di DANILO CARUSO
Principio degli esseri è l’infinito… da dove infatti gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo.
Principio degli esseri è l’infinito… da dove infatti gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo.
Anassimandro (“I presocratici”, Laterza)
Albert Camus (1913-1960) è
stato un profondo scrittore e pensatore che ha indagato il significato della
vita. Due sue opere nel 1942 lo misero in evidenza nel panorama culturale a
proposito del tema: un romanzo e un saggio (“Il mito di Sisifo”). Lo spessore
intellettuale della sua produzione letteraria nel ’57 gli valse il Nobel. Nel
romanzo breve / racconto lungo “L’étranger (Lo straniero)” a parlare è il
protagonista, il quale dà marcata connotazione POV a tutto il narrato. Al punto
tale di mostrarsi da subito “alieno” in relazione al sistema umano in cui vive.
Simile dimensione di distacco appare già chiara nella vicenda della scomparsa
di sua madre. La percezione di disagio di costui si manifesta attraverso la sua
insensibilità venata di colpevolezza kafkiana. La sua inabilità a interloquire
si nota in diversi segmenti di quel ferale evento: 1) la richiesta di un
permesso per allontanarsi dal lavoro; 2) prima di e 3) durante la veglia
funebre; 4) nel corso dello svolgimento del rito estremo. Tornato a casa dal
funerale della madre, Mersault ribadisce quel suo sentimento di disagiante
esistenziale colpa nel trovarsi in disaccordo con quelle che egli pensa siano
le aspettative altrui in relazione alla sua condotta davanti
all’imprevedibilità degli eventi, la quale non potrebbe addebitarglisi a suo
avviso. Il tratto di una noia esistenziale di sottofondo costituisce altra
caratteristica di richiamo sartriano del protagonista, altresì impastato di un
certo leopardiano senso dell’inanità delle cose, ammantate di illusorie aspettative;
cose le quali esperite rivelano un sostanziale sostrato di nichilistica
insignificante costanza in rapporto all’umana esistenza, la quale ha di fronte
solo un eterno ripetersi. Nella vita del personaggio narrante è assente
qualsiasi tensione ideale. Per lui i ruoli di uomo e di animale sono qualcosa
di intercambiabile da un punto di vista esistenzialistico. Mersault non
presenta il minimo sussulto moralistico di fronte ai casi della vita verso cui
si mostra, amorfo in sé, pronto a adeguarvisi con vuota meccanica
predisposizione. Per l’amorfo Mersault neanche le donne e l’amore fanno
eccezione al “nihil novi sub sole”: ai suoi occhi rappresentano un modo di
passare il tempo, come masticare un chewing-gum e poi sputarlo via, dopo averne
gustato il sapore, prima che diventi sgradevole. Una piattezza mentale del
genere circoscrive l’eros e la libido a un elementare soddisfacimento
pulsionale naturale (freudiano) al pari della fame di cibo. Questo personaggio
di Camus non fa differenza tra una pietanza gustosa e una piacevole compagnia
femminile. La totale accidia di Mersault connota uno sconcertante atteggiamento
di vita, rappresenta la costante prassi di chi si è diluito nel quotidiano
esistere quale manifestazione epifenomenica dell’essere. L’agire di lui e le
sue reazioni costituiscono dei tasselli ad hoc che si incastrano ovunque, senza
produrre il minimo rumore di contestazione. L’assenza di una sostanza
etica nella coscienza di Mersault tocca i vertici della spregevolezza nella sua
incuranza più completa di valutare obiettivamente il comportamento altrui e
soprattutto la personale assunzione di accomodamento davanti a eventi anche
criminosi. L’assurdità della vita, evidenziata in questo testo da Camus, emerge
non solo nella figura del personaggio principale, ma altresì in quella di
Maria, una sorta di sua fidanzata, la quale, dopo la manifestazione da parte di
lei dell’intenzione di volerlo sposare, reagisce con pari assurdo compiacimento
all’indifferenza e alle sbiadite risposte di lui: in fin dei conti l’assurdità
del reale si distribuisce a 360°, non lasciando margini di rifugio prossimi.
Come a voler dire: soltanto in un intimo stato di inebetita coscienza
individuale l’epifenomeno ontologico umano può rinunziare alla sofferenza delle
grandi domande filosofiche. Mersault, seguendo la sua accidiosa vocazione
all’adeguamento esistenziale, a causa della sua personalità vuota e aliena in
relazione a un vivere sentito in maniera più umana e quindi interrogativa,
finisce col farsi collocare, in virtù della cattiva vicinanza di Raimondo
Synthés, nella condizione di commettere un inutile omicidio. Ciò gli provoca
l’arresto e l’essere sottoposto a indagine giudiziaria, nei confronti della
quale egli persiste con i suoi toni e i suoi atteggiamenti assurdi. È lui ad
apparire grottesco ai suoi interlocutori del momento: sfuggendo a tratti dal
kafkiano, sfiora punte di comicità di cui non si rende conto, giacché
inaccettabile è in primis la sua persona, disconnessa dai parametri del suo
ambiente. Nella situazione individuale di detenuto Mersault consuma un
ribaltamento dell’asse strutturale quale si presenta ne “Il processo” di Kafka:
là il protagonista appare abbastanza normale, si rivela kafkiano tutto quanto
lo circonda, costui risulta una vittima; qui da Camus, sebbene il protagonista
viva un’esperienza giudiziaria, l’ambiente si mantiene più o meno sano, è
invece lui a comportarsi e a pensare in guisa kafkiana, portando alle estreme
conseguenze la sua forma mentis volta a un adattamento esistenziale quasi
impersonale, sino al punto di accettare e giudicare normale il suo nuovo stato
di carcerazione grazie alla chiusura nel suo vuoto intimo, dove è sempre
vissuto, libero dai limiti che l’esterno potrebbe imporre. Lo definirei uno
stoico-distopico; e a maggior ragione ricordando la mia definizione, data
altrove1, dell’aggettivo “kafkiano”: qualcosa che si riferisce a un
distopico vissuto nella mancanza di una cornice di comprensione razionale
(l’utopia negativa della libido junghiana nella sua funzione sentimentale,
riferendoci alla coppia delle facoltà personali razionali: un mio concetto che
pure qui ben si confà nel ruolo di chiave di lettura psicanalitica ed
esistenzialistica del personaggio creato da Camus). Mersault sembra il
cittadino ideale dell’orwelliana Oceania: rappresenta in sé già ciò che O’Brien
pretende da Winston Smith suo prigioniero. Durante la celebrazione del processo
a carico del protagonista narrante vengono riepilogate e riassunte tutte le
facce di quel poliedro, vacante all’interno, che ha connotato la sua recente
vita: dal distaccato porsi in occasione della morte della madre all’immotivato
omicidio passando attraverso varie sfaccettature sintomatiche. Il verdetto
finale del procedimento giudiziario contro Mersault determina la sua condanna
alla ghigliottina. Nel corso dell’attesa, in carcere, dentro la sua mente si
lancia, sulla falsariga del suo precedente assurdo stile, in direzione di
acrobatici pensieri; tuttavia Camus vi inserisce delle riflessioni di sapore
heideggeriano laddove nelle rilassate considerazioni interiori del personaggio
affronta il tema della morte intravista come un evento esclusivamente personale
e inderogabile: il tutto condito da una leopardiana pessimistica valutazione
sul significato della vita, questa più una condanna che altro. Lo scontro
conclusivo che Mersault vive in cella con un sacerdote andato a trovarlo
costituisce l’ennesima riprova della sua reazione esistenziale
all’esser-gettato-nel-mondo: lui alla fine dà un calcio al mondo, avendolo
giudicato privo di grandi significati e non degno di alta spesa emotiva e di
sforzi intellettuali. L’essere umano gli appare epifenomeno di una macchina
vuota di aspetti ideali; perciò l’unica prospettiva di indipendenza gli appare
il non contrastarla, allo scopo di raggiungere una disambiguante autenticità
nell’estraneità, nel fuoruscirne anche radicalmente. Ogni uomo che prenda
coscienza del non-senso-delle-cose si tramuta in uno “straniero” rassegnato
nella vita, in attesa – volendo evocare un frammento di Anassimandro – che
l’ingiustizia di quell’assurda condanna all’esistenza sia risanata. Il fatto
che “L’étranger” si apra con la scomparsa della madre del protagonista
Mersault, e che da quest’episodio si sviluppi per lui una singolare serie di
vicende, spinge a rilevare una possibile chiave analitica allegorica, nel
contesto della medesima medaglia, da un lato junghiana, dall’altro leopardiana.
La realtà (l’Assoluto) nei riguardi degli uomini si mostra una Grande Madre,
nell’apparente iniziale impressione, positiva; ma poi questa versione “muore” ,
e lascia spazio alla Grande Madre negativa, alla Natura matrigna leopardiana,
la quale intrappola i suoi figli in un mondo privo di significati autentici e
alla fine li divora.
NOTE
Questo scritto è un estratto del mio saggio “Studi critici (2019)”
https://www.academia.edu/41345317/Studi_critici
https://www.academia.edu/41345317/Studi_critici