di
DANILO CARUSO
Quod sexus masculinus est nobilior
quam femineus, ideo humanam naturam
in masculino sexu assumpsit
[filius Dei].
Tommaso d’Aquino, “Summa
theologiae”
Tommaso
d’Aquino (1221-1274) è l’autore di una delle opere teologiche più importanti
della religione cattolica: la “Summa theologiae”. In vita fu noto come il Doctor
angelicus, nel 1323 fu proclamato santo e nel 1567 dottore della Chiesa. Nato
all’interno di una nobile famiglia, era stato avviato alla carriera religiosa
da subito. L’intenzione familiare di destinarlo al più alto ruolo nell’abbazia
benedettina di Montecassino venne frustrata quando lui scelse di entrare fra i
Domenicani. La famiglia lo tenne pertanto un paio d’anni in una sorta di
detenzione domiciliare in un proprio castello nel tentativo di fargli
riprendere il progetto originario. Lui resistette e la ebbe vinta. Allo scopo
di fargli cambiare idea gli avevano mandato pure una prostituta, che lui
minacciò con un tizzone cacciandola. Tra parentesi: nel pensiero tomista le
prostitute vengono paragonate all’impianto fognario di un palazzo e alla
puzzolente sentina di mare. La mano con cui scrisse le sue opere viene
custodita come reliquia nella chiesa di san Domenico a Salerno. Prima di morire
sembra abbia avuto una visione, in seguito alla quale smise di scrivere,
possibile sintomo di una forma psicopatologica derivata da nevrosi originaria.
Nella Questione 92 della prima parte della “Summa theologiae” san Tommaso
d’Aquino affronta il problema dell’origine naturale della donna e di quale sia
lo statuto ontologico di ella nella cornice del pensiero religioso cattolico. A
monte dell’analisi reputo indispensabile chiarire la sostanza concettuale
dietro la quale il Doctor angelicus si allineò. Il problema della misoginia
tomista non può essere banalizzato, perciò preferisco fornire gli strumenti di
lettura prima della lettura medesima, poiché l’altra operazione si presta a un
annacquamento generale volto ad alleggerire responsabilità storiche
nell’assunzione di posizioni antifemministe. Innanzitutto non è corretto dire
che l’Aquinate abbia riportato nella Quaestio VIIIC considerazioni
aristoteliche condite con salsa teologica. Simile aspetto sotto il profilo
speculativo costituisce la facciata della realtà. La verità sta nel fatto che
la “Bibbia” si rivela misogina, e che dalla Patristica in poi si cercò in
generale di costruire la teologia cristiana con mattoni filosofici greci. Il
povero Aristotele, i cui deficit in relazione ad antifemminismo e
legittimazione della schiavitù non sono però giustificabili in alcun modo, trovò
i suoi difetti di pensiero amplificati per secoli dalla Chiesa. La quale di lui
fece una zavorra del progresso scientifico per tantissimo tempo. Se ritroviamo
lo Stagirita nella “Summa theologiae” è solo a ragione di mera compatibilità
religiosa. Aristotele spiegherebbe in maniera (pseudo)scientifica quanto, e non
solo, il biblico libro della “Genesi” illustra ai fedeli: l’inferiorità della
donna rispetto all’uomo. Tommaso d’Aquino si colloca sul binario di Tertulliano
e di sant’Agostino, un binario che nel tempo ha imbarcato lo Stagirita, e non
il di questo maestro che di parità di genere fece professione. Perciò la scelta
del Doctor angelicus appare convinta, non gli mancavano altre possibilità di
valutazione più serie. Preferì seguire il filone canonico cristiano misogino.
Questo, come detto, poggia le sue radici all’interno della Scrittura1,
e in particolar modo in “Genesi”. Ho analizzato altrove brani interessati
direttamente in ebraico2 e riguardo all’antropogonia
veterotestamentaria qui mi limiterò a ricordare ciò che sia utile a questo
esame (rinviando là per approfondire). Dalla lettura delle comuni bibbie di
qualsiasi tempo si potrebbe notare come i Cristiani non abbiano capito affatto
il discorso della scissione androginica dalla quale nasce la donna. La favola
della “costola” scaturisce da pessima traduzione fuorviante. In questo discorso
è rimasto impelagato anche l’Aquinate, quindi quando parla di “costola”,
riferisce di una fantasia interpretativa non contenuta nel testo ebraico. Ciò,
di per sé, rappresenta un enorme errore per un’opera monumentale la quale ha la
pretesa di essere l’enciclopedia concettuale universale della fede cristiana:
se viene già giù un muro a causa di motivazioni non collegate direttamente a
motivi teologici, chissà quale potrà essere la tenuta generale del complesso
per via di altre eventuali sue parti deboli. Ma accantoniamo tale
considerazione e riprendiamo il tema conduttore della Questione 92. Nella
“Genesi” la donna trae origine dalla divisione di un androgino originario
(Adamo) e viene indicata quale ragione di un degrado ontologico della nuova
umanità a causa di quella separazione (il racconto mal tradotto della “costola”).
Successivamente col discorso del serpente e della tentazione alla donna le viene
attribuita una seconda ragione, di natura antropologica, dell’ulteriore
degradazione del genere umano. In parole povere nella “Bibbia” responsabile
dell’ingresso del male nel mondo è la donna (quella che sarà poi definita
“porta del Diavolo”). Il Doctor angelicus di tutta questa articolazione
narrativa non possiede integrale comprensione, gli manca chiarezza nella parte
iniziale. Tuttavia ciò non è servito, neanche prima di lui, ad azzoppare la
misoginia. I Cristiani, a cominciare da san Paolo (il quale però da Giudeo
aveva le idee chiare), ne hanno colto lo spirito genuino relegando il gentil
sesso a una posizione ontologica di serie B. La serie A è solo maschile, e ingaggiare
Aristotele costituì per loro un bell’acquisto. Tant’è che al principio della
Quaestio VIIIC san Tommaso d’Aquino lo ricorda subito a voler sottolineare
quanto pretenderebbe di mostrare quale una verità (pseudo)scientifica mediante
la formale autorità del «maestro di color che sanno». L’autore della “Summa
theologiae” è misogino. Al di là di quell’episodio legato alla sua giovanile
biografia, la sua repulsione verso le donne che appare evidente è consapevole,
al punto di pretendere di legittimarla scientificamente. Questa non emerge da
una mentalità astratta dell’epoca, viene fuori dall’insegnamento cattolico
medievale, il quale ha frenato l’emancipazione femminile creando fenomeni
degenerati (quale quello della caccia alle streghe, o delle sante anoressiche
per fare un altro esempio). San Tommaso d’Aquino celebra il genere maschile, e
sostiene che il femminile sia inferiore sotto tutti i profili, non ultimo
quello morale, egli ci spiega che la creazione del mondo, altro argomento sul
quale non possiede idee chiare riguardo al testo biblico3, non
poteva contenere niente di imperfetto. Dunque ad avviso di lui Dio creò la
donna in un secondo tempo facente parte dell’orbita del “peccato originale”.
Videtur quod
mulier non debuit produci in prima rerum productione. Dicit enim philosophus,
in libro de Generat. Animal., quod femina est mas occasionatus. Sed nihil
occasionatum et deficiens debuit esse in prima rerum institutione. Ergo in illa
prima rerum institutione mulier producenda non fuit.
[…] Per respectum
ad naturam particularem, femina est aliquid deficiens et occasionatum.
Il
teologo, entrato nel contesto più propriamente consono alla sua esposizione, si
appoggia ad altri discutibili ragionamenti. Fra cui quello strettamente
biblico, e non aristotelico, della donna vista nella veste di sprone di errore
nei confronti dell’uomo.
Praeterea,
subiectio et minoratio ex peccato est subsecuta, nam, ad mulierem dictum est
post peccatum, Gen. III, sub viri potestate eris; et Gregorius dicit quod, ubi
non delinquimus, omnes pares sumus. Sed mulier naturaliter est minoris virtutis et
dignitatis quam vir, semper enim honorabilius est agens patiente, ut dicit
Augustinus XII super Gen. ad Litt. Ergo
non debuit mulier produci in prima rerum productione ante peccatum.
Praeterea,
occasiones peccatorum sunt amputandae. Sed Deus praescivit quod mulier esset
futura viro in occasionem peccati. Ergo non debuit mulierem producere.
Nel
momento in cui il Doctor angelicus spiega l’origine della donna con la
necessità di dare un sostegno all’uomo entra in contraddizione teologica:
l’universo creato senza donne non era poi così perfetto se c’è stato bisogno di
aggiungerle, ma al posto di equipararle a un grado di positività con una
riflessione platonica lui rimase aristotelico per scelta. Dopo aver
contraddetto la “completezza” del mondo di soli uomini (l’Adamo originario del
testo ebraico è in realtà un androgino, però l’Aquinate non l’ha capito),
mantiene le donne nella serie B. Loro servono solo per la riproduzione del
genere umano, per tutto il resto la migliore compagnia di un maschio è un altro
maschio. Il teologo ribadisce che caratteristica delle donne è la “deficienza”,
non soltanto morale, ma altresì fisiologica.
Dicitur Gen. II,
non est bonum hominem esse solum; faciamus ei adiutorium simile sibi.
Respondeo
dicendum quod necessarium fuit feminam fieri, sicut Scriptura dicit, in
adiutorium viri, non quidem in adiutorium alicuius alterius operis, ut quidam
dixerunt, cum ad quodlibet aliud opus convenientius iuvari possit vir per alium
virum quam per mulierem; sed in adiutorium generationis. Quod manifestius
videri potest, si in viventibus modus generationis consideretur.
Il
maschile rappresenta il positivo e l’attivo, il femminile il negativo e il
passivo.
Animalibus vero
perfectis competit virtus activa generationis secundum sexum masculinum, virtus
vero passiva secundum sexum femininum. Et quia est aliquod opus vitae nobilius
in animalibus quam generatio, ad quod eorum vita principaliter ordinatur; ideo
non omni tempore sexus masculinus feminino coniungitur in animalibus perfectis,
sed solum tempore coitus; ut imaginemur per coitum sic fieri unum ex mare et
femina, sicut in planta omni tempore coniunguntur vis masculina et feminina,
etsi in quibusdam plus abundet una harum, in quibusdam plus altera. Homo autem
adhuc ordinatur ad nobilius opus vitae, quod est intelligere. Et ideo adhuc in
homine debuit esse maiori ratione distinctio utriusque virtutis, ut seorsum
produceretur femina a mare, et tamen carnaliter coniungerentur in unum ad
generationis opus. Et ideo statim post formationem mulieris, dicitur Gen.
II, erunt duo in carne una.
[…] Virtus activa quae est in semine maris, intendit producere sibi
simile perfectum, secundum masculinum sexum, sed quod femina generetur, hoc est
propter virtutis activae debilitatem, vel propter aliquam materiae
indispositionem, vel etiam propter aliquam transmutationem ab extrinseco, puta
a ventis Australibus, qui sunt humidi, ut dicitur in libro de Generat. Animal.
Come
riesca l’Aquinate ad attribuire a Dio una componente negativa in un progetto
iniziale perfetto rimane oscuro e contraddittorio, a meno che non si debba
concludere che la divinità biblica abbia vivissimi disprezzo e odio nei
riguardi delle donne al punto di emarginarle volutamente.
Per
comparationem ad naturam universalem, femina non est aliquid occasionatum, sed
est de intentione naturae ad opus generationis ordinata. Intentio autem naturae
universalis dependet ex Deo, qui est universalis auctor naturae. Et ideo instituendo
naturam, non solum marem, sed etiam feminam produxit.
Ma
l’effettiva cosmogonia di “Genesi” sottoposta a ermeneutica più obiettiva
scandisce meglio i momenti. Il Dio biblico veterotestamentario rappresenta in
verità un demiurgo platonico che diviene misogino a causa della scissione
androginica e della disobbedienza della donna tentata dal serpente. La sua
misoginia è giustificata a posteriori. San Tommaso d’Aquino cerca di farlo a
priori mirando a incorniciare tutto nell’onniscienza divina: in seguito a ciò
nascono le sue contraddizioni. Il Dio dell’Antico Testamento non tiene tutto in
pienissimo potere, si mostra soltanto il più potente tra i vari Dei4.
Nel suo amore per lo Stagirita il futuro dottore della Chiesa lo rievoca ancora
alla fine della Quaestio VIIIC: è lecita una struttura gerarchica nell’umanità,
legittimante la subalternità. “Signori/servi” in generale, però il Doctor
angelicus torna a spiegarci una “naturale” subalternità delle donne di fronte
ai maschi. Questi in assoluto sono portatori di un livello superiore di
ragionevolezza, tuttavia pure al loro interno si dà ulteriore gerarchia: se le
femmine sono di serie B, ci sono uomini di A1, A2… A quanto pare esistono, in
virtù di simili considerazioni, “deficienti” (tutte le donne, una parte degli
uomini) bisognosi di una guida maschile qualificata a tutela stessa dei primi.
In aggiunta ad Aristotele in queste reazionarie riflessioni è da vedersi
misoginia paolina accanto a quella generica canonica.
Duplex est
subiectio. Una servilis, secundum quam praesidens utitur subiecto ad sui ipsius
utilitatem et talis subiectio introducta est post peccatum. Est autem alia
subiectio oeconomica vel civilis, secundum quam praesidens utitur subiectis ad
eorum utilitatem et bonum. Et ista subiectio fuisset etiam ante peccatum,
defuisset enim bonum ordinis in humana multitudine, si quidam per alios
sapientiores gubernati non fuissent. Et sic ex tali subiectione naturaliter
femina subiecta est viro, quia naturaliter in homine magis abundat discretio
rationis. Nec inaequalitas hominum excluditur per innocentiae statum.
La
conclusione della Questione 92 conferma la contraddizione tomista. Il teologo
di Aquino attribuisce de facto a Dio l’incapacità di progettare un cosmo senza
elementi negativi (le donne), e cerca di salvarlo dall’imbarazzo teologico
asserendo che egli trae comunque del bene dal male.
Si omnia ex
quibus homo sumpsit occasionem peccandi, Deus subtraxisset a mundo, remansisset
universum imperfectum. Nec debuit bonum commune tolli, ut vitaretur particulare
malum, praesertim cum Deus sit adeo potens, ut quodlibet malum possit ordinare
in bonum.
Ma
se Dio era onnipotente e onnisciente perché non ha evitato quanto questo
venturo dottore della Chiesa reputa male (il genere femminile)? Allora, sulla
base della Quaestio VIIIC, o Dio non è onnisciente e onnipotente, oppure le
donne non rappresentano ontologicamente alcunché di negativo. E in entrambi i
casi l’autore della “Summa theologiae” entra in contraddizione, costretto a
rinunziare o all’onnipotenza divina o alla misoginia. Voglio rammentare che il
manuale più famoso nella caccia alle streghe proviene dall’opera di due
domenicani, Kramer e Sprenger, i quali ebbero come base pseudoconcettuale,
oltre a specifiche nevrosi personali, tutta la gamma di pensiero misogino che
lega Aristotele a Tommaso d’Aquino. Il “Malleus maleficarum” chiarisce che la
stregoneria è caratteristica femminile più che maschile, e che essa costituisca
una pratica di servizio demoniaco, nella cui repressione sono lecite torture e
uccisioni. Oggigiorno, in una società più progredita di quella dei secoli
scorsi, sembra difficile negare la sorgente psicopatologica di simile
letteratura sprone a uno dei fenomeni più aberranti della Civiltà occidentale.
La caccia alle streghe, per il modo in cui è stata condotta negli ambiti
cristiani, rappresenta senza dubbio un crimine contro l’umanità, un gravissimo
delitto contro la dignità del genere femminile, emarginato, violentato e ucciso
nella storia sulla base di idee non scientifiche e assurde. Aver tenuto lontane
le donne dallo studio e dalla politica si rivela altresì un secondo crimine il
quale ha privato l’Occidente di un preziosissimo contributo di crescita di cui
ancora oggi si pagano le conseguenze in termini di contributi. Quando si chiede
perché la filosofia, la letteratura, la politica del passato erano solo al
maschile, la risposta è: perché qualcuno ha fatto di tutto allo scopo di
estromettere le donne. E di questo “tutto” parla oggi la storia a chi voglia
conoscerla seriamente, togliendo la mortadella dagli occhi anche in relazione
alla fenomenologia dei femminicidi contemporanei, risultato di una
sedimentazione psicoarchetipica negativa nell’inconscio maschile durante i
secoli. Se nel XXI secolo le donne a causa di mano maschile vengono ancora
uccise, subiscono danni fisici e morali, per motivazioni pseudosentimentali,
per non voler stare con un preciso uomo, è perché nel mondo occidentale è stato
a lungo insegnato dalla religione dominante cristiana che i maschi comandano e
le femmine ubbidiscono. Tale archetipo maschile dell’Ombra esiste ancora
operante: le donne che non si adeguerebbero alle inique pretese maschili
verrebbero punite nel contesto di un formale meccanismo nevrotico che
prevedrebbe l’automatica subordinazione femminile (venuta meno). Le vittime sono
tornate a essere “streghe”. Va rivolto un plauso ai Protestanti che hanno
riconosciuto il sacerdozio femminile: questo è stato un concreto gesto mirante
a voler de facto dimostrare la parità di genere. L’antifemminismo cristiano ha
posseduto una fortissima connotazione sessuofobica. La mariologia ha costruito
un modello di donna ideale di natura schiettamente misogina. La madre del
Salvatore doveva essere scremata di tutte le ritenute negative qualità
femminili, così è accaduto che in lei sia rimasto niente di autentica
femminilità. Cristo viene al mondo per compenetrazione, lasciando l’imene
mariano intatto, come quando ella rimase incinta per virtù dello Spirito Santo.
Si tratta di un’inseminazione e di un parto cesareo metafisici, prodotti di una
mentalità sessuofobica a cui si omologa il Doctor angelicus nella “Summa
theologiae”: «Secundum Augustinum, in libro de nuptiis et concupiscentia,
libido est quae peccatum originale transmittit in prolem». Per la teologia
dell’Aquinate la Madonna venne purificata a due riprese dal peccato originale:
quando fu destinataria della scelta di farle condurre la maternità divina nello
stadio prenatale, in modo parziale; e al momento del concepimento di Gesù, in
modo definitivo. Quest’ultimo evento segnerebbe lo spartiacque definitivo tra
concupiscenza e santità in lei. Ella sarebbe passata indenne, in precedenza, al
cospetto di quella. Il teologo non ammetteva il possesso mariano di una
perfezione completa già in partenza prima della venuta (concepimento) di Gesù
Cristo, possessore e concessore di quella qualità. Il Messia non poteva nascere
normalmente, secondo natura, poiché la dinamica normale evoca il congresso
carnale, e questo rientra nella materia morale inerente a concupiscenza e
continenza. A Maria viene perciò tolta la libertà di nutrire un interesse
sessuale e la facoltà di partorire naturalmente: che cosa le resta di
femminile? Quasi niente, solo l’aspetto. L’iconografia è sempre stata quella di
una giovane donna distaccata, irrigidita in uno schema celeste. L’unica
eccezione è stata data dalle Madonne delle latte5, le quali non
ebbero vita lunga. Era pericolosa una Mater Dei a seno nudo impegnata in una
funzione femminile post partum: troppo carnale per sopravvivere dentro a un
clima concettuale di disprezzo della corporeità e dei suoi aspetti fisiologici.
Nel 1854 il Papa Pio IX proclamò un dogma contenente sempre un contenuto
antifemminista in relazione alla nascita della Madonna, ventura Mater Dei, ma
ribaltando l’impostazione di forma tomista. Da allora la teologia cattolica ha
spiegato che l’immacolata concezione di Maria ha portato ella al di fuori della
potestà del Demonio al 100% (tutte le rimanenti donne vi permangono in potenza comunque).
Il dogma di Pio IX priva la Madonna alla radice del difetto della concupiscenza
a tutti i livelli, compreso quello sessuale. Deduciamo che abbia sposato
Giuseppe in seguito a un puro obbligo esterno alla determinazione della propria
volontà giacché non avrebbe dovuto nutrire nessun interesse verso un uomo
essendo costitutivamente rivolta a Dio. E ciò si riaggancia alla tomista “Summa
theologica”: «Quod beata virgo mater Dei ex familiari instinctu spiritus sancti
credenda est desponsari voluisse, confidens de divino auxilio quod nunquam ad
carnalem copulam perveniret, hoc tamen divino commisit arbitrio. Unde nullum
passa est virginitatis detrimentum». Il dogma dell’immacolata concezione porta
a compimento una problematica affrontata dalla Scolastica: sanificare
l’“incubatrice” del Verbum Dei da tutte le connotazioni negative riconosciute dal
Cristianesimo al gentil sesso. Da un essere di serie B, dalla “porta del
Diavolo” non poteva nascere il Redemptor mundi; la teologia non poteva
tollerare una simile idea. Quindi già dalla Patristica si iniziò a creare una
nicchia speculativa in cui infilare la madre di Gesù al fine di separarla dal
novero delle comuni donne, le quali poi sono quelle normali. Il dibattito sulla
preservazione di Maria dal peccato originale (i cui effetti: morte e
concupiscenza) ha giocato solo a danno di lei. Nel momento in cui si è misurata
la prossimità a lei del peccato originale e si è spostata la concessione
integrale dell’immunità a dopo il concepimento le si è lasciata la natura
femminile e la si è mantenuta sul più basso livello teologico di “incubatrice
divina”. Ciò è avvenuto per non esaltare troppo il ruolo di quel soggetto di
serie B. Il dogma dell’immacolata concezione sembra figlio della fine della
caccia alle streghe, fine ottenuta dal progresso illuministico della società
occidentale. La postulazione dogmatica di Pio IX a metà del XIX secolo nello
stabilire l’estraneità della Madonna alla concupiscenza ha radicalmente rimosso
una grande fetta della libertà al modello femminile dei cattolici. Quell’idea
di perfezione morale si alimenta di una ferrea circoscrizione comportamentale,
misogina e sessuofobica. A Maria non è mai stato chiesto preliminarmente né
assenso né parere in tutto ciò che la riguardò nella sua vita terrena:
ricevette l’imposizione divina senza facoltà di potersi rifiutare. Infatti si
tratta del modello di donna subordinata sempre, con o senza dogma, al principio
maschile. Nello schema mariologico deve essere cancellata la fisiologia
specifica femminile, collocata su un piano ontologico inferiore negativo. Il
dogma del 1854 colpisce le donne attraverso uno strumento sostitutivo della
loro estinta persecuzione precedente: alla misoginia ecclesiastica rimase una
forma di accanimento dottrinario, il quale peraltro continuò a promuovere la
privazione dei diritti politici alle donne sino a inizio del ’900. San Tommaso
d’Aquino nella “Summa theologiae” affermò che il Figlio di Dio si incarnò in un uomo giacché il sesso maschile è il
più nobile; e il Cattolicesimo tutt’oggi rifiuta il sacerdozio femminile
adducendo che la natura biologica di Cristo fosse quella del “vir” e che perciò
la dignità sacerdotale spetti unicamente agli uomini.
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Teologia
analitica”