di DANILO CARUSO
È giusto, conforme a un principio di diritto razionale (naturale), consentire alle coppie gay la facoltà di ottenere “maternità surrogate” o semplici adozioni di “figli”? Dal mio canto etero ritengo che l’orientamento sessuale non debba mai comportare motivo di discriminazione, e che a persone ritenute dalla Legge maggiorenni sia lecito accoppiarsi in maniera libera nel rispetto della sanità del partner. Non giudico l’omosessualità né un reato (giurisprudenza laica) né un peccato (morale religiosa), però reputo che “matrimonio (stricto sensu semantico-concettuale)” sia quello alla base della “famiglia biologica”. Una “unione omosessuale” non ha la potenza (possibilità) procreativa naturale, e pur parificando questo legame nei diritti/doveri dei “congiunti” a quello (cosa che non respingo, ma auspico), ritengo che nel seno di una ufficiale unione omosex non possa entrare in forma organica un minore (da qualsiasi provenienza) in quanto il modello biologico non lo indica ammissibile. Una coppia omosessuale rispetta un “modello spirituale” (lecito) e non quello biologico ricordato, perciò i due non si possono sovrapporre riguardo al dettaglio dell’inserimento di figli: tale facoltà è “naturalmente” prerogativa di una coppia uomo/donna. Tutti gli artifici medici (e non) che coinvolgono terzi in maternità surrogate mi appaiono non rispettosi di un chiaro meccanismo “naturale”. Nel mio pensiero vincolo anche l’adozione di minori abbandonati alla famiglia biologica, non escludendo tuttavia l’ipotesi di affidamenti di minorenni a coppie di gay congiunti, nel tentativo di togliere quelli dalla precarietà in cui possano persistere, ma a condizione che la crescita ne sia monitorata sino all’eventuale maggiore età. Parlo di matrimonio nella sua veste di istituto soprattutto pedagogico in relazione alle figure genitoriali, le quali si presentano in Natura nelle forme fisiche del vir e della femina. Ciò che può sembrare discriminazione non rappresenta altro che una semplice constatazione della realtà: i figli nascono solo dal concorso (diretto o mediato) di tali suddetti poli. La coppia biologica è il modello progettuale naturale, ideale: con ciò senza sminuire le coppie omosessuali. Esiste una differenza ontologica fra i due schemi: dall’eterosessualità possono nascere i figli (physei), dall’omosessualità invece no (me physei). L’omosessualità è parà physin. Se l’ordine di Natura impedisce ai gay di procreare, credo che si debba prendere atto in modo semplice che tutto quanto sia ingresso di minori, in termini di maternità, in una coppia omosex non trovi un appoggio concettuale. Ho distinto un generico affidamento a carico di chiunque (il quale non equiparo a maternità). È vero che ci possono essere casi di coppie etero che non possono o non vogliono avere figli, tuttavia il modello genitoriale vir/femina permane nella sua costante validità. Nel matrimonio i coniugi sono liberi di tenere congressi carnali per puro piacere senza scopo procreativo, ma hanno normalmente pro tempore la potenza procreativa e sempre la validità di modello pedagogico naturale. In parole povere, non negando che una coppia omosessuale sia benissimo in grado di crescere e educare un bambino nella sua evoluzione, reputo che costui si troverebbe meglio a vedere davanti a sé la forma genitoriale canonica. E discuto da un punto di vista psicologico, io sono di orientamento junghiano. Con termini filosofici sopra, presi da Platone1, ho chiarito la distinzione, che non è discriminazione, di piani differenti, i quali, scaturiti da una riflessione razionale, producono risvolti giurisprudenziali, che ritengo obiettivi. Non li ho pilotati io, li ho solo seguiti: per me ciò che opera su livelli ontologicamente diversi non potrebbe essere commisto. La domanda non è: che cosa impedisce ai gay di tenere dei figli (in qualsiasi modo)? Ma: quale ragionamento universalmente valido dà la facoltà, da riconoscere sul versante giuridico, agli omosessuali di avere con sé dei bambini nella veste di figli? Distinguo la circostanza dell’affidamento, come detto, e prescindo da presunte buonissime intenzioni. Sottolineo soltanto che la Natura concede i figli allo schema femina/vir, al di fuori di esso mi è concettualmente, razionalmente, impossibile avvalorare come lecito un parallelismo in un altro campo. Ai miei occhi la questione è ontologica, con i relativi effetti in ambito pedagogico e giurisprudenziale. Ci sono due piani, uno spirituale e uno biologico. Eros e amicizia fanno parte del primo: dunque nessuna preclusione al costituirsi di unioni gay, parificate anche al matrimonio. Ma procreare è un fenomeno biologico: se non c’è un’accoppiata di fattori maschile e femminile non nasce nessuno. A mio avviso la dimensione spirituale gay, la quale nel campo delle sue proprietà non possiede una possibilità procreativa, non può invadere il piano biologico (per il semplice fatto che la Natura non l’ha previsto). Sottolineo questa dicotomia spirituale/biologico del mio ragionare, e mi fermo davanti ai meccanismi naturali. Può avere figli, adottati o surrogati, solo quello schema legittimato dalla Natura. La parità fra etero e omosessuali in ambito di unioni riguarda solo il piano affettivo, spirituale: per il resto la differenza biologica costituisce un elemento di forte dissonanza. Pretendere di avere dei figli da parte dei gay mi pare ragionamento in sé contraddittorio, equivalente al chiedere qualcosa senza possederne requisiti. Non sempre è lecito tutto ciò che piace, si potrebbe dire. Quanto dico scaturisce dall’osservazione dell’ordine fisiologico di Natura. Non ho per niente simpatia per le posizioni omofobiche, che ho sempre criticato, però non seguire una coerenza di analisi razionale non mi pare opportuno.
NOTE
Questo scritto è un estratto del mio saggio “Note umanistiche (2020)”
https://www.academia.edu/42022453/Note_umanistiche
https://www.academia.edu/42022453/Note_umanistiche
1 Per interessanti approfondimenti del mio punto di vista invito a leggere il seguente studio: