di
DANILO CARUSO
Carl
Gustav Jung è stato un grande studioso di psicologia. In origine allievo e
amico di Freud, si distaccò da quella visione positivista e materialista della
psiche umana che ragionava in termini di una fisiologia naturalistica. Il pensiero
junghiano intraprese dunque una strada radicalmente diversa, inoltrandosi in un
opposto ambito spiritualista. La visione metafisica junghiana si sviluppa lungo
matrici filosofiche (non esclusive). Schopenhauer fu per tutti il vero padre
della psicologia moderna: da lui deriva il concetto di “libido”, poi ripreso in
vari modi (voluntas). Jung è stato colui che meglio ha valorizzato e sviluppato
tale radice di riflessione, sulla quale nel corso dell’elaborazione delle sue
analisi ha innestato innovativi spunti di originalità. Nelle mie riflessioni
sopra i meccanismi della dialettica hegeliana e del “processo di individuazione”
junghiano ho avuto modo di notare delle somiglianze. Nella psicologia analitica
di Jung si parla di questo particolare iter di ampliamento coscienziale,
consistente nell’allargamento della visione da parte dell’Io nei confronti
dell’interiore sistema psichico personale. A ciascun Io di ogni psiche
singolare, nel sistema junghiano, fa da contraltare una parte interna inconscia
di carattere sessuale opposto: se uomo, “anima”; se donna, “animus”. Lo scopo del
cammino individuante è quello di guadagnare la consapevolezza della personale
controparte psichica, allo scopo di creare un assetto interiore equilibrato.
Scavalcando quei due archetipi, uomini e donne dovrebbero rispettivamente
raggiungerne altri due costituenti una meta dell’individuazione: l’archetipo
della “vecchio saggio” e quello di “Madre Natura”. Jung ha spiegato l’esistenza
di un impersonale inconscio universale, cumulativo di tutte le esperienze
umane, e distinto da quello singolo di ognuno. Tale inconscio assoluto elabora
dei modelli comportamentali proponendoli attraverso esempi simbolici a ogni
essere umano: gli archetipi si esprimono mediante i simboli. Nel processo di
individuazione, e durante tutta l’esistenza personale, l’inconscio collettivo
incalza il singolo. Una tappa intermedia rispetto all’individuazione finale
viene rappresentata dall’esperienza della “personalità mana”, allorché la
psichica controparte sessuale apra a una sorta di magico invasamento. Come
fossero porte, “anima” e “animus”, caduti nell’orbita coscienziale, aprono a
uno speciale collegamento con l’inconscio impersonale. Il possesso del mana
rende il detentore un soggetto dotato di poteri speciali, sovrannaturali agli
occhi degli altri (la veggente, il mago, la personalità dominante). Per inciso:
la psicologia junghiana indica col nome di “ombra” il lato oscuro negativo di
qualsiasi livello psichico. L’iter individuante portato alla luce dallo
studioso svizzero presenta delle analogie con lo schema triadico della
dialettica hegeliana. Nel sistema idealistico di Hegel l’Assoluto segue un
preciso percorso programmatico in ogni momento e dettaglio. Ciascun ente
particolare (e lo stesso Assoluto in origine) si pone nella veste di qualcosa
di astratto, di “in sé”, il quale mira alla volta di una maturazione, di un
perfezionamento. Questo darsi di un ente (momento tetico) equivale a un negarsi
a un’infinità di possibilità e a rovesciarsi in un’alterità di un secondo
passaggio di sviluppo: l’antitesi del “negativo razionale”, del “fuori di sé”.
L’Assoluto, dalla dimensione logica, passa all’oggettivazione nella Natura, per
tornare infine “in sé e per sé” nello Spirito (dove si riconosce attraverso le
manifestazioni più elevate della civiltà umana). In simile ultima tappa si
chiude il ciclo, anche rispetto allo schema generico della dialettica hegeliana,
nel “positivo razionale”. Le suddette esposizioni sintetiche della “processo di
individuazione” e della dialettica hegeliana possono essere sovrapposte al fine
di evidenziare le tangenze concettuali di Jung di marca hegeliana. Il complesso
dell’Io, potenziale in relazione al processo di individuazione, è un soggetto
tetico astratto nella propria psiche. Se entra in atto, a proposito dell’iter
junghiano, questo nella fase di apertura offerta dalla controparte psichica
sessuale (anima o animus) attraverserà una fase di esperienza paragonabile al
“fuori di sé” hegeliano. E così, a un livello più alto, nel corso del possibile
invasamento del mana. Il rientro “in sé” contemplato nella dialettica di Hegel
equivarrebbe all’individuazione di Jung, dove nel parco psichico personale, il
complesso dell’Io avrà guadagnato una visione più nitida di ciò che gli stava
intorno e interno. I contributi tratti da Jung presso il pensiero filosofico,
oltre che al periodo a lui immediatamente vicino, possono farsi risalire anche
alla filosofia greca. Nell’idea di formazione dell’archetipo (all’interno
dell’inconscio collettivo) agisce un principio aristotelico: l’ideale del
raggiungimento, in ambito pratico, di una medietà che superi degli eccessi.
L’archetipo (rappresentante un punto di equilibrio) è un sostanziale
equivalente psicologico del “giusto mezzo”. Poi non è neanche da trascurare il
fatto che gli archetipi costituiscano degli universali libidici, paralleli a
quelli logici platonici (le Idee). Notiamo, alla fine, che la filosofia ha
fornito interessanti e utili spunti alla formazione del pensiero junghiano.
NOTA
Questo scritto è un estratto del mio saggio “Percorsi di analisi umanistiche (2018)”.
http://www.academia.edu/37182356/Percorsi_di_analisi_umanistiche
http://www.academia.edu/37182356/Percorsi_di_analisi_umanistiche