di
DANILO CARUSO
Nell’Italia
fascista il capitale è agli
ordini dello Stato; bisogna emigrare
verso i Paesi beatificati dagli immortali
principi per constatare un fenomeno
nettamente opposto: lo Stato
prono agli ordini del capitale.
Benito
Mussolini (28 ottobre 1937)
Parlando
della dialettica storico-politica in Italia tra fascismo e borghesia, a scanso
di equivoci, premetto che nella seguente argomentazione non si cela
l’intenzione di condurre un’irragionevole e inammissibile apologia fascista: il
fascismo sposò amicizie le quali causarono la sua suicida involuzione. Mi
riferisco in particolar modo al nazionalsocialismo1 (ma considero
altresì un gravissimo errore aver restituito alla Chiesa cattolica una dimensione
politica statale). Non si possono accantonare gli effetti negativi prodotti
dalla partecipazione all’ultima guerra mondiale e dall’alleanza con la Germania
nazista. Tuttavia una sobria onestà analitica dovrebbe riconoscere che i due
grandi conflitti novecenteschi sono nient’altro che una capitalistica guerra del Peloponneso. Nell’ambito dello scontro
europeo anglotedesco si calò il capitalismo americano che lucrò non poco da
quest’attrito di interessi. Nella prima fase l’Italia si ritrovò nel campo dei
vincitori, nella seconda – a partire dalla II guerra etiopica – a causa di un’ostilità
alla sua espansione politico-economica mutò il suo orientamento nella scelta di
partner esteri. La conquista fascista dell’Abissinia nel 1935-36 soddisfece
esigenze capitalistiche e velleità sabaude di magnificenza, analoghe a quelle
dell’occupazione liberale della Libia nel 1911-12 (e, per dirla tutta, ancor
prima, Francesco Crispi fu la versione beta di Mussolini). Una storiografia
gnostica, di stampo angloamericano, impostata su una rigida dicotomia
“buoni/cattivi”, stravolge la comprensione obiettiva di qualsiasi fatto. La
storiografia può esprimere giudizi morali, i quali anzi sono necessari nelle
circostanze negative: la barbarie della Shoah esige un pesantissimo ammonimento
affinché tragedie simili non si ripetano mai più. Però, per fare qualche
esempio, non molti ricordano ai buoni
americani le discriminazioni razziali nei confronti dei neri e l’incivile
trattamento riservato agli Indiani, ai comunisti lo sterminio ucraino, o ai
liberali il fatto che negli anni ’30 l’impero coloniale inglese controllava 1/3
delle terre emerse. Ovviamente qualsiasi comparazione non giustifica la cattiva
condotta di nessuno, e credo appunto che suddetta dicotomia gnostica sia da
rivedersi nel senso di rintracciare le responsabilità di tutti. Dunque si
scoprirà che di rado nella storia compaiono “i buoni”, e che in loro luogo ci
sono più che altro “speculatori-mascherati-da-buoni”. L’episodio di Pearl
Harbor nel ’41 fu conseguenza di una studiata induzione americana al fine di
entrare in guerra contro il Patto tripartito; la stessa vicenda di Danzica nel
’39 non è di solito altrettanto ben riportata (i militari polacchi, patrocinati
dagli Inglesi, accolsero la possibilità bellica con provocatoria spavalderia e
slancio sin troppo ottimistico). Ciò, naturalmente, non legittimava né nazisti
né fascisti a entrare in guerra, ma a posteriori chiarisce l’inesistenza di una
pura ideale contrapposizione. Che cosa c’è di “buono” nello sgancio di due
bombe atomiche sul Giappone nel ’45? Dinamiche capitalistiche hanno prodotto
due conflitti mondiali, i quali in realtà rappresentano un solo grande fenomeno
storico di affermazione di un polo internazionale dominante. Le vicende della
borghesia italiana, in seguito al pericolo
rosso del primo dopoguerra, non sono meno semplici. Definire il fascismo
una dittatura è un’espressione invalsa presso gli storici che non rende la
sostanza costituzionale su cui poggiava il regime (termine che trovo più
adeguato) fascista: a norma dello Statuto albertino l’esecutivo rispondeva alla
Corona, da cui traeva delega (anche se era seguita la prassi della fiducia
parlamentare). Il re diede l’incarico a Mussolini nel ’22 e glielo revocò
nell’estate del ’43, facendolo per giunta arrestare dopo. Se la Casa Savoia non
avesse trovato utile il governo fascista per salvare la monarchia e l’apparato
sociale borghese, se ne sarebbe sbarazzata prima. Non condivido il punto di
vista che attribuisce in toto alla “dittatura” la restrizione delle libertà in
Italia nel corso degli anni ’20. Un simile piano rientra nel progetto di tutela
monarchico-borghese, che consentì sì ai fascisti di prendere il potere. Ma
occorre ricordare che i liberali cercando di servirsi di questi in funzione
antirivoluzionaria non fecero altro che portare a compimento una decadenza
nazionale che già era maturata nel periodo umbertino (scandali bancari, Bava
Beccaris, et similia). All’interno del fascismo confluirono poi quasi tutti (e
non è da sottovalutare il fatto che Mussolini avesse invitato i socialisti a
entrare nel suo primo governo, senza ottenere risposta positiva). Il clima
creatosi nel primo dopoguerra, con la delusione per la “vittoria mutilata”,
aggiuntasi ai precedenti fermenti sociali, creò in Italia un originale
palcoscenico su cui Mussolini divenne il primo attore. Comunque anche qui non
sono da trascurare alcuni dettagli. Il “mussolinismo” non coincideva con il
fascismo, cui altri diedero apporti determinanti nella sua definizione
(D’Annunzio, Gentile, i sindacalisti fascisti, et ceteri). Il clima di violenza
che si instaurò tra i gruppi del fascismo contrapposti a marxisti e liberali è
figlio di un panorama storico e ideologico internazionale, perciò non può
essere caricato solo su una parte: i primi sovversivi antidemocratici erano
stati di matrice marxista, tra cui si trovavano coloro i quali da cui l’Italia
monarchica e liberal-borghese voleva liberarsi (durante la sparatoria
dell’esercito sulla folla a Milano nel 1898 non c’era un governo fascista). La
violenza, che è in ogni caso, in ogni luogo, in ogni tempo, da rifiutare,
condannare, nella veste di strumento di risoluzione di qualsiasi controversia,
colpì tutti: sono notissimi i casi di Gobetti e Matteotti, ma moltissimi
ignorano l’uccisione del deputato fascista Casalini al fine di vendicare la
morte del secondo. E mentre Gramsci stava in carcere, Croce stava in Senato (di
nomina regia): tutto ciò a testimoniare che il telaio liberal-massonico, che
aveva consentito al fascismo di assurgere alla guida del governo, era un
meccanismo operante anche a difesa di liberali dissidenti. Individuare in
Mussolini allora un capro espiatorio a posteriori di situazioni che avevano un
più ampio margine di elaborazione sembra un’operazione storiografica che
rievoca l’incendio della casa di Socrate e il suo reale processo a causa
dell’essere stato maestro di Crizia e Alcibiade. Il duce da giovane fu un tipo
impetuoso, un massimalista apprezzato da Lenin: riconoscendo tutti i suoi
difetti e tutti i tragici errori del fascismo, non si può disconoscere che
l’Italia degli anni ’20 e ’30 fosse un’insula felix se paragonata ad altri
contesti socialmente più instabili, la cui sorte fu aggravata dalla grande
crisi economica. Nel giovane Mussolini si può rintracciare un rivoluzionario
marxista che imparò due lezioni: quella di una politica “machiavellica”, e
quella che gli consentì di far evolvere la sua visione politica in senso spiritualista.
Al rivoluzionario si accompagnò dunque l’idealista (da qui la porta aperta a
Gentile). Il fascismo è una forma di socialismo spiritualista (nata dal
marxismo), il comunismo è un socialismo materialista: fascisti e comunisti sono
imparentati (Bombacci e la RSI docent). Credo che Plutarco avrebbe accoppiato
Mussolini e Trotzkij: due idealisti sui generis che pagarono conti
sproporzionati. Pertanto pongo il dubbio se sia da chiedersi: quanto Mussolini
è stato un “utile idiota” della monarchia e della borghesia in Italia?
L’elettorato del più grande partito comunista occidentale è stato in parte un
lascito dello Stato sociale fascista di chiara impronta assistenzialistica. Non
sono stati accidentali i rari episodi in cui durante la cosiddetta I Repubblica
MSI e PCI si ritrovarono assieme ad amministrare: qual è quel partito di destra
che ha un sindacato d’area? «Il Fascismo è contro il socialismo che irrigidisce
il movimento storico nella lotta di classe e ignora l’unità statale che le
classi fonde in una realtà economica morale; e analogamente è contro il
sindacalismo classista» (“Enciclopedia Treccani”). La singolarità
dell’esperienza italiana del fascismo era fondata su un irripetibile equilibrio
tra monarchia, borghesia, Chiesa cattolica e fascisti (questi ultimi fra di
loro di assortito orientamento ideologico): non è neanche facile delineare
l’autentica ideologia fascista al di là dell’opportunismo giacché era un
cantiere aperto. È giusto nonostante ciò imputarle i suoi peggiori difetti
(sorti in momenti diversi): l’antisemitismo e il razzismo, l’imperialismo, la
restrizione liberticida del pluralismo partitico, la reintroduzione della pena
di morte. Tuttavia pare lecito sostenere che il fascismo fosse nato e sia morto
stando a sinistra, in una gestazione agitata e in un suicidio ideale
costituenti un rapporto di odi et amo
nei riguardi del patriarca Marx. Oggigiorno appioppare l’etichetta “fascista” a
tutto ciò che è antidemocratico riproduce un’iperbole gnostica: non esistono i
fascismi, esistono – al di là di esso – totalitarismi (sovietico, nazista,
capitalista, cristiano). Nessun antisemita verrebbe definito “inquisitore”;
eppure la più grande organizzazione di discriminazione in tal senso è stata la
Chiesa cattolica. I nazisti sono stati degli epigoni criptoluterani, e i
quemadores dell’Inquisizione spagnola riservati ai perseguitati non
differiscono dai forni crematori tedeschi (con la differenza che i nazisti
bruciavano cadaveri, i cattolici persone vive). Chi rileva un’aria sacerdotale
in un totalitarista è George Orwell in O’Brien (“1984”)2. La Chiesa
di Roma, dall’Editto di Teodosio all’Illuminismo, ha compiuto quello che si
rimprovera al fascismo in misure molto più ampie: istigazione alla guerra, limitazioni
varie alle libertà, persecuzione e uccisioni dei dissidenti, mantenimento di un
sistema totalitario e antidemocratico (dire ciò acqua passata non rende
giustizia alle vittime di qualsiasi sistema soppressivo: l’ignoranza non
comporta un’assoluzione). Ipazia di Alessandria fu ammazzata da fanatici
cristiani, i quali in maniera anacronistica e distorta non pochi definirebbero
“squadristi”. Ecco perché la storia non è una stanza dove poter collocare un
armadio storiografico gnostico con dentro uno scheletro fascista: l’obiettività
prima di tutto, cadesse il Paradiso. Il fascismo ebbe due anime: una socialista
proletaria, l’altra nazionalista monarchica borghese. Le quali urtavano di
continuo inter se dietro la facciata del regime. E i frutti della prima anima
non furono avvelenati al pari di quelli dell’altra (nel PNF erano confluiti
ufficialmente tutti i nazionalisti, i quali non erano di sinistra, ma di
autentica destra). Il fascismo non è un male integrale, male assoluto sono i
suoi errori pratici e le idee connesse (in comune con il nazismo). E poi com’è
che a questo male assoluto sono
sopravvissute diverse sue creazioni (alcune in origine buone, altre no); per
fare degli esempi: l’IMI, l’IRI, il progetto di riforma agraria (mirante a dare
la terra ai contadini espropriando i latifondi), il Codice Rocco
(tradizionalista e filocattolico), i Patti lateranensi; la stessa forma
istituzionale repubblicana ebbe un consenso referendario maggiore nei territori
della ex RSI (Togliatti non era poi così ostile alla sopravvivenza della
monarchia). Il fascismo, inoltre, aveva cominciato a concedere la cittadinanza
italiana a gruppi di Libici, una cosa antitetica al razzismo (paragonabile, se
così si può dire, in qualche misura allo ius soli). Tutto ciò non serve
naturalmente a bonificare il fascismo; fascista è ogni suo sbaglio, figlio di
un machiavellico opportunismo. Quest’analisi dà lo spunto di capire che, in fin
dei conti, i neofascisti di oggi sono seguaci del peggio di quell’esperienza
(ossia dell’anima nazionalista). Se non è un bene in sede di esame storico fare
di tutta l’erba un fascio, è un bene in ambito sociale proibire le
manifestazioni apologetiche fasciste (e naziste): non tutti colgono la verità;
gli ignoranti, i fanatici e i violenti non distinguono oltre l’ottusità. Gli
atti di fanatismo manifestano una patologica irrazionalità di fondo, la quale
non ha niente a che spartire con un dibattito scientifico scaturente dal quieto
confronto. Il fascismo è finito nel 1945, una sua rinascita pura è impossibile:
possibili restano i fenomeni di deteriore richiamo, da condannare senza ombra
di dubbio (anche avvalendosi delle misure cautelari previste dalla legge);
possibili rimangono i richiami agli aspetti positivi di quella politica
sociale, i quali non sono condannabili perché fascisti. Distinguere rappresenta
il compito di un bravo storico: di un frutto marcio si può mangiare la parte
sana; chi getta una pera marcita solo su un fianco ha compiuto uno spreco,
mostrando scarsa intelligenza. L’analisi e la comprensione storiche non debbono
ammettere in nessun caso costruzioni critiche gestaltiche pro o contro se
queste non sono sostanzialmente ammissibili. Le ricostruzioni della storia e la
valutazione delle dinamiche devono prescindere in ogni caso da forme di
relativismo contingente. Generalizzare il fascismo come un fenomeno in toto
negativo non giova alla sua conoscenza. Abbiamo visto, con sorte opposta, il
destino della Chiesa e del Cristianesimo, strano Regno di Dio in terra,
responsabile di crimini contro l’umanità. Una storiografia seria non teme di
guardare le cose in faccia e di rispecchiare le obiettive impressioni.
Viceversa si trova inganno, propaganda di parte – a scapito o a beneficio –
lontana da un’impostazione scientifica. Che fine ha fatto l’anticomunista
apprezzamento del provvidenziale fascismo
salvatore delle italiche e cattoliche sorti? La conclusione finale cui
approdiamo è la seguente. Il fronte conservatore italiano, impaurito
dall’eventualità di un rivolgimento sociale sulla falsariga della Russia, colse
la possibilità, a proprio vantaggio, di dividere il fronte socialista nazionale
e contrapporre i fascisti scissionisti ai marxisti. La borghesia liberale pensò
di servirsi del fascismo e di Mussolini; quest’ultimo (la cui interventista
testata “Il Popolo d’Italia” era stata sostenuta pure dagli Inglesi) credette
di sfruttare quelle paure allo scopo di raggiungere il governo. Chi si servì di
chi? Un sottile e instabile gioco di equilibri durò dal 1922 al ’43. La storia
dice che Mussolini, alla fine, pago il prezzo dell’ambizione in politica estera
dopo aver voltato le spalle al capitalistico schieramento angloamericano, il
quale non gradiva le contrastanti ascese economiche dell’Italia fascista, della
Germania nazista e del Giappone (tre Paesi legati da un’alleanza militare).
L’URSS allora costituiva soltanto un timore ideologico-sociale; la guerra la
trasformerà in antagonista sostanziale degli USA. Se guardiamo gli eventi e le
cause spogli di spiriti di convenienza davvero la historia può esserci magistra
e insegnarci che non esistono differenze razziali umane, diversi popoli, bensì
una unica popolazione mondiale attraversata da diverse lingue, differenti
costumi, varie religioni, così come ciò accade all’interno di quasi ogni
attuale singolo Stato della Terra, dove esistono dialetti e tradizioni
differenti. Le contrapposizioni violente, l’ideale di una ricchezza indefinita
turbano qualsiasi scenario; contribuisce al progresso umano la pacifica
distribuzione su scala planetaria di tutte le forme di benessere. Lasciare
concentrare la ricchezza nazionale nelle mani di una ridotta percentuale a
danno di tutti gli altri non porta mai “buoni” frutti. Il contraddittorio
fascismo, alla ricerca di una sorta di aristotelica politeia, autore della sostituzione della – non sempre
condivisibile – “lotta di classe” con un’insana e inaccettabile “lotta dei
popoli”, dopo l’Unificazione, è stato il solo a provare una soluzione al
problema della sperequazione: il che offre un motivo per analizzarlo con
migliore attenzione laddove esso offra spunti in relazione a ciò.
Mussolini parla contro i nazisti (1934)
NOTE
Questo scritto è un estratto del mio
saggio “Note di critica (2017)”
1 Per approfondire i temi qui affrontati
invito alla lettura di tre unità del mio saggio intitolato “La morte delle
ideologie (2011)”: “La fabbrica del male”, “La democrazia corporativa”,
“L’utopia della RSI”.
2 Una mia
monografia analizza la distopia orwelliana: “Il Medioevo futuro di George
Orwell (2015)”.