di DANILO CARUSO
Era una creatura veramente
leggiadra;
alta e snella, aveva gli occhi
grigi,
severi ed ardenti, salde e rosse
labbra
ed un bel portamento in tutta la
persona.
Robert Hugh Benson, “Lord of the World”
Accade
di rado che leggendo un romanzo distopico chi ha in mano il libro abbia
simpatia verso quella parte presentata dal suo autore come “negativa”. Siffatto
il caso della mia lettura di “Lord of the World” di Robert Hugh Benson
(1871-1914). Egli fu figlio di un Arcivescovo di Canterbury morto nel 1896. Ebbe
tre fratelli e due sorelle, un fratello e una sorella morirono precocemente.
Quelli rimasti furono degni del suo valore intellettuale. Tutti rimasero
single: il disturbo bipolare (a causa di tare paterne) e tendenze omosessuali comparivano
fra di loro. La madre già da sposata teneva una relazione con la figlia dell’Arcivescovo
di Canterbury precedente il di lei marito. Sacerdote anglicano dal 1895, alla
fine del 1903 passò al Cattolicesimo e nel 1904 ricevette il sacramento del
sacerdozio. Nel 1911 divenne cameriere segreto di san Pio X e quindi Monsignore.
Separando il fatto che Benson sia stato sospettato di aver intrattenuto un legame
omoerotico col connazionale scrittore e artista Frederick Rolfe (1860-1913; un
omosessuale cattolico il quale esternava una sua vocazione al sacerdozio e che
aveva esaltato il martirio maschile), cercherò di spiegare, per quanto concerne
il caso dell’autore di “Lord of the World” il mio modesto assenso all’ipotesi
di anomalie psichiche (puntualizzo che non considero l’omosessualità una
patologia sotto nessun profilo1: perciò parlerò di altro in termini
analitici in merito). Il racconto, pubblicato nel 1907, parla del mondo come
sarebbe nel XXI secolo. Una prima traduzione in italiano del testo (voltura di
Corrado Raspini) venne pubblicata nel 1920 da Vallecchi Editore (edizione da
cui sono tratti i brani riportati). In “Lord of the World” la Massoneria ha
prevalso in Occidente, in maniera democratica, nella direzione politica dei
popoli, portando una maggiore giustizia sociale. Sono rimasto alquanto turbato
dal fatto che, a inizio del ’900, un uomo dalle capacità intellettuali così
raffinate, quale Monsignor Benson, abbia mostrato adesione a una reazione
anti-illuministica i cui contenuti ideali sono descritti da lui nel romanzo. Egli
è misogino. Il suo alter ego narrativo è Padre (futuro cardinale) Percy
Franklin,. Robert Hugh Benson si mostra fautore della monarchia assoluta,
nonché di una teocrazia papale. Parla contro la democrazia e sostiene il
primato della stupidità di contro a studi seri. Un evento parecchio
sconcertante in “Lord of the World” è l’attentato contro un deputato comunista,
Oliver Brand (un altro protagonista del racconto). Si tratta della narrazione
di un gesto ispirato da nevrosi religiosa a opera di un cattolico durante una
manifestazione pubblica. Oliver rimane ferito, e non riporterà conseguenze. Un
sinistro alone accompagna poi le parole del Papa che istituisce il “Nuovo
Ordine del Cristo Crocifisso”, sembra di leggervi una postulazione dei principi
del terrorismo religioso. L’ultima parte dell’allocuzione papale contiene un
messaggio oscuro il quale verte sopra «il desiderio del martirio ed il
proponimento di riceverlo». Se sommiamo lo spirito di questo discorso all’attentato
di matrice religiosa menzionato, in cui lo sparatore («un cattolico» il quale
«aveva premeditato il colpo; tant’è vero la sua rivoltella fu trovata carica»)
è stato ucciso dalla folla (martirizzato),
non possiamo che restare sgomenti di fronte all’ambiguità di simili idee le
quali non di rado abbiamo visto, attraverso l’informazione dei media, presenti
nella propaganda terroristica religiosa di richiamo islamico. Simili impianti
concettuali hanno una radice ebraica comune che si esemplifica all’interno del
Tanak in un modello ideologico intollerante nei confronti di culti o forme
sociali differenti, e soprattutto, per quanto ora ci interessa, nella figura
letteraria del kamikaze Sansone. Se
il Regno di Dio assomiglia alla Roma papalina mostratasi a Padre Franklin al
suo arrivo dall’Inghilterra, c’è da guardarsi. L’Urbe appare una via di mezzo
fra una discarica di rifiuti e una colossale fogna a cielo aperto. Con tutto il
rispetto nei riguardi di uno scrittore dalle eccellenti qualità, mi domando
come Robert Hugh Benson possa essere riproposto quale esempio apologetico. A me
non pare accettabile una giustificazione che si rifugia nella circoscrizione di
limiti e difetti nel contesto di una determinata epoca. Dio non ha una verità
che si storicizza (relativismo), non ammazza, tortura in maniera orrenda
streghe, Ebrei, omosessuali, eretici, per secoli, e poi cambia idea. Monsignor Benson
parla del raggiungimento nel XXI secolo di una pacificazione mondiale, però
questa non gli va bene. Ampia si rivela la gamma di disapprovazione bensoniana
in “Lord of the World”. Benson contrappone la madre di Oliver Brand alla
moglie. Una viene conformata allo stereotipo misogino dell’anziana (e innocua)
donna con il rosario in mano. L’altra, Mabel, è una giovane di mentalità
aperta. Ella rappresenta agli occhi del suo creatore il “negativo”. Io l’ho
trovata una donna amabilissima,
una delle varie ragioni che mi fanno apprezzare “Lord of the World”, sebbene
non secondo i propositi dell’autore. Costui ha indicato i piani alternativi in
modo così nitido, in una molto bella cornice narrativa, a tal punto che basta
considerare utopia la sua distopia per incontrarci, anche se su fronti opposti.
Egli mette sulla bocca di Mabel ragionamenti agli antipodi della sua fede (la
quale, modestamente, definirei, secondo una prospettiva psicanalitica, “nevrosi
ossessiva”). Alla suocera malata ella rivolge parole sensatissime. Nella parte
centrale del romanzo l’autore affronta il tema di una forma di religiosità
pubblica e collettiva istituita dallo Stato. In virtù del modo in cui si
esprime viene spontaneo pensare alle considerazioni hegeliane in merito, dove
la liturgia viene vista come un collante sociale e uno strumento pedagogico.
Questi aspetti iniziano a emergere allorché l’apostata ex Padre Francis, prima
di illustrare lo svolgimento di un nuovo rito sostiene che «il mondo non
avrebbe potuto vivere senza un culto». A proposito di Hegel è qui il caso di
sottolineare che Benson oltre a ciò inserisce nel suo racconto due precisi
concetti hegeliani: “lo Spirito del mondo”, e “il signore del mondo” (che dà il
titolo al libro). L’hegelismo di Francis si palesa bene in quel passaggio dove
ricorda «lo Spirito del Mondo, il quale ci insegna che l’individuo non è nulla,
e che lui è tutto». Il “Weltgeist” è varie volte citato nel romanzo, in modo
generico, però con questo riferimento all’idealismo di Hegel. Infatti il
filosofo tedesco spiega qualcosa che nel romanzo già abbiamo udito da Mabel.
All’interno della singola coscienza degli esseri umani si manifesta “lo Spirito
del mondo”, il quale costituisce il loro contenitore metafisico che li
supporta. Esso è l’immagine dell’Assoluto, il quale è Dio: perciò ogni
individuo viene raggiunto attraverso il “Weltgeist” dal divino. Molto
hegeliane, e molto junghiane, altre parole di Mabel in questo colloquio a tre
con il marito. «“Eh! Caro Signore, –
ricominciò Francis – il culto implica un senso del mistero, […] il piano
fondamentale è magnifico, e, soprattutto, verace nel suo profondo significato.
[…] Un omaggio offerto alla vita nei suoi quattro aspetti. La Maternità,
corrispondente al Natale della leggenda cristiana, è la festa della famiglia,
dell’amore, della fedeltà... Poi viene la Vita stessa con i suoi fremiti
giovanili a Primavera; la Solidarietà, nel cuore dell’Estate, esprime
abbondanza, prosperità, ricchezza..., e corrisponde al Corpus Domini cattolico;
infine la Paternità, che significa procreazione, difesa, padronanza... quando l’inverno
si avvicina.” […] Mabel ad un tratto congiunse le mani, e disse con voce
sommessa: “Io penso che questo è bello, e nel medesimo tempo, vero!”. Francis
le rivolse gli occhi bruni infiammati. “Ah! Proprio così, Madama!... qui non ha
luogo la cosiddetta fede, ma la visione di fatti, sui quali non può cader
dubbio. E l’incenso palesa la vita come unica divinità, ed insieme il suo
mistero”. “Di che materia sono fatte le statue?” – domandò Oliviero. “Una
statua di pietra, per ora è impossibile; sarà provvisoriamente di argilla […].”
Mabel osservò ancora con femminile gravità [with
a soft gravity: un sottile ossimoro misogino]: “È proprio quello di cui
sentivamo bisogno! È così difficile chiarire i nostri principi senza
incorporarli in qualche cosa... Un’espressione ci vuole!... […] Non voglio dire
[…] che alcuni non possano vivere senza di questo, ma molti, certo, non possono.
L’Ideale non si può esprimere se non mediante immagini concrete che servano
come di veicolo alle aspirazioni umane...”». Nell’ultima affermazione di Mabel
emerge una triplice funzione dell’arte: 1) mezzo di espressione dell’Assoluto
(Hegel); 2) manifestazione simbolica di contenuti archetipici dell’inconscio
collettivo (Jung); 3) sprone all’attuazione, nel reale fenomenico, di principi
ideali, similmente all’ingresso delle idee artistiche (Simone Weil). Mabel è
fantastica, rappresenta il più bel personaggio di “Lord of the World”. Il
titolo dell’opera richiama una figura hegeliana della “Fenomenologia dello
Spirito”. Ciò si rivela operato da Monsignor Benson, nell’ambito creativo della
sua distopia, con la mira di polarizzare il termine dell’antagonista.
Ripercorrendo la sezione pertinente dell’opera hegeliana citata, osserviamo
come lo scrittore inglese proietti il cono antiutopico sullo «Spirito del
Mondo», il quale assume una direzione appunto in un, a suo parere, nefasto
“signore del mondo”. Costui è Julian Felsenburgh,
l’emergente politico americano, primo artefice nel successo nei dialoghi
internazionali miranti a evitare la guerra con la potenza orientale, divenuto a
metà del romanzo Presidente dell’Europa. Adesso è il momento di chiarire la
maniera in cui la figura hegeliana assuma nel racconto una coloritura
cacoutopica. Hegel, nella “Fenomenologia dello Spirito”, ha appena spiegato l’importanza
di essere cittadino-di-uno-Stato, stato che è per lui un Dio-in-terra. Il
“signore del mondo” hegeliano, a guisa di un vampiro, ha assorbito la positività degli individui divenendo totalità
rappresentativa della pluralità di singoli svuotati, i quali mantengono un
valore solo se posti in relazione inter se. Questo insieme di interrelazioni si
oppone al “signore del mondo” in modo disordinato. Tale irrequietezza è a sua
volta assunta da quest’ultimo nel suo essere un condensato astraente di quello.
Da ciò scaturisce un rapporto che può essere violento nei confronti dei
cittadini (o sudditi) poiché la coscienza non assume una forma tutelante più
ampia. Il “signore del mondo” si vede quale non plus ultra che può reprimere il
disordine. Quest’ultimo opera nella dimensione del “privato”, fuori dello
Stato. Al di là di questo ci può essere l’irrazionale. Giunti a questo punto
capiamo che la discriminante, non soltanto nell’ambito del testo bensoniano, è
l’uso della ragione. Benson è affetto da nevrosi, la quale gli impedisce di
accogliere la visione di un mondo libero ed equilibrato. Il recente culto in
“Lord of the World” porta con sé norme repressive razionali. Hanno l’obiettivo
di far comprendere e educare, non di convertire a forza a vantaggio di
formulazioni teologiche assurde. Se Mabel
è paragonabile a Diotima, Benson è un Socrate sordo: non ascolta la sua “anima”
junghiana (Mabel). Il personaggio della moglie di Oliver Brand è una proiezione
letteraria della componente psichica sessuale complementare dell’Io bensoniano.
L’“anima” fa parlare l’inconscio assoluto, il quale prospetta salutari
equilibri archetipici. Ma lo scrittore inglese rimane vittima di un negativo
complesso a tonalità affettiva (Iesus Christus), pregiudicante l’intera sua
armonia psichica per via dello schiacciamento dell’Ego sull’asse (dove si trova
la facoltà intuitiva) dell’irrazionalità (donde l’antipatia hegeliana e il
conseguente richiamo dell’“anima”)2. Se la libido non viene
maltrattata, non diviene carica energetica negativa di nevrosi. Mabel
costituisce, in senso lato, il “sogno proibito” dello scrittore inglese. Sarà
per questo che ha cercato di ucciderle il marito Oliver? Come al solito, in
casi quale il nostro, ciò che ha l’abito del “femminile” diviene “porta del
diavolo (diaboli ianua; Tertulliano)”. Nella nostra circostanza letteraria il
“femminile” in aggiunta al ruolo della sessualità ricopre quello della
“razionalità”. Tanto è l’eccesso nevrotico bensoniano che la sua anima
junghiana si fa portavoce di un profondo e ampio messaggio di richiamo tramite
la consorte di Oliver. Quando Benson in un significativo tratto del racconto
illustra le tappe del processo meditativo, della riflessione interiore di
Mabel, recatasi in un santuario, ripropone in una superba estrema sintesi il
cammino della “Fenomenologia dello Spirito” hegeliana. Questo brano, confermante l’indubitabile grandezza del personaggio di
Mabel, contiene altresì un ulteriore spunto weiliano nella sua parte iniziale,
laddove si riecheggia il concetto espresso dalla corretta traduzione di Gv 1,9:
Simone Weil ha fatto osservare che il Vangelo non sinottico dice, in detto
passaggio, che ciascun essere umano dalla nascita porta dentro di sé un’illuminazione
divina riflesso del Logos3. La seconda metà di “Lord of the World”
prosegue tutte le premesse. Le ambigue indicazioni provenute ai fedeli dalla
Chiesa assumono, volenti o nolenti, anche la veste di istigazione al fanatismo,
alla violenza e al terrorismo. Non mi voglio spingere a sostenere che la
consapevolezza di istigare sia deliberata e si traduca in una subliminale
intenzione di comunicazione sottostante alla superficie semantica, tuttavia è
indubbio che ci sono aree d’“ombra” nei discorsi papali, finestre aperte a
possibilità di azioni irrazionali. Dopo aver riscaldato gli animi non ci si può
nascondere dietro un dito; chi semina vento, raccoglie tempesta. La violenza
attira una risposta violenta. Non dimentichiamo che un fallito attentato
terroristico ha già avuto luogo prima delle istituzioni del “Nuovo Ordine del
Cristo Crocifisso” e della novità in materia di culto pubblico. È il modo in
cui viene creato il primo ad aggravare la situazione: la crociata contro lo
Stato allarma i cittadini. Ancora le parole del Papa e quello che succede a
Roma lasciano perplessi sulla bontà di direttive non chiare nel loro senso
ultimo. Arresti di fanatici, atti di violenza e di uccisione da parte di un
volgo imbestialito segnano questa fase. L’assenza di razionalità, le tentazioni
dell’“ombra” junghiana colpiscono altresì una fetta della massa. E ciò non è un
bene. Il rimedio a questo è l’hegeliano “signore del mondo”: Julian
Felsenburgh. Di fronte a un popolo siffatto non v’è alternativa. La
razionalità, la forza dell’ordine passano attraverso gli uomini, non calano
esteriormente dal cielo. Se la sociologia e la psicologia raccomandano i buoni
risultati in effetti prodotti dall’azione di Felsenburgh, pro bono pacis è un’esigenza
storica adottare un “signore del mondo” tratteggiato da Hegel. Il disordine
sociale, la morte non paiono preferibili. È chiaro che in un ambiente sociale
progredito il “signore del mondo” non debba essere «Dominus et Deus noster –
proprio come Domiziano», ma, ad esempio, come il Presidente nella V Repubblica
francese, istituzione di uno Stato libero e laico nella patria dell’Illuminismo.
Migliore si mostra il popolo, migliore sarà l’aspetto del “signore del mondo”;
al cospetto di un saggio non c’è necessità di un mikado. Però se saggezza e
conoscenza (filosofia) non impregnano la massa, accade quello che leggiamo in
“Lord of the World”. I cittadini impauriti, con iniziativa irrazionale, fuori
dello Stato, “privata”, fanno giustizia da sé, secondo modelli barbarici da
respingere. Nel racconto questi effetti hanno una causa remota nel cui
perimetro matura il peggio: la pianificazione di azioni terroristiche. Il 31
dicembre il Cardinale Franklin viene portato a conoscenza da un informatore
occasionale che a Londra «i Cattolici hanno ordito una congiura con l’intenzione
di far saltare, domani, l’Abbazia per mezzo di esplosivi». I progetti
terroristici sono scoperti e sventati ancor prima della segnalazione di cui ha
parlato nel racconto il Cardinale, e la reazione popolare è furiosa e incivile,
nuove uccisioni di cattolici turbano la quiete e reclamano un freno. Di nuovo
il manifestarsi dell’inaccettabile. La giustizia deve amministrarsi nelle aule
di tribunali ispirati al diritto naturale. Un ragionamento particolare merita
il bombardamento di Roma, quello che appare l’attacco militare a uno Stato
istigatore del terrorismo di matrice religiosa. Anche qua debbo ammettere che
il modo adottato nella risoluzione della questione non è il più bello. Mabel
rimane sconvolta da quell’insieme di accadimenti svoltisi l’ultimo dell’anno. L’amorevole
vicinanza del marito allontana in lei l’idea del suicidio e la persuade a un
metro di giudizio più comprensivo in relazione a fatti spiacevoli e tragici.
30.000 vittime, fra cui il Papa e i cardinali, a Roma, cancellata come
Cartagine. Questo evento letterario, da non imitare, colpirebbe la suscettibilità
di molti, i quali, molto probabilmente, rimarrebbero indifferenti allo sgancio
reale delle bombe atomiche sul Giappone nel 1945. Il che ci fa comprendere l’utilità
della diffusione della conoscenza storica obiettiva su larga scala, al fine di
creare negli esseri umani una sensibilità adeguata alla loro appartenenza all’umanità.
Ci può essere strada prima di giungere a una extrema ratio. Poi è il caso di
ricordare che il Dio biblico non sia molto evangelico nel momento in cui
distrugge Sodoma e Gomorra, o quando eliminava i nemici d’Israele. Il che non
vuol naturalmente rappresentare legittimazione dell’uso della violenza: un male
non ne giustifica il compimento di un altro. Lecita è la “legittima difesa”
dell’ordine costituito. Mabel passa attraverso simili e sofferte riflessioni.
Grazie a lei comprendiamo parecchio di “Lord of the World”, tra cui il
significato archetipico del “signore del mondo”. Julian Felsenburgh è
rappresentazione di una “personalità mana” junghiana, dell’archetipo dell’uomo
potente, il quale Jung definisce altresì “signore degli uomini e degli
spiriti”, “amico di Dio”. Si tratta di un archetipo maschile di valore
comunitario. In “Lord of the World” Monsignor Benson ha trasferito il mana da
Gesù Cristo a Felsenburgh. Costui è perciò una figura che si rivela sovrumana,
potente, quasi divina. Da ciò scaturiscono i termini in cui la descrive. Non
sono arbitrari, esagerati: possiedono un puntuale significato psicologico di
ascendenza junghiana nei riguardi di una massa considerabile primitiva. Ecco
qui pure il “signore del mondo” hegeliano comparire in Felsenburgh visto dall’angolatura
del “razionale” idealistico che diventa “maschile” archetipico in psicologia
analitica. Un soggetto ritenuto primitivo si sottomette al portatore del mana.
Quest’ultimo può pure recitare una parte sacerdotale, la qual cosa in realtà
vediamo fare, fra l’altro, a Felsenburgh nel racconto bensoniano. Salvare dal
disordine è una sua prerogativa. Jung rammenta che il consorzio umano è
composto di unità bisognose di questa figura della “personalità mana” poiché l’umanità
non si è evoluta dallo stadio di infantilismo: necessita di un simbolo
rappresentante la forza dell’ordine nella società. Questo è Julian Felsenburgh,
con i suoi connotati da semidio richiesti dal volgo. Mabel coglie suddetti
aspetti delineati di un archetipo che l’inconscio impersonale sintetizza nella
speranza che non vada verso la nevrosi (Iesus Christus), dove gli elementi di
sintesi e di equilibrio si disgregano nella formazione di un complesso (cattivo
maestro, archetipo negativo) il quale trascina l’Io alla volta dell’“ombra”
junghiana e dell’irrazionalità. Una falsa
verità può imporsi all’Ego, nella forma nevrotica della Parola di Dio, potenziale motore di
violenza interiore ed esteriore. Tale gamma va dal masochismo al sadismo: non
vedo altre spiegazioni all’autopunizione o al piacere malato di torturare,
uccidere streghe, Ebrei, omosessuali, eretici, in nome di Gesù Cristo e della
Parola di Dio. Questo è un regno della patologia psichica messo all’angolo
dalla storia, dove rimane dormente. I crimini contro l’umanità di cui si è reso
responsabile richiederebbero un “processo di Norimberga” più che il subitaneo
bombardamento di Roma del romanzo. Ma Benson non può approvare l’idea di un
giudizio razionale, storico e penale emanato da una corte umana – giudizio che
lo metterebbe sotto scacco – e preferisce il martirio dei suoi. Neanche dopo può smascherarli, spiegando la
ragione sostanziale di quella fine. Non gli resta che aggrapparsi alla nevrosi.
Tutto ciò non vuol dire che ogni sentimento di fede sia nevrotico. Jung ha
spiegato che l’umanità ha bisogno di favole, miti, religioni, dove i simboli
archetipici entrano in scena. È importante per la salute mentale non seguire
una favola malata, una favola nera, dove l’“ombra” junghiana dischiude la porta
del peggio, dell’insensato, del negativo. Il racconto bensoniano continua con
la segreta elezione a Sommo Pontefice del Cardinale Franklin (nel romanzo di
Frederick Rolfe “Adriano VII”, del 1904, si trova l’elezione al soglio
pontificio di un ignorato intellettuale inglese e riformatore). In “Lord of the
World” la Chiesa è ormai un’organizzazione clandestina, simile alla Carboneria.
Il testo però introduce un clima storico già vissuto: il Cristianesimo in epoca
romana intorno al II sec. d.C. Intanto l’ascesa di Felsenburgh si completa:
costui diviene Presidente del Mondo. Questo atteggiamento radicale conduce
monsignor Benson a riprendere il modello apocalittico dello scontro finale
(Armageddon). L’impianto distopico si avvia al suo ribaltamento attraverso l’ideale
dell’Apocalisse. La radicalizzazione parallela dei campi narrativi attuata
dallo scrittore inglese è repentina e poco gradita. E mi riferisco all’identificazione
di teismo e Cristianesimo, relegante tra gli avversari un simmetrico
totalitario ateismo. Abbiamo visto che l’hegelismo non permetteva ciò, mentre
adesso la struttura ideologica antagonista è marxista. La moderazione, l’equilibrio
precedenti sono scomparsi. Non condivido questa svolta letteraria, ma ne
comprendo i motivi. Nel racconto un provvedimento ha stabilito che «tutti
saranno interrogati se credano o no in Dio, e messi a morte se confesseranno di
credere». Ripeto che l’equiparazione tra teismo e Cristianesimo è illecita: il
primo ha estensione semantica superiore rispetto al secondo. Già qui notiamo il
modo in cui tutto comincia a contorcersi. Rappresenta un passo verso l’Apocalisse,
il più o meno figurato recinto di violento confronto tra reali razionalità e irrazionalità.
Ma è lo scrittore inglese a contaminare con irrazionalità l’adozione di un
provvedimento statale, così alterando pure la realtà storica romana dove ha
preteso di ripararsi: la persecuzione dei Cristiani è lecita in quanto
pericolosi sovversivi dell’ordine pubblico per mezzo di idee o atti (diritto
penale), è illecito condannare a morte qualcuno prendendo a pretesto la
semplice esclusiva base del teismo (inerente alla sfera del “privato”). L’autore
ha spinto il racconto verso opposti eccessi radicali. Il che costituisce la
dinamica di disgregazione di un archetipo, o l’inverso della sua elaborazione
di sintesi mediatrice. Non stupisce dunque il disorientamento di Mabel di
fronte agli ultimi sviluppi del romanzo. Questi sono introdotti dall’autore del
libro al fine di creare delle particolari condizioni. Una è quella già vista in
direzione dell’Apocalisse; l’altra è meno tangibile all’osservatore
superficiale, ma non per questo non chiara. Essa, la medesima in un rapporto
puntualizzato, indurrà Mabel al suicidio in un centro per l’eutanasia.
Sottolineando che siamo in un ambito letterario, direi che è Monsignor Benson a
uccidere la protagonista: egli vuole sbarazzarsi del continuo appello della sua
anima junghiana. La norma cristianofoba agisce nel racconto al pari della peste
manzoniana, è anch’essa assurda e illogica: allo scopo di eliminare un
personaggio sgradito succede una catastrofe collettiva la quale ne provocherà
la scomparsa. Lo scrittore inglese segue l’exemplum narrativo del cattolico
Manzoni. In relazione alla morte di Mabel parlerei di simbolico femminicidio.
Per quanto concerne la sospetta omosessualità di Robert Hugh Benson, sarei
cauto senza prove concrete. In “Lord of the World” è indubbio ci sia qualche
eco rolfiana, tuttavia non vedrei niente di più di una semplice simpatia
intellettuale. La vicenda letteraria di Mabel testimonia un sentimento
misogino, in cui però il teorico termine d’interesse sessuale rimane la donna.
Il tentato omicidio del marito Oliver sarebbe parte di un meccanismo
psicologico (inconscio?) dove la forma dell’eterosessualità non viene
modificata. La coppia di coniugi rimane in piedi, perciò bisogna colpire lei. E
al secondo tentativo l’Io bensoniano ci riesce. Abramo sacrifica il proprio
figlio al suo Dio. L’Ego di Benson, presidiato dal complesso nevrotico (Gesù
Cristo), impedisce l’allargamento del personale orizzonte psichico. La
descrizione del trapasso di Mabel raffigura questa costellazione. Mabel vede un
Io bensoniano che si è liberato di lei, e comprende chi l’ha uccisa e perché,
mentre il complesso nevrotico alla fine si interpone. Monsignor Benson nella
realtà non si è liberato dell’anima junghiana: il suo Ego si è illuso di farlo
nel romanzo, consegnandosi nei fatti a un pericolosissimo complesso (Iesus
Christus). La morte di Mabel non rappresenta un martirio cristiano, è bensì un
suicidio (indotto) stoico. Le tangenze formali tra i due tipi non sono casuali:
hanno una ragione nella comune, a Cristianesimo e Stoicismo, antica radice
semitica. La lettera di addio di Mabel si rivela eloquente sotto molteplici
profili. Ella non rinnega il razionalismo, non abbraccia la fede cristiana, non
tradisce il marito. La sua morte letteraria appare forzata nel contesto
narrativo del turbine finale. Mabel nel suo commiato coglie un paio di
nevralgiche dicotomie della psicologia analitica (“sentimento/ragione”,
“femminile/maschile”) di cui Benson dimostra di non capire il significato
profondo4 poiché lima le parole della moglie di Oliver con la di lui
misoginia. Lo scrittore inglese non ha la lucidità di dare un opportuno seguito
all’estremo input della sua anima junghiana. È rimasto chiuso e appiattito a
una dimensione nevrotica. La chiusura del romanzo dipinge l’Apocalisse, il confronto
terminale tra distopia e utopia secondo lo scrittore inglese. Qui si trova il
vertice pratico dell’intolleranza a una disomogenea signoria politica che non
sia riflesso della tradizione monoteistica giudaicocristiana con le sue norme e
i suoi dogmi. Monsignor Benson ricalca alla lettera Joseph de Maistre, il cui
pensiero si misura in “Lord of the World” con Hegel e con Marx: la partita
finale (Apocalisse) si gioca tra Medioevo e Illuminismo.
NOTE
Questo scritto è un estratto del mio saggio
“L’apologia dell’irragionevole di Robert Hugh Benson (2017)” dove si trova una
disamina più articolata su “Lord of the World”
1 Si veda
nel mio saggio intitolato “Mitopoiesi junghiana in Clive Staples Lewis (2017)”
nella nota 10.
2 Ho
delineato tale formazione nevrotica e la sua dinamica psicologica nella mia
monografia menzionata nella nota 1.
3 A tal
proposito si veda alle pagg. 3-4 nella mia monografia “Ermeneutica religiosa
weiliana (2013)”.
4 Questo
è argomento nella mia opera ricordata nella nota 1.