di
DANILO CARUSO
Un disegno di Egon Schiele del 1918 |
Giudico
gran parte del porno una volgarità (cioè privo di grazia), un materiale messo a
disposizione della fruizione di soggetti poco raffinati dal punto di vista
intellettuale. Costoro fanno sì che il genere pornografico sia uno scadimento
di eccessi. In merito al tema emerge la dicotomia porno/erotico: la forma
d’arte starebbe nell’“erotico”, ma non è del tutto chiaro come riconoscerlo.
Così come imbrattare una tela non significa fare arte, a mio avviso avviene
altresì nel porno: laddove non ci sono delicatezza, grazia, ma compare solo
cieco istinto non c’è arte. Una fruizione del “bello” è anche possibile nel
genere pornografico nella misura in cui non ci siano violenza e disordine.
Quando compare qualcosa di “naturale”, rientrante in canoni di “normalità”, lo
scandalo sta solo in un pregiudizio imposto dalla personale forma mentis.
Dobbiamo stare attenti, però, a questi concetti di “naturale” e “normalità”
poiché sono relativi: ogni sistema socioculturale ne definisce di propri
(l’importante è attenersi alla guida della ratio). Pensiamo ad esempio a Romeo
e Giulietta: per la nostra società odierna sono dei minorenni, i quali nella
storia shakespeariana consumano un congresso carnale. Il problema dell’età del
consenso è un grande problema da un lato: la Londra ottocentesca piena di
prostitute, diremmo oggi, bambine, non suscitava quello stesso scandalo della
nabokoviana Lolita. Il porno deve sempre escludere soggetti minorenni, e
rispettare la legalità del proprio sistema sociale (purché sia equilibrato e
sano). Se oggi facessero la versione porno in conformità al narrato di
Shakespeare, Romeo e Giulietta starebbero fuori della legalità: “pornografia
minorile”. Mettiamo da parte questo aspetto per ritornare più al discorso delle
pratiche sessuali in generale: se c’è reciproco consenso, delicatezza,
gradimento e armonia, è sempre il pregiudizio culturale a fare da
discriminante. Intendo il “bello” alla maniera kantiana, e secondo me fruizione
della “bellezza” può esserci in un porno curato con i necessari requisiti su
evocati. In altri tempi la mentalità è stata diversa dalla nostra condizionata
dalla sessuofobia religiosa. Un “porno” che sia “rappresentazione dell’eros”,
quindi “arte”, può avere un valore pedagogico, istruttivo: una sorta di
educazione estetica pratica (Schiller). Il Marcuse di “Eros e civiltà” non
sarebbe contrario. Ciò che accomuna l’arte in genere e il porno in termini
assoluti è una spesa libidica: Freud e Jung non direbbero di no, nonostante la
diversità di impostazioni assunte dai due (materialista il primo, spiritualista
il secondo). La libido alimentando l’arte come il porno li rende accostabili in
modo tale che ci possa essere un’area di omogeneità condivisibile. Pensiamo al
caso della scultura dell’artista russo Mikhail Misha Dolgopolov rappresentante
un blowjob e intitolata “Atto divino”, esposta in Italia anni fa1.
La questione libidica si palesa paradossalmente (da punto di vista puritano)
pure a livello di fruizione oltre che in quello creativo (in senso lato).
L’esperienza del “bello artistico” produce un piacere: ma a nessuno che va in
una pinacoteca viene detto di essere affetto da scopofilia o gli viene
rimproverato di non aver prodotto lui l’opera d’arte. Volendo fare una battuta:
se si vuol spiegare il pregio del motore di una macchina, non ci si mette sopra
un telone e si dice che è “erotico”. Con ciò, senza nulla togliere all’eleganza
erotica del “velato” (avente pari dignità col “disvelato”). Ma una donna
vestita in modo sconcio può essere più volgare della Venere Callipigia, la
quale è tutto tranne che volgare. Nel
porno odierno la rappresentazione sessuale raramente si riveste dei connotati
di arte, tuttavia niente impedisce che ciò possa accadere. La diffusione della
volgarità ha pregiudicato la valutazione di pratiche sessuali “normali”
nell’antichità. La Grecità aveva il dono ideale della “misura”, oggi mancante.
Scene dipinte su oggetti comuni rinvenuti dall’archeologia dovrebbero far
riflettere, oltre agli esempi letterari. Riguardo alla materia trattata, voglio
rievocare un particolare esempio di pornografia antica: quel papiro egizio
esposto al Museo di Torino. Non vedo “porno” ed “erotico” in termini
dicotomici: erotico=allusivo, porno=esplicito. C’è evidenza in entrambi, in
gradi e forme differenti. “Erotico” non è uno stadio di “rinvio” a cui
fermarsi: se ci si ferma, allora, c’è qualcosa di indicibile, di illecito.
L’illecito sta invece nelle forme di sessualità ritenute dalla giurisprudenza
patologiche, se il resto è “naturale” che cosa avrebbe di volgare? “L’origine
del mondo” di Courbet è un dipinto2, nessuno direbbe che non è arte;
esistono grafiche illustrative erotiche di libri, e si direbbe che sono sempre
arte: se le si trasporta altrove diventano “porno”. Dunque il problema
discriminatorio non est “in re”, est “in intellectu”. La mia simpatia è più
vicina alla cultura antica classica che non a quella postcristiana. Poi ognuno
è libero di pensarla come vuole, tutti comunque nel rispetto delle leggi e
della ragionevolezza. Non ho mai gradito l’antifemminismo sessuofobico
religioso, né d’altro canto posso accettare la reificazione del corpo e della
persona della donna nel porno comune (che rimane spesso volgarità, e molte
volte altresì diseducativo nei confronti dei giovani nel momento in cui lo si
lascia privo di spiegazione preparatoria). A livello semantico ho cercato di
essere preciso. Con Platone direi che esistono un “eros volgare” e un “eros
uranico”: la pornografia dilagante fa parte del primo, il porno-erotico
(nell’accezione positiva “uranica”, e dunque accettabile) invece fa parte del
secondo.
NOTE
Questo scritto è un estratto del mio saggio “Studi critici (2019)”
https://www.academia.edu/41345317/Studi_critici
https://www.academia.edu/41345317/Studi_critici