di
DANILO CARUSO
Μηδὲ
γυνή σε νόον πυγοστόλος ἐξαπατάτω
αἱμύλα
κωτίλλουσα, τεὴν διφῶσα καλιήν.
Ὃς
δὲ γυναικὶ πέποιθε, πέποιθ᾽ ὅ γε φηλήτῃσιν.
Esiodo,
“Le opere e i giorni”
In
quest’analisi riprendo un filo tematico che si ricollega a un mio precedente
scritto: Radici sumere di Ebraismo e capitalismo1 nel mio saggio “Note di critica” (2017). Là parlai, fra l’altro, con
brevissimo accenno, dell’origine della filosofia. Qui chiarisco meglio
l’argomento (al fine di approfondire rinvio al testo citato sopra e ai suoi
ulteriori rinvii indicati in esso). La filosofia antica è sorta da una
forma nevrotica misogina in seno alla Grecità. Il padre di tale fenomeno, da
cui deriva la sequenza di coloro “ufficialmente” considerati filosofi, è
Esiodo. È costui ad accendere l’interruttore filosofico greco. Egli veicolò in
modo canonico nella cultura ellenica il maschilismo patriarcale e antifemminista
del Vicino Oriente, di cui subì l’influsso spirituale. In quest’area geografica
la misoginia, eccezion fatta per l’Egitto e la progressista parentesi
babilonese, era molto forte, effetto della reazione al precedente matriarcato
socialista di cui ha trattato Bachofen. Le popolazioni vicino-orientali
costruirono aggregati sociali semibarbarici riguardo al progresso civile. Le
donne nella giurisprudenza di questi erano poste su un piano nettamente
secondario rispetto agli uomini. Di tale stampo sarà ad esempio il sistema
sociale ebraico veterotestamentario. I vicino-orientali vedono nella presenza muliebre
la causa del male nel mondo. Simile idea fu ripresa da Esiodo ne “Le opere e i
giorni” laddove parla di Pandora. La cosa però si inserisce in un ambito più
generale di fenomenologia misogina. Il matriarcato bachofeniano terrestre
originario è stato ovunque sovvertito, su larghissima scala si è imposto un
maschilismo socialmente deleterio. Nel Vicino Oriente la cultura è restata semibarbarica,
il dominio patriarcale si è perciò sviluppato in modo bruto e violento seguendo
una formula attivistica che privilegia l’uso della forza (e il suo auspicato
successo) quale segno dell’elezione di un Dio maschio nazionale (lo stesso
criterio vale di fronte agli schemi politeistici, dove il femminile viene
subordinato al maschile). Nel rigetto delle qualità muliebri si è quasi
globalmente consumata un’operazione nevrotica. Jung ha chiarito che le funzioni
coscienti (in senso lato razionali) della psiche umana sono la ragione e il sentimento.
La misoginia maschilista in questo assetto psichico di facoltà personali
contigue, le quali però non si escludono naturalmente a vicenda a ragione della
loro diversità, ha creato una frattura. Esse operano in ciascun essere umano
normale a prescindere dalla sua identità sessuale, tuttavia la nevrosi
maschilista nel rifiutare una connotazione positiva alla donna ha comportato
che la funzione razionale (in senso stretto), in virtù di uno schema di
opposizione esclusiva, sia stata quasi integralmente concentrata quale
patrimonio distintivo dell’uomo. Perciò al polo femminile è rimasta la carenza
di ragione e la preponderanza del sentimentale. Questa è l’ottica derivata
cristiana, ad esempio. Nella più remota antichità da un anteriore lato si
colloca il pacifico matriarcato socialista ricostruito da Bachofen nelle sue
analisi, matriarcato che proprio a causa di un dominio, ma non integralista,
della facoltà sentimentale, aveva garantito un benessere diffuso. Dall’altro
lato successivo si pone il nuovo regime sociale maschilista che ha soppiantato
il primo, il quale tuttavia nell’antico Egitto riuscì, tra alti e bassi, a far
permanere una “moderna” concezione giuridica della donna. Oltre a ciò è da
ricordare che l’abbigliamento casalingo delle Egizie era ridotto al minimo: si
andava dal praticamente svestite a una veste trasparente senza reggiseno (siamo
agli antipodi dei principi religiosi cristiani e islamici di derivazione
giudaica).
Il
matriarcato maschilista orientale si sviluppò in forma più o meno barbarica
poiché l’uomo qui non riuscì a produrre una nevrosi intellettualmente raffinata
come quella di Esiodo. Il dominio maschile nel Vicino Oriente si manifestò quale
esercizio della forza sulla donna: la ragione della violenza. La quale si
intravede nelle possibili sanzioni a carico femminile: annegamento nei fiumi o
impalamento per colpe quali tradimento matrimoniale o aborto. Si tratta di
livelli di aberrazione trasmessi alla misoginia cristiana che fece scempio del corpo
della donna: una fenomenologia perpetrata da pazzi criminali e meritevole, a
mio modesto avviso, dell’imputazione di crimine contro l’umanità.
La
Patristica e la Scolastica gettarono le basi nevrotiche teoriche della moderna
caccia alle streghe. Quando si tenta di contare quante donne furono torturate e
uccise, e si cerca di andare al ribasso sui numeri, anche se questi fossero
“per così dire” pochi, questi numeri non vengono posti in relazione alla
popolazione di quelle epoche: in tutta Europa nel XIV sec. c’erano 70 milioni
di persone (maschi e femmine), nel XVI 78, nel XVII 112. Il dato medio stimato
delle vittime viene quantificato intorno a 50.000 in tre secoli, mediamente
circa 15.000 a secolo, 150 all’anno, un femminicidio un giorno sì e uno no. La
popolazione italiana di oggi è intorno a 60.500.000 unità, e le donne uccise
annualmente dal 2012 al 2018 sono state 157, 179, 136, 128, 116, 121, 142: si
può notare che la proporzione media “da caccia alle streghe” sia rispettata e
ripetuta (altresì per eccesso). Ma sarebbe anche il caso di prendere le giuste
critiche ai femminicidi odierni e di porle quale metro storiografico sulle
vittime della nevrosi cristiana testé illustrata. L’istituto cui fecero capo quelle
efferatezze, non le uniche, del passato più remoto (Inquisizione /
Sant’Uffizio) è tuttora esistente con altra denominazione (Pontificia
congregazione per la dottrina della fede). Non è stato soppresso dalla Chiesa
similmente all’“Indice dei libri proibiti”: si dà perciò una continuità storica
che in altri casi altrove è stata qualificata “reato”. La legislazione italiana
proibisce la ricostituzione del partito fascista in quanto organizzazione
ritenuta pericolosa a causa delle sue idee passate: alla Chiesa è stato
concesso uno spazio di emendamento (dottrinario) da fatti plurisecolari, al
partito fascista no per eventi (pur sempre molto tragici nel caso della
sconfitta bellica in particolar modo) legati a un ventennio (l’antisemitismo
ecclesiastico, per dire, va dalla Patristica al ’900). La popolazione europea
dei nostri tempi è composta da più di 700 milioni di cittadini: si può
affermare che se la caccia alle streghe si fosse svolta con questo numero
(oppure oggi), con più inquisitori a disposizione, la proiezione delle vittime
sarebbe stata nel Vecchio Continente di almeno un migliaio all’anno? Quantomeno
100000 a secolo? Per approfondimento sul pensiero misogino cristiano consiglio
di leggere un mio saggio: “Teologia analitica”2. Il barbarico
ancestrale e nevrotico razionalismo maschilista terrestre ha generato l’attivismo
a cui più sopra accennato. Dall’Ebraismo questo è giunto al Protestantesimo e
al moderno capitalismo. Quanto successo nella Grecia esiodea è particolare. Su
scala generale e in maniera tendenziale più un popolo si mostra meno barbarico
più intellettuale sarà la sua misoginia. Ne “Le opere e i giorni” Esiodo
ripropone attraverso il mito di Pandora il cliché concettuale vicino-orientale
che imputa alla donna l’origine del male nel mondo: è lo stesso della biblica
“Genesi”, e al pari di altrove vuole a posteriori appiccicare una colpa
primordiale su uno specifico soggetto. Misoginia biblica e misoginia
greco-antica sono imparentate, e non si può giustificare la prima asserendo che
la mentalità antica era quel che era a proposito delle donne. Il sacrificio di
Ifianassa e quello della figlia di Iefte sono espressioni di una medesima
mentalità, però il primo femminicidio non ebbe il potere di legittimare una
consequenziale possibilità assassina (pensiamo alla fine della regina
Gezabele). L’antifemminismo greco era più moderato di quella biblico, fu questo
a sostituirsi forzatamente e ad aggravare il primo (non così nefasto come l’altro).
La caccia alle streghe e la radicale emarginazione sociopolitica muliebre
furono autonomi parti nevrotici del Cristianesimo. Lo stare segregate in casa e
il rimanere nell’ignoranza non fu comunque una condizione positiva vissuta
dalle donne greche antiche comuni; fecero eccezione a queste degenerazioni le
Lacedemoni, a Sparta non c’era la filosofia, ma il primato di un’emancipatrice
e razionalistica disciplina militare. La Grecità antica non perseguitava
streghe (né le torturava né le uccideva), possedeva sacerdotesse, considerava
giuridicamente la donna al pari di soggetti minorenni, non diceva che erano
porte del Diavolo nelle proprie iperboli nevrotiche. La misoginia esiodea si
presenta subito con l’abito filosofico: se l’uomo, il vir, è colui che possiede
“per Natura” la ratio, e non solo la vis, lo dimostri. Le condizioni storiche
hanno agevolato il Genio greco nel maturare la nascita della filosofia, della
ricerca razionale misogina. Altrove non ci sono riusciti così radicalmente,
sono rimasti chiusi dentro il sistema la cui impronta si deve rispetto al grado
di smarcamento dalla barbarica reazione al matriarcato. Esiodo costituisce
l’Abramo filosofico, il chiamato; rappresenta il Mosé filosofico, colui che
codifica razionalmente l’antifemminismo nei testi sacri: “La teogonia” e “Le
opere e i giorni”. La nevrosi esiodea è intellettuale, e così rimarrà nella
Grecità antica sino all’arrivo del Cristianesimo: col femminicidio di Ipazia di
Alessandria si apre la possibilità di persecuzione fisica delle donne nella
società occidentale grecoromana cristianizzata, una persecuzione di ispirazione
nevrotica. Che cosà arginò l’elaborazione misogina greca? L’influenza culturale
egizia. La misoginia della Grecia antica si pone a metà strada tra due poli
opposti: Egitto e Vicino Oriente. In parole povere i Greci furono antifemministi
radicali a parole, ma moderati nei fatti a paragone del violento Vicino
Oriente. Il dover essere un testimone maschilista del razionalismo comportò per
l’uomo greco istruito un darsi da fare che diede origine alla ricerca
filosofica, a partire da Esiodo. Il benessere sociale commerciale della Ionia
giocò a favore della nascita della filosofia, la cui pratica poi si diffuse
nella Grecità laddove offrì possibilità di coltivare gli studi. Sulla falsariga
di ogni filone intellettuale anche lo schema originario filosofico misogino
ebbe i suoi eretici (filofemministi sui generis), i quali cercarono di
correggere un assurdo principio di esclusione alla base. Parmenide si faceva
spiegare la natura delle cose da una dea, mentre Eraclito affermava che il
polemos è “padre” cosmico. Il maestro di Aristotele li rimetterà assieme in una
unità formale per così dire androginica. Fra i discepoli socratici degno di
nota aggiuntiva Aristippo: nella scuola filosofica cirenaica fu la figlia e
allieva Arete a prendere il posto di guida quando il padre venne meno. Socrate costituisce
l’iniziatore di una filosofia più aperta. Il maestro di Platone venne
giustiziato giacché scomodo e pericoloso agli occhi della società conformatasi
al quadro esiodeo. Socrate, Ipazia, Bruno, Galileo si trovano sullo stesso
binario spirituale, però si fermano in diverse città della storia: gli ultimi
tre nella cristiana Città di Dio. Ne “Le opere e i giorni” Esiodo scrive:
La donna coll’abito-modellato-sul-lato-B
non inganni la mente
[essendo] astuta
adulatrice nelle parole in cerca della dispensa.
Chi si fida
della donna, si fida dei ladri.
La
filosofia greca, in quanto preciso prodotto culturale di allora, è nata (al
pari della sessuofobia cattolica) allo scopo di documentare che si può (e si
deve) dimostrare la capacità di resistenza maschile all’attrattiva muliebre, alla
γυνή πυγοστόλος, mediante un uso integrale della ratio (infatti il paradiso
terrestre cristiano era privo di piacere sessuale prima del peccato originale, tanto
quanto lo è il paradiso post mortem). La ricerca filosofica di stampo greco
aveva nel suo DNA l’antifemminismo vicino orientale. La tradizione cristiana andò
a privilegiare il misogino Aristotele, anteponendolo al più equilibrato Platone
(il quale aveva appreso la lezione egizia). L’Impero romano e la Grecia antica
furono peggiorati dalla misoginia cristiana la quale si sovrappose a culture antifemministe
più moderate (quella romana aveva fuso in precedenza vis e stoicismo). Non si
può giustificare la misoginia del Cristianesimo guardando al più mite humus
grecoromano, anzi ci si deve rammaricare che questo non resistette
all’apportato deterioramento religioso. Era semmai il Cristianesimo a non dover
dire, a partire dalla Patristica, e ancor prima da Paolo di Tarso, certe funeste
bestialità antifemministe, a doversi moderare osservando la migliore
ragionevolezza greca. Ma la novella religio stabilì che la Rivelazione (misogina
esagerata) fosse superiore alla filosofia (misogina moderata), perciò la
seconda ha faticato ad ammettere la dignità di un pensiero filosofico espresso
da donne. Una filosofa significativa come Simone Weil non trova facilmente
spazio ad esempio nei manuali di storia del pensiero. Platone fu il primo a
equiparare donne e uomini nella ricerca razionale, poiché la ragione appartiene
al genere umano, non a quello maschile quale contrassegno specifico: nel
“Simposio”, addirittura una femmina, Diotima, insegna a Socrate (aberrante allo
sguardo di Paolo di Tarso!). Aristotele, molto amato dalla teologia cattolica,
rappresenta invece il teorico pseudoscientifico dell’inferiorità muliebre.
Durante l’Ellenismo la dicotomia stoicismo/epicureismo testimoniò una singolare
scissione nella già pregiudicata unità psicologica della filosofia. Il primo
costituì un ulteriore passo formalmente nevrotico in avanti grazie al suo
predominio maschilista della Ragione (l’etica del dovere semitica sarà adottata
da Roma in funzione di propria ideologia). Il secondo diede spazio a temi
inerenti alla libido e a Madre Natura (Lucrezio nel celeberrimo incipit del suo
trattato poetico filosofico celebra una divinità “femminile”). Il Cristianesimo
si riagganciò nel corso della sua origine allo stoicismo riprendendo il
concetto di Logos (poi divenuto Verbo, Parola di Dio) a fondamento del creato.
Il maschilismo misogino di diverse parti confluì nella nuova religione
cristiana sessuofobica opposta all’atomismo epicureo e allo studio scientifico
della Madre Terra. Dal “femminile” della filosofia nascerà la scienza moderna,
osteggiata dal maschilismo cristiano stoicizzante (che accettava quieto le
sofferenze nella veste di un’anticipazione di paradiso) e aristotelizzante (si
veda il caso Galileo), e la psicanalisi, ossia l’analisi di quella “libido” a
monte razionalistico nevrotico inquadrata come “male (muliebre)”. Il compito
della filosofia, della ricerca razionale è quello di essere obiettiva nella sua
procedura abbandonando pregiudiziali e discriminatorie esclusioni. La filosofia
costituisce la religione della Ragione, le religioni sono le filosofie popolari
(credere a dogmi rassicuranti senza spiegazione rimane più confortevole dell’intraprendere
un’investigazione sulla scia dell’Odisseo omerico, infatti quello dantesco
viene punito a causa del fatto di aver violato l’imposizione del vincolo
conoscitivo, già violato da Eva nella “Genesi”). Alla conclusione del presente
piccolo studio posso riassumere questo e quello citato in apertura
proiettandomi alla volta di un’ipotesi di ricostruzione dei fatti non solo
terrestri più ampia. È possibile che nel nostro sistema solare i pianeti
abitati da umani fossero quattro: Venere, Terra, Marte, il pianeta distrutto
sostituito dalla fascia degli asteroidi. Penso che il quarto pianeta sia
Plutone, la cui orbita si mostra anomala rispetto a quella degli altri (quasi
circolare e giacente su uno stesso piano). Plutone possiede un’orbita
marcatamente ellittica, sembra che sia stato “catturato” in un tentativo di
allontanamento: a mio avviso lo spostamento orbitale dalla sede della fascia
degli asteroidi (dove la legge di
Titius-Bode stabilisce ci dovrebbe essere un pianeta). Un dettaglio non
irrilevante sul declassato pianeta proviene dalla presenza dell’acqua. Ipotizzo
una molto violenta e catastrofica eventualità che spinse Plutone al di là della
sua originaria orbita verso l’esterno del sistema solare (cui rimase tuttavia
“ancorato”; nel posto di partenza sarebbero rimaste le briciole non riuscite a
sfuggire all’attrazione gravitazionale solare). Sospetto un evento bellico
interplanetario il quale distrusse le civiltà di Venere, Marte, Plutone
primordiale. I sopravvissuti si riversarono sulla Terra e su qualche altro
sistema planetario. Sul nostro pianeta abbiamo l’idea di Bachofen di un
matriarcato socialista iniziale abbattuto a vantaggio dell’attivismo
maschilista (patriarcale e antifemminista). Tale dicotomia ci fa immaginare la
causa della guerra interplanetaria. L’espansione attivistica maschilista
capitalistica a scapito di civiltà planetarie matriarcali. Il duello si sarebbe
riproposto sulla Terra, col tratto
delineato nel presente scritto: l’adozione della misoginia maschilista quale
reazione e risposta al socialismo matriarcale femminile. La storia del
colonialismo terrestre conferma quest’impianto. Tutte le vicende post-matriarcali
occidentali si svolgono sotto egida attivistica irrazionalistica, e nevrotica,
e nella misoginia conservano una propria linea strutturale patologica. Certi
uomini odiano le donne poiché col di loro “sentimentale” genio socialista
pericolose nei confronti del dominio espansivo maschile attivistico:
capitalismo versus socialismo. Le commerciali Ionia e Magna Grecia produssero
filosofia come nevrotico segno di superiorità maschilista. Due ultime osservazioni.
1) L’Atlantide di Platone si trovava su un altro pianeta (la possibile civiltà
di Plutone)? 2) I nomi dei pianeti Venere e Marte adombrano due civiltà
planetarie rispettivamente di impronta originaria matriarcale socialista e
patriarcale capitalista?
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Percorsi critici”
https://www.academia.edu/44476394/Percorsi_critici
https://www.academia.edu/44476394/Percorsi_critici