di
DANILO CARUSO
“Equals”
è un film distopico del 2015, proiettato alla Mostra di Venezia, e diretto da
Drake Doremus, il cui soggetto, elaborato da Nathan Parker, trae origine da un
racconto del regista medesimo. In questa pellicola la società umana è
organizzata dentro un apparato denominato “Collective”, il quale ha bandito
ogni forma di emozione e di sentimento, spingendosi a un livello più elevato
dello Stato zamjatiniano di “Noi”1. Infatti, mentre nel romanzo di
Zamjatin è lecito un esercizio libero, controllato, desublimante (quindi
repressivo, contenitivo de facto) della sessualità, in “Equals”, nei confronti
di tale aspetto, siamo vicini all’agostinismo di “1984”2, il quale
nel film viene a sua volta portato alle estreme conseguenze. Soppressa la
possibilità di legami erotici naturali e autonomi, il rinnovo generazionale
viene gestito attraverso il metodo della fecondazione ovulare artificiale
applicata alle prescelte. La forma procreativa normale rappresenta una
violazione dell’ordine. In simile contesto di concepimento (un passaggio
paragonabile all’azione dello Spirito Santo), gli embrioni ricevono
un’alterazione inibitoria della facoltà sentimentale (come se si volesse far
nascere i bambini senza peccato in virtù di un rinnovato e allargato principio
dell’“immacolata concezione”): la componente genetica maschile rinforzata, in
termini simbolici junghiani, il maschile-logico, dovrebbe sopraffare la parte
femminile, biologicamente passiva nella visione medica premoderna, e quindi
ingabbiare il femminile-erotico destabilizzante. Questa macchia primordiale può ripresentarsi nell’esistenza degli
individui del Collettivo nella veste di “switched-on syndrome (sindrome di
deviazione)” la cui sigla è SOS, la quale fuori del contesto filmico rievoca il
noto segnale d’aiuto, il cui significato (“save our souls”, salvate le nostre anime)
però si riallaccia al mio quadro analitico. I soggetti malati vengono internati
in un centro di recupero per il deficit
emozionale neuropatico (DEN: “defective emotional neuropathy”): qua diffusa
prassi di trattamento è l’induzione al suicidio. È singolare che il decorso di
siffatta (pseudo)patologia, immaginabile quale un risveglio libidico
dell’inconscio collettivo, abbia quattro stadi, quanti quelli del processo
alchemico-junghiano. Le vicende dei protagonisti del film, Nia e Silas,
ricordano molto quelle di Julia e Winston di Orwell e di I-330 e D-503 di Zamjatin.
Si tratta di una sovrapposizione e di un incrocio di due coppie letterarie
producente un risultato originale, nuovo e gradevole al fruitore. In “Equals”
Silas si avvicina a un gruppo clandestino di malati di SOS, il che rappresenta
qualcosa di simile all’introduzione presso i Mefi di D-503 in “Noi”. Esiste nel
film una parallela zona, qui nota, fuori del Collective, dove risiedono esseri
umani non inibiti, ritenuti pericolosi e il cui contatto non è un’ipotesi da
prendere in considerazione per un cittadino esemplare. La “Penisola” filmica,
benché non presentata in maniera nitida, offre tratti di somiglianza con la
parte positiva della dicotomia zamjatiniana “interno della città (razionale
distopico) / esterno, aperta natura (libero recupero della libido junghiana)”.
Sopra una dinamica del genere il film illustra la partita dell’eros liberatore nel
legame sentimentale fra Nia e Silas. Nel finale la trama, ancora una volta,
indica una particolare tangenza zamjatiniana, quando Silas, al pari di D-503,
si sottopone a una terapia inibitoria radicale: gli esiti nei due personaggi
saranno diversi. D-503 guarirà del
tutto (e I-330 sarà poi condannata a morte), Silas (fuggito assieme a Nia verso
la Penisola) riuscirà, nonostante la cura, a mantenere vive le sue capacità
emotive e sentimentali (naturam expellas
furca, tamen usque recurret). In “Equals” una nevrotica agostiniana Civitas
Dei, dove un antiutopico Logos pacificatore aveva preso il sopravvento, viene
sconfitta3.
NOTE
Questo scritto è un estratto del mio
saggio “Note di critica (2017)”
1 A questo
romanzo, con cui il film di
Doremus condivide – fra l’altro – il risalto dato all’esplorazione dello
spazio, ho dedicato una monografia: “L’antipanlogismo di Evgenij Zamjatin
(2015)”.
2 A proposito di
quest’altra distopia ho scritto un saggio: “Il Medioevo futuro di George Orwell
(2015)”.
3 Può risultare
utile, ai fini di un paragone e di un approfondimento della mia impostazione
critica, leggere una mia analisi del film “Equilibrium (2002)” di Kurt Wimmer.