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mercoledì 25 settembre 2019

L’ESISTENZIALISTICA DISTOPIA STOICA DI CAMUS

di DANILO CARUSO 


Principio degli esseri è l’infinito… da dove infatti gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo.

Anassimandro (“I presocratici”, Laterza)



Albert Camus (1913-1960) è stato un profondo scrittore e pensatore che ha indagato il significato della vita. Due sue opere nel 1942 lo misero in evidenza nel panorama culturale a proposito del tema: un romanzo e un saggio (“Il mito di Sisifo”). Lo spessore intellettuale della sua produzione letteraria nel ’57 gli valse il Nobel. Nel romanzo breve / racconto lungo “L’étranger (Lo straniero)” a parlare è il protagonista, il quale dà marcata connotazione POV a tutto il narrato. Al punto tale di mostrarsi da subito “alieno” in relazione al sistema umano in cui vive. Simile dimensione di distacco appare già chiara nella vicenda della scomparsa di sua madre. La percezione di disagio di costui si manifesta attraverso la sua insensibilità venata di colpevolezza kafkiana. La sua inabilità a interloquire si nota in diversi segmenti di quel ferale evento: 1) la richiesta di un permesso per allontanarsi dal lavoro; 2) prima di e 3) durante la veglia funebre; 4) nel corso dello svolgimento del rito estremo. Tornato a casa dal funerale della madre, Mersault ribadisce quel suo sentimento di disagiante esistenziale colpa nel trovarsi in disaccordo con quelle che egli pensa siano le aspettative altrui in relazione alla sua condotta davanti all’imprevedibilità degli eventi, la quale non potrebbe addebitarglisi a suo avviso. Il tratto di una noia esistenziale di sottofondo costituisce altra caratteristica di richiamo sartriano del protagonista, altresì impastato di un certo leopardiano senso dell’inanità delle cose, ammantate di illusorie aspettative; cose le quali esperite rivelano un sostanziale sostrato di nichilistica insignificante costanza in rapporto all’umana esistenza, la quale ha di fronte solo un eterno ripetersi. Nella vita del personaggio narrante è assente qualsiasi tensione ideale. Per lui i ruoli di uomo e di animale sono qualcosa di intercambiabile da un punto di vista esistenzialistico. Mersault non presenta il minimo sussulto moralistico di fronte ai casi della vita verso cui si mostra, amorfo in sé, pronto a adeguarvisi con vuota meccanica predisposizione. Per l’amorfo Mersault neanche le donne e l’amore fanno eccezione al “nihil novi sub sole”: ai suoi occhi rappresentano un modo di passare il tempo, come masticare un chewing-gum e poi sputarlo via, dopo averne gustato il sapore, prima che diventi sgradevole. Una piattezza mentale del genere circoscrive l’eros e la libido a un elementare soddisfacimento pulsionale naturale (freudiano) al pari della fame di cibo. Questo personaggio di Camus non fa differenza tra una pietanza gustosa e una piacevole compagnia femminile. La totale accidia di Mersault connota uno sconcertante atteggiamento di vita, rappresenta la costante prassi di chi si è diluito nel quotidiano esistere quale manifestazione epifenomenica dell’essere. L’agire di lui e le sue reazioni costituiscono dei tasselli ad hoc che si incastrano ovunque, senza produrre il minimo rumore di contestazione. L’assenza di una sostanza etica nella coscienza di Mersault tocca i vertici della spregevolezza nella sua incuranza più completa di valutare obiettivamente il comportamento altrui e soprattutto la personale assunzione di accomodamento davanti a eventi anche criminosi. L’assurdità della vita, evidenziata in questo testo da Camus, emerge non solo nella figura del personaggio principale, ma altresì in quella di Maria, una sorta di sua fidanzata, la quale, dopo la manifestazione da parte di lei dell’intenzione di volerlo sposare, reagisce con pari assurdo compiacimento all’indifferenza e alle sbiadite risposte di lui: in fin dei conti l’assurdità del reale si distribuisce a 360°, non lasciando margini di rifugio prossimi. Come a voler dire: soltanto in un intimo stato di inebetita coscienza individuale l’epifenomeno ontologico umano può rinunziare alla sofferenza delle grandi domande filosofiche. Mersault, seguendo la sua accidiosa vocazione all’adeguamento esistenziale, a causa della sua personalità vuota e aliena in relazione a un vivere sentito in maniera più umana e quindi interrogativa, finisce col farsi collocare, in virtù della cattiva vicinanza di Raimondo Synthés, nella condizione di commettere un inutile omicidio. Ciò gli provoca l’arresto e l’essere sottoposto a indagine giudiziaria, nei confronti della quale egli persiste con i suoi toni e i suoi atteggiamenti assurdi. È lui ad apparire grottesco ai suoi interlocutori del momento: sfuggendo a tratti dal kafkiano, sfiora punte di comicità di cui non si rende conto, giacché inaccettabile è in primis la sua persona, disconnessa dai parametri del suo ambiente. Nella situazione individuale di detenuto Mersault consuma un ribaltamento dell’asse strutturale quale si presenta ne “Il processo” di Kafka: là il protagonista appare abbastanza normale, si rivela kafkiano tutto quanto lo circonda, costui risulta una vittima; qui da Camus, sebbene il protagonista viva un’esperienza giudiziaria, l’ambiente si mantiene più o meno sano, è invece lui a comportarsi e a pensare in guisa kafkiana, portando alle estreme conseguenze la sua forma mentis volta a un adattamento esistenziale quasi impersonale, sino al punto di accettare e giudicare normale il suo nuovo stato di carcerazione grazie alla chiusura nel suo vuoto intimo, dove è sempre vissuto, libero dai limiti che l’esterno potrebbe imporre. Lo definirei uno stoico-distopico; e a maggior ragione ricordando la mia definizione, data altrove1, dell’aggettivo “kafkiano”: qualcosa che si riferisce a un distopico vissuto nella mancanza di una cornice di comprensione razionale (l’utopia negativa della libido junghiana nella sua funzione sentimentale, riferendoci alla coppia delle facoltà personali razionali: un mio concetto che pure qui ben si confà nel ruolo di chiave di lettura psicanalitica ed esistenzialistica del personaggio creato da Camus). Mersault sembra il cittadino ideale dell’orwelliana Oceania: rappresenta in sé già ciò che O’Brien pretende da Winston Smith suo prigioniero. Durante la celebrazione del processo a carico del protagonista narrante vengono riepilogate e riassunte tutte le facce di quel poliedro, vacante all’interno, che ha connotato la sua recente vita: dal distaccato porsi in occasione della morte della madre all’immotivato omicidio passando attraverso varie sfaccettature sintomatiche. Il verdetto finale del procedimento giudiziario contro Mersault determina la sua condanna alla ghigliottina. Nel corso dell’attesa, in carcere, dentro la sua mente si lancia, sulla falsariga del suo precedente assurdo stile, in direzione di acrobatici pensieri; tuttavia Camus vi inserisce delle riflessioni di sapore heideggeriano laddove nelle rilassate considerazioni interiori del personaggio affronta il tema della morte intravista come un evento esclusivamente personale e inderogabile: il tutto condito da una leopardiana pessimistica valutazione sul significato della vita, questa più una condanna che altro. Lo scontro conclusivo che Mersault vive in cella con un sacerdote andato a trovarlo costituisce l’ennesima riprova della sua reazione esistenziale all’esser-gettato-nel-mondo: lui alla fine dà un calcio al mondo, avendolo giudicato privo di grandi significati e non degno di alta spesa emotiva e di sforzi intellettuali. L’essere umano gli appare epifenomeno di una macchina vuota di aspetti ideali; perciò l’unica prospettiva di indipendenza gli appare il non contrastarla, allo scopo di raggiungere una disambiguante autenticità nell’estraneità, nel fuoruscirne anche radicalmente. Ogni uomo che prenda coscienza del non-senso-delle-cose si tramuta in uno “straniero” rassegnato nella vita, in attesa – volendo evocare un frammento di Anassimandro – che l’ingiustizia di quell’assurda condanna all’esistenza sia risanata. Il fatto che “L’étranger” si apra con la scomparsa della madre del protagonista Mersault, e che da quest’episodio si sviluppi per lui una singolare serie di vicende, spinge a rilevare una possibile chiave analitica allegorica, nel contesto della medesima medaglia, da un lato junghiana, dall’altro leopardiana. La realtà (l’Assoluto) nei riguardi degli uomini si mostra una Grande Madre, nell’apparente iniziale impressione, positiva; ma poi questa versione “muore” , e lascia spazio alla Grande Madre negativa, alla Natura matrigna leopardiana, la quale intrappola i suoi figli in un mondo privo di significati autentici e alla fine li divora. 


NOTE


Questo scritto è un estratto del mio saggio “Studi critici (2019)”
https://www.academia.edu/41345317/Studi_critici