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venerdì 11 ottobre 2019

PORNOSOFIA: UN PROBLEMA CRITICO APPESO TRA ESTETICA ED ETICA.

di DANILO CARUSO

Un disegno di Egon
Schiele del 1918
Giudico gran parte del porno una volgarità (cioè privo di grazia), un materiale messo a disposizione della fruizione di soggetti poco raffinati dal punto di vista intellettuale. Costoro fanno sì che il genere pornografico sia uno scadimento di eccessi. In merito al tema emerge la dicotomia porno/erotico: la forma d’arte starebbe nell’“erotico”, ma non è del tutto chiaro come riconoscerlo. Così come imbrattare una tela non significa fare arte, a mio avviso avviene altresì nel porno: laddove non ci sono delicatezza, grazia, ma compare solo cieco istinto non c’è arte. Una fruizione del “bello” è anche possibile nel genere pornografico nella misura in cui non ci siano violenza e disordine. Quando compare qualcosa di “naturale”, rientrante in canoni di “normalità”, lo scandalo sta solo in un pregiudizio imposto dalla personale forma mentis. Dobbiamo stare attenti, però, a questi concetti di “naturale” e “normalità” poiché sono relativi: ogni sistema socioculturale ne definisce di propri (l’importante è attenersi alla guida della ratio). Pensiamo ad esempio a Romeo e Giulietta: per la nostra società odierna sono dei minorenni, i quali nella storia shakespeariana consumano un congresso carnale. Il problema dell’età del consenso è un grande problema da un lato: la Londra ottocentesca piena di prostitute, diremmo oggi, bambine, non suscitava quello stesso scandalo della nabokoviana Lolita. Il porno deve sempre escludere soggetti minorenni, e rispettare la legalità del proprio sistema sociale (purché sia equilibrato e sano). Se oggi facessero la versione porno in conformità al narrato di Shakespeare, Romeo e Giulietta starebbero fuori della legalità: “pornografia minorile”. Mettiamo da parte questo aspetto per ritornare più al discorso delle pratiche sessuali in generale: se c’è reciproco consenso, delicatezza, gradimento e armonia, è sempre il pregiudizio culturale a fare da discriminante. Intendo il “bello” alla maniera kantiana, e secondo me fruizione della “bellezza” può esserci in un porno curato con i necessari requisiti su evocati. In altri tempi la mentalità è stata diversa dalla nostra condizionata dalla sessuofobia religiosa. Un “porno” che sia “rappresentazione dell’eros”, quindi “arte”, può avere un valore pedagogico, istruttivo: una sorta di educazione estetica pratica (Schiller). Il Marcuse di “Eros e civiltà” non sarebbe contrario. Ciò che accomuna l’arte in genere e il porno in termini assoluti è una spesa libidica: Freud e Jung non direbbero di no, nonostante la diversità di impostazioni assunte dai due (materialista il primo, spiritualista il secondo). La libido alimentando l’arte come il porno li rende accostabili in modo tale che ci possa essere un’area di omogeneità condivisibile. Pensiamo al caso della scultura dell’artista russo Mikhail Misha Dolgopolov rappresentante un blowjob e intitolata “Atto divino”, esposta in Italia anni fa1. La questione libidica si palesa paradossalmente (da punto di vista puritano) pure a livello di fruizione oltre che in quello creativo (in senso lato). L’esperienza del “bello artistico” produce un piacere: ma a nessuno che va in una pinacoteca viene detto di essere affetto da scopofilia o gli viene rimproverato di non aver prodotto lui l’opera d’arte. Volendo fare una battuta: se si vuol spiegare il pregio del motore di una macchina, non ci si mette sopra un telone e si dice che è “erotico”. Con ciò, senza nulla togliere all’eleganza erotica del “velato” (avente pari dignità col “disvelato”). Ma una donna vestita in modo sconcio può essere più volgare della Venere Callipigia, la quale è tutto tranne che volgare.  Nel porno odierno la rappresentazione sessuale raramente si riveste dei connotati di arte, tuttavia niente impedisce che ciò possa accadere. La diffusione della volgarità ha pregiudicato la valutazione di pratiche sessuali “normali” nell’antichità. La Grecità aveva il dono ideale della “misura”, oggi mancante. Scene dipinte su oggetti comuni rinvenuti dall’archeologia dovrebbero far riflettere, oltre agli esempi letterari. Riguardo alla materia trattata, voglio rievocare un particolare esempio di pornografia antica: quel papiro egizio esposto al Museo di Torino. Non vedo “porno” ed “erotico” in termini dicotomici: erotico=allusivo, porno=esplicito. C’è evidenza in entrambi, in gradi e forme differenti. “Erotico” non è uno stadio di “rinvio” a cui fermarsi: se ci si ferma, allora, c’è qualcosa di indicibile, di illecito. L’illecito sta invece nelle forme di sessualità ritenute dalla giurisprudenza patologiche, se il resto è “naturale” che cosa avrebbe di volgare? “L’origine del mondo” di Courbet è un dipinto2, nessuno direbbe che non è arte; esistono grafiche illustrative erotiche di libri, e si direbbe che sono sempre arte: se le si trasporta altrove diventano “porno”. Dunque il problema discriminatorio non est “in re”, est “in intellectu”. La mia simpatia è più vicina alla cultura antica classica che non a quella postcristiana. Poi ognuno è libero di pensarla come vuole, tutti comunque nel rispetto delle leggi e della ragionevolezza. Non ho mai gradito l’antifemminismo sessuofobico religioso, né d’altro canto posso accettare la reificazione del corpo e della persona della donna nel porno comune (che rimane spesso volgarità, e molte volte altresì diseducativo nei confronti dei giovani nel momento in cui lo si lascia privo di spiegazione preparatoria). A livello semantico ho cercato di essere preciso. Con Platone direi che esistono un “eros volgare” e un “eros uranico”: la pornografia dilagante fa parte del primo, il porno-erotico (nell’accezione positiva “uranica”, e dunque accettabile) invece fa parte del secondo.


NOTE

Questo scritto è un estratto del mio saggio “Studi critici (2019)”
https://www.academia.edu/41345317/Studi_critici