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domenica 3 maggio 2020

MODERNA CATARSI ARISTOTELICA IN DISTOPIA E FANTASY

di DANILO CARUSO

Il romanzo utopico negativo più famoso riguardante la religione cristiana è “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood (da cui ha tratto ispirazione una serie televisiva giunta alla terza stagione). Nel 2018 è uscita una distopia letteraria del genere, opera della scrittrice Christina Dalcher, dal titolo “VOX”. Ho letto il romanzo, su cui esprimo un giudizio positivo: prima o poi, credo, ne trarranno un film (o una serie). Descriverò l’ambiente sociale instauratosi nello scenario del testo, collocato negli USA contemporanei, dove un movimento integralista cristiano è riuscito a raggiungere i vertici del potere politico. Vittime designate del nuovo assetto le donne, a causa dell’applicazione del discriminatorio spirito paolino. La subordinazione femminile prospettata da parte di Paolo di Tarso nel Nuovo Testamento, in tal caso in linea col Vecchio, produce una serie di particolari provvedimenti. Innanzitutto le donne vengono estromesse da tutte le attività lavorative non casalinghe; a loro si prospetta una condizione di minorità giuridica in virtù della quale debbono avere un “capo”, un responsabile; possono scegliere tra due futuri: essere destinate a svolgere mansioni di meretricio in appositi locali, oppure sposarsi e occuparsi della famiglia. Sessualità rigorosamente agostiniana: tutto ciò che non è ordinato alla procreazione viene rigorosamente condannato, da varie pratiche eterosessuali sino all’omosessualità. I gay vengono internati in campi di concentramento e inseriti in celle a coppie etero, a scopo rieducativo. Ma la misura più tecnologicamente avanzata, che ispira il titolo del libro, è un braccialetto fisso al polso delle donne il quale consente a loro di poter dire solo 100 parole al giorno: in caso di infrazione si mette in moto un meccanismo eventualmente progressivo di scariche elettriche (alla fine mortale). A chi sembra simile scenario un futuro possibile negativo parto di una fantasia diabolica o malata, suggerisco di documentarsi sulle tecniche di tortura e di morte adottate dalle varie inquisizioni cristiane nei secoli scorsi. L’ignoranza o la distanza temporale non cancellano quei crimini contro l’umanità a danno di donne e uomini: streghe, eretici, omosessuali, non cristiani (il loro numero, imprecisato, va comunque valutato in termini di percentuale rispetto ai bassi valori demografici delle loro epoche, non in assoluto: allora non c’era molta gente in giro). Buttando la storia nel dimenticatoio, si può dire per assurdo ad esempio che tra cinque secoli non si parlerà più di Shoah: tanto sarà acqua passata, errori umani di chissà quando. Mentre a me pare che ci sia il rischio che dalla fogna della storia riemergano proprio quelle cose sommerse e dimenticate, in un vichiano possibile ricorso di ciò che non è stato materia di catarsi lucida attraverso la conoscenza. Nell’opera dalcheriana non mancano prassi di mortificazione e maltrattamento: alle donne ree vengono rasati i capelli al fine di produrre segmenti televisivi informativi in cui vengono mostrate, e quelle condannate definitivamente finiscono ai lavori forzati con braccialetti al polso sinistro che impediscono di parlare completamente (pena una pesante scarica elettrica). Oggigiorno le distopie hanno preso il luogo della catartica tragedia greca antica, nell’auspicio che nella mente del fruitore generico maturi un’idea particolare di monito nell’agire, sia singolo che sociale. Qualcosa di simile traspare anche dal genere fantasy, basti pensare al significato profondo di opere come “Il Signore degli Anelli” di Tolkien. Nel 2019 si è conclusa la serie televisiva de “Il trono di spade”, la quale ha tratto spunto da un ciclo di romanzi di George Martin, un ciclo tuttora in itinere, di cui ignoriamo il finale (che la serie in TV dal canto suo ha avuto dopo 73 puntate e otto stagioni). Mi limiterò a parlare della sola versione sceneggiata sul ciclo martiniano intitolato “Le Cronache del ghiaccio e del fuoco”. Vorrei indicare alcuni concetti junghiani non di rado presenti nei fantasy, sia scritti che messi in scena per la televisione o il cinema. Un primo aspetto generale che si nota nel nostro caso è il contrasto fra le inclinazioni deteriori umane (“ombra”) e gli archetipi guida sani (“il saggio”, “la madre”). Alcuni protagonisti sono combattuti interiormente e oscillano fra i due poli. A Tyrion Lannister, più volte primo cavaliere della corona (primo ministro, per dirla in termini non fantasy), viene concesso di raggiungere una saggezza archetipica. Diversamente dal fratello Jaime, il quale alla fine, nonostante progressi di responsabilità comportamentale, morirà con la sorella Cersei (con la quale teneva un’incestuosa relazione, da cui erano nati due re, presunti figli di un altro sovrano precedente: ecco un particolare tema di attinenza psicanalitica). Argomento molto junghiano è quello inerente alla “personalità mana”, cioè alla figura di chi esercita un potere “sovrannaturale”, di fronte agli altri esseri umani, in virtù di un legame privilegiato con l’inconscio collettivo. Qui finiranno per urtarsi due protagonisti: Daenerys Targaryen e Brandon Stark (“lo spezzato”, rimasto paralizzato alle gambe per opera di Jaime Lannister). Questi due rappresentano i due archetipi all’inizio ricordati: Madre Natura e vecchio saggio. Non per niente Daenerys è “madre” dei draghi, e ha facoltà da “personalità mana”, similmente a Brandon (Bran), ma in modo diverso. Infatti quest’ultimo, il “corvo con tre occhi”, possiede un mana di altra sostanza con poteri di veggenza, mentre la prima è una condottiera carismatica. Nel finale della serie televisiva Daenerys, dopo la presa di Approdo del re, viene uccisa a causa dei suoi eccessi distruttivi, vale a dire di una sua propensione in direzione dell’“ombra”, e Bran “lo spezzato” salirà al trono. L’ambito sedile materiale costruito con spade fuse assieme è stato distrutto da un drago subito dopo la morte di Daenerys: la meta dell’“ombra”, il potere politico, subisce una catarsi nella forma della sua assunzione non solo in maniera allegorica poiché il titolo di re finirà appunto a Bran, personificazione dell’archetipo del saggio. Il deragliamento della madre dei draghi alla volta di un comportamento non assennato, sarà il motivo del suo fallimento conclusivo; benché il di lei mana si sia schierato contro l’esercito degli “estranei” (zombi invasori), significativa rappresentazione generale e impersonale dell’“ombra” junghiana.