di DANILO CARUSO
Personalmente non do credito alla teoria
evolutiva darwiniana: ma lasciamo per ora da parte i motivi e ammettiamo per
ipotesi che sia “vera”. Nella Natura esisterebbe dunque un “meccanismo di
adattamento” florofaunistico ai diversi possibili scenari. Una simile
generalizzata potenziale dinamica non potrebbe porsi ogni singola volta come
frutto del “caso”: l’evoluzione implicherebbe una “legge” formale valida erga
omnia. La tendenza al cambiamento richiederebbe il perseguimento di un “fine”
secondo presupposti “intelligenti”: modificare qualcosa “in vista di” uno
status migliore rispetta un progetto logico-metafisico, viceversa ciò non
accadrebbe a livello di specie. Dov’è quel minimo comun denominatore modificatore
se non in qualcosa di paragonabile a un archetipo astratto? Del resto, ad
esempio, nessuna legge fisica è incorporata essenzialmente del tutto nel
particolare (sarebbe da considerarsi “sostanza seconda”). Anche il concetto di
estinzione richiede una considerazione non accidentale: innanzitutto
l’evoluzione non avrebbe sempre successo; non sempre tutto si adeguerebbe, e in
quanto legge non sarebbe così costante, rapida ed efficace. D’altro canto se
volessimo vedere tale cosa da una prospettiva opposta al difetto, potremmo
ammettere che l’estinzione sia ancora un “processo intelligente” previsto dal
corso delle cose: chi non si adatta perisce; ma questa sarebbe l’altra facciata
di una legge quadro super omnia. Alla fine si potrebbe concludere che se ci
fosse un principio evoluzionistico sarebbe stabilito da un’intelligenza
metafisica in un’ottica teleologica: e per rendere il concetto richiamo
l’idealismo assoluto hegeliano, il quale dal momento tetico astratto passa al
negativo razionale, dall’Idea alla Natura; ma si potrebbero altresì ricordare
le platoniche Idee col loro rapporto di mimesi e metessi nei confronti del
mondo materiale. La teoria di Darwin impone alla Natura un fondo di metafisica
razionalità introducendovi una “teleologia”: la sopravvivenza del migliore. Se
sul serio alcuni si estinguessero, allora altri apparirebbero “predestinati”, e
tutto ciò non per caso: dal “caso” non si potrebbe astrarre una legge formale
stabilente i criteri dell’evoluzionismo darwiniano giacché la confusione non è
traducibile in base a una norma chiave. Perciò Darwin avrebbe costruito una
teoria contraddittoria, che farebbe a pugni con se stessa, cercando di spiegare
la Natura e la materia prescindendo in maniera corretta da un progetto logico a
priori: in parole povere ha messo in secondo piano il tetico-logico deducendolo
dal concreto (presunto a suo modo), ritornando concettualmente alle difficoltà
del materialismo antico. L’“intelligenza” e l’“ordine naturale” non sono in
maniera facile spiegabili attraverso l’anarchia degli atomi. Infine voglio
sottolineare un dettaglio: se gli esseri umani derivano dalle scimmie, perché
queste non si sono estinte? Dovrebbero costituire l’umano di partenza, mentre
sarebbero scomparsi solo ominidi intermedi: a stretto rigore evolutivo
darwiniano non dovrebbero esserci più scimmie. Invece ce ne sono specie “in
teoria” sopravvissute: quindi o l’evoluzione alla volta della forma umana non
sarebbe stata necessaria (gli uomini potevano tranquillamente rimanere a quello
stadio animale), o la teoria evoluzionistica non riguarderebbe l’umanità,
oppure sarebbe una teoria in toto sbagliata (non esisterebbero vistosi e
diffusi cambiamenti in generale nell’ambito del la Natura).
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio
intitolato “Novità e ripresentazione”