, credendo nella trasmigrazione delle anime, sosteneva che un corpo animale potesse ospitarne una: perciò, anche se indirettamente, si collocava in una corrente di pensiero di tangenza antispecista. L’antispecismo è oggi una posizione sostenuta da alcuni vegetariani radicali (veganisti) che richiedono il riconoscimento di diritti umani a tutto il resto del mondo animale, in primis quello alla vita. Per quanto concerne il veganismo chiunque è libero di scegliere la sua alimentazione (nella speranza che sia completa e sufficiente). Riguardo all’antispecismo l’equiparazione più o meno assoluta degli esseri senzienti sullo stesso piano del diritto non è valida: 1) la ragione ci differenzia dagli animali (questi non hanno forme di comunicazione così evolute e complesse come le nostre da dar vita a un consorzio sociale); 2) l’uomo ha grazie alle mani – cosa già sottolineata nell’antichità – un primato pratico-artigianale unico che lo distingue ulteriormente da chi ha arti (zampe) incapaci di costruire oggetti complessi (manufatti); 3) le bestie fra di loro per nutrirsi si uccidono (ciò è nella natura: non si vede il motivo per cui l’uomo non debba adeguarsi a questa legge). Tradizionalmente da secoli si mangia carne bovina, ovina, suina, etc. Non dovrebbe piacere invece che si mangi carne di cavallo perché per millenni ha servito l’umanità nobilmente. D’accordo che gli animali, esseri sensibili, vadano tutelati tra i viventi, e che certo tipo di loro inserimento nella produzione (alimentare e lavorativa) li maltratti e li sfrutti, pare però evidente, d’altro canto, che l’uomo sia al vertice della piramide ontologico-naturale e che abbia quel ruolo guida, similare ai filosofi-governanti della repubblica platonica, su tutto il resto. Se il bue tira l’aratro, il muratore costruisce la casa: ognuno dà il suo contributo, né il bue è contadino, né il muratore è architetto. Va bene che l’architetto non mangia il muratore, tuttavia chiamare “necrofagia” il cibarsi di carni animali è iperbolico: sin dalla preistoria l’uomo ha cacciato le bestie similmente a quanto queste facevano con i propri simili. È comprensibile e rispettabile il riguardo per “l’essere” in tutte le sue forme animate, ciò nonostante è razionalmente e naturalmente (avverbi sinonimi) lecito uccidere, senza far soffrire, alcuni animali per nutrirsene. Ciò non è primitivo, ma inserito nell’ordine della realtà: «sempre era ciò che era e sempre sarà (Melisso)». In tutti i confronti normali emerge un pensiero preponderante: non interessa in primis andare a uccidere gli animali per mangiarli, la preoccupazione è che le carenze alimentari possano compromettere la salute umana. Un leone non ci “penserebbe” due volte a cibarsi di noi: è possibile ucciderlo per legittima difesa? Nel modo in cui lui non diventa vegetariano – e probabilmente avrebbe problemi salutistici – è lecito all’uomo rimanere carnivoro per questioni di approvvigionamento nutrizionale? Una diversa visione dell’argomento è idealmente condivisibile, però si scontra immediatamente con aspetti di pragmatismo: la natura stessa ha insegnato a consumare carne. Ammettiamo la possibilità di un cambiamento purché ci siano le debite garanzie e questo atteggiamento di sensibilità venga accolto da una maggioranza. Il rapporto umano col mondo animale dev’essere impostato alla collaborazione per la comune sopravvivenza: noi daremmo solo prodotti vegetali alle bestie? E se ciò non bastasse, le faremmo morire? Parlando di piramide socionaturale non si allude a una dittatura: se ci fossero altri animali al nostro posto forse finirebbe come nel film “Il pianeta delle scimmie”, le parti si invertirebbero. Nella natura è un ordine, non un insieme caotico in evoluzione. I valori si desumono dal diritto naturale, e questo non rende l’esistenza animale inferiore: l’uomo è soprattutto un’altra cosa, un essere intellettualmente e spiritualmente più complesso e completo con abilità manuali nettamente superiori. Precisa Galeno: «Come l’uomo è il più sapiente dei viventi, così anche possiede le mani che sono strumenti adatti a una creatura sapiente. Non perché ebbe le mani è il più sapiente, come dice Anassagora, ma in quanto era il più sapiente ricevette le mani, come afferma Aristotele, dando un giudizio esatto della questione». Nella mentalità ci potrebbe essere quella evoluzione auspicata. Il tema della sofferenza è un tema universale, anche le piante soffrono e muoiono, non per questo rinunceremmo a segare alberi da legna. La società capitalista avanzata non ha riguardo né tutela per la natura. Una parte di flora e di fauna serve in ogni caso ancora oggi per sopravvivere. Non è da escludere che in futuro gli uomini possano fare a meno di danneggiare l’ambiente e di uccidere gli animali. Quello stesso che gli antispecisti sostengono è un segno particolare di distinzione tra la sfera umana e la sfera animale. Costoro pongono l’accento sul concetto di esistenza in maniera estensiva raggruppando tutti gli esseri animati senza grado, mentre è proprio l’aspetto intensivo a costituire la discriminante di base (mors tua vita mea). Non si danno specie all’interno della razza umana, dove i connotati somatici non indicano una misura differente di partecipazione alla ragione.