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domenica 24 agosto 2025

SADISMO E DISTOPIA IN “SQUID GAME”

di DANILO CARUSO

“Squid game” è stata una distopica serie TV distribuita in tre stagioni tra il 2021 e il ’25. Il suo contenuto è apparso interessante alle mie riflessioni critiche sulle utopie negative, alle quali ho dedicato diversi miei lavori. In particolar modo il connotato sadico messo in scena ha trovato tangenze con miei pregressi studi pubblicati. La serie, ambientata in Corea del Sud, descrive lo svolgimento di una periodica sorta di olimpiade (o campionato, che dir si voglia) cruenta, i cui partecipanti presi fra la gente comune molto indebitata vengono di gioco in gioco (sono sei in un ciclo) se perdenti eliminati fisicamente. In virtù di queste uccisioni degli eliminati il montepremi in denaro cresce. La cosa ne sprona molti a continuare nelle competizioni, pur potendo chiedere una votazione collegiale dei partecipanti in vita al fine di deliberare una fine anticipata, con divisione del montepremi maturato in maniera equa fra tutti loro (in ciò v’è allusione al meccanismo rousseauiano della “volontà generale”). Simile sadica organizzazione è stata messa in piedi da un miliardario annoiato, desideroso di novità emozionanti, in collaborazione con altri suoi pari (nella serie sono chiamati i VIP). Elementi che nutrono la cornice sadica sono: la scelta di numerose persone in difficoltà economica (propense, grazie alla prospettiva di un ricco premio, a inserirsi nel meccanismo competitivo letale), e i giochi di confronto (i quali sono presi da quelli più noti e diffusi fra i bambini coreani). Tutto questo insieme mi è parso alimentare nei VIP un sadismo puro. Perciò ho voluto costruire una analisi pertinente che mettesse in evidenza migliore gli inquietanti e disturbanti aspetti sadici di “Squid game”. Voglio iniziare dagli spettatori sadici, i VIP, i quali riflettono bene, seppur non agendo direttamente sugli abusati concorrenti, l’ideale negativo sadiano. Sono uomini, ma compare nel secondo campionato pure una donna. La serie offre un esempio di “tirannia privata” attuata dai sadici VIP. In aggiunta, i giochi competitivi sadici rivolti ai concorrenti assumono il ruolo di tecniche di abuso, e gli allestimenti scenici di svolgimento e i sistemi meccanici prendono il luogo di spazi, tecniche e macchine sadiane di tortura e violenza. Tali gare di “Squid game” rivelano un connotato molto sadico. Questi abusati in competizione per un premio in denaro presentano analogie con casi letterari sadiani dove le vittime in mano ai sadici mirano alla sopravvivenza e a sfuggire a una punizione superiore: così accade nella serie televisiva dove al di là del sadico sprone di una vincita pecuniaria, ciascun concorrente ha il basilare obiettivo di evitare l’eliminazione fisica applicata ai perdenti. Simile dinamica orizzontale fra gli abusati innesca un aspro confronto inter se, una sadica generale gara darwiniana, la quale restituisce molto di psicologia sadista, a livello di dinamica verticale, in direzione dei VIP fruitori dello spectaculum (v’è una dimensione di scopofilia). I concorrenti in “Squid game” sono di genere misto, uomini e donne, il che vivacizza lo svolgimento non solo delle prove. All’interno di un siffatto contesto nella serie TV, e nella diversa varia pluralistica casistica sadiana, viene meno il principio di solidarietà. In “Squid game” possiamo notare l’esempio femminile di concorrente che usa la propria sessualità in funzione manipolatrice verso un altro partecipante maschio, in maniera alla lunga infruttuosa. Questo, da parte di una donna, costituisce un dettaglio molto sadiano e si riaggancia ad aspetti emancipativi sadici e femminili. Alla fine sarà proprio costei a causare durante un gioco le morti di lei e di questo suo partner inaffidabile poiché più preso dall’impellenza dell’autoconservazione. Comunque la serie televisiva testimonia una migliore resistenza dello spirito di solidarietà in alcuni concorrenti rispetto alla disgregazione in de Sade, dove la possibilità di azione dell’abusatore non lascia margine alcuno. La scopofilia dei VIP, non invasiva al 100%, lascia un piccolo spazio dove si inserisce, in modo più o meno fruttuoso, il protagonista Seong Gi-hun. “Squid game” ha riproposto lo hobbesiano “bellum omnium contra omnes”, ossia una condizione oggetto di apologia sadiana. De Sade sostiene che quello stadio di partenza sia il più autentico dell’essere umano, e che perciò non vada smarrito a causa di una sovrastruttura sociale di contenimento e di limitazione (lo Stato, il Leviatano): chiunque dev’essere lasciato libero nella propria area di “tirannia privata”. Lo scrittore francese, che nella critica sovrastrutturale ricalca Rousseau (però in guisa più che altro formale), ritrova i suoi auspicati principi sadisti in azione in “Squid game”: i concorrenti sono liberi di uccidersi sia nei giochi che fuori di essi. Ciò rappresenta un trionfo del sadismo: la competizione sadica ha comportato la perdita dell’“umanità” nei partecipanti abusati, essi sono regrediti al “cattivo selvaggio”, allo “homo homini lupus”. In tale dinamica la scopofilia dei VIP può tramutarsi in invasiva se consideriamo la forma in cui l’abusato competitore nella sua lotta possa fungere da surrogato di abusatore. Una simile cosa alimenta tutte le dinamiche di coinvolgimento orizzontale e verticale. I VIP sadici hanno letteralmente isolato le vittime dacché queste cruente competizioni si svolgono su un’isola, la quale appunto assurge a metafora dello stato psicologico verso cui l’abusatore classico di de Sade imprigiona le proprie vittime. La fattispecie competitiva di queste, a causa dell’attore sadico primordiale e principale, fa sì che loro subiscano una reificazione trasformandosi in pezzi di scacchiera davanti a costui: pezzi isolati in conflitto, i quali hanno abbandonato in modo disumanizzante la prospettiva della solidarietà, e che se sconfitti possono essere messi fuori. Vediamo infatti nella serie TV come la reificazione dei concorrenti sia simboleggiata da un pezzo mosso sopra un modello in scala di un dato gioco, pezzo che viene estromesso con significativo sgraziato e brutale gesto se il partecipante risulta eliminato. L’allegoria traspone un fondo sadico centrale permeante l’intera narrazione della serie, modellata sui più puri canoni del pensiero di de Sade. Abbiamo potuto vedere i due casi, del miliardario fondatore del campionato sadico Oh Il-nam e del Front Man, i quali si sono finti amici, sodali delle proprie vittime in maniera ipocrita e dissimulatrice inserendosi fra di questi e partecipando alle sadiche competizioni. Nel corpus letterario sadiano vi sono sadici che si approssimano ad altri soggetti a scopo manipolatorio. Ciò accade con i due poco fa menzionati personaggi di “Squid game “ a scapito della sincera indole di Gi-hun, il quale tiene la parte di una sadiana Justine, e il quale alla fine morirà al pari di costei. Gi-hun nella logica della sadica olimpiade si suicida per salvare una neonata venuta alla luce durante una serie di giochi (la madre era morta e il Front Man aveva a quella assegnato il posto di partecipazione rimasto vuoto). Non si sa se nello spin-off Gi-hun possa resuscitare: alla fine della serie madre viene dato per morto. Comunque, quanto possiamo rilevare è che il premio della virtù in entrambe le circostanze comparate risulti essere un esito distruttivo. Nonostante tutto il protagonista della serie testimonia con un gesto estremo la sua fede kantiana: l’umanità come fine in sé, e non come strumento della violenza. Gi-hun proclama ai VIP che i concorrenti abusati non sono animali: in tali parole Kant sfida de Sade. La mia analisi comparata mette in evidenza la struttura sadista di “Squid game”. Simile sadico campionato si rivela in generale in sé mezzo di tortura psicologica volta a creare disagio e tensione nei singoli concorrenti. La “gara sadica” tra vittime, aperta e organizzata, mirante alla sopravvivenza appare un tema innovativo proposto dalla serie rispetto al corpus letterario sadiano. Fra l’universo di de Sade e quello di “Squid game” c’è l’apparente differenza che qualcuno nel secondo disponga di una concreta possibilità di uscita dal circolo sadico: però a un enorme costo mentale. Il trauma provocato dalla prima olimpiade sadica cui ha partecipato Gi-hun lo ha segnato in modo indelebile, al punto di radicarlo nella volontà di voler annientare quel sistema. Il che lo ha riportato dentro in un’altra olimpiade a conclusione della quale perirà: o il trauma mantiene il suo peso nella persona che non ha dismesso dignità e umanità, o l’esperienza traumatica viene rimossa in maniera disumanizzante. Gi-hun (Justine) ha respinto la seconda, però ha finito col provocare, in guisa involontaria e indiretta la propria distruzione. Il Front Man è stato un vincitore pregresso il quale ha messo da parte quel sadico vissuto, ma nella sua circostanza è passato da vittima ad abusatore. In parole povere non c’è differenza profonda fra il cosmo sadiano e “Squid game”. Nel sadico campionato della serie televisiva lo spirito sportivo olimpico è stato sovvertito: non è più importante il partecipare, bensì il vincere a qualsiasi prezzo. La sostanziale analogia di fondo tra l’olimpiade distopica di “Squid game” e il sadismo vissuto dalle vittime nei romanzi di de Sade è un ridursi dell’abuso a una “gara personale di sopravvivenza” procrastinante la sofferenza nell’ambito di una simbolica dialettica Justine/Juliette. V’è un inciso nella narrazione della serie televisiva il quale potrebbe sembrare in dissonanza con la linea ideale sadista: l’episodio della rivolta contro i carcerieri e i VIP capeggiata da Gi-hun. Essa fallisce repressa nella violenza; già ciò la fa rientrare nei ranghi. Tuttavia questa è allegoria di qualcosa di sadiano evidente: la resistenza espressa dal personaggio di Justine rappresenta una forma di ribellione alla forma sadista. I personaggi di Gi-hun e Justine mostrano diverse tangenze, come già notato. Delle altre cose di “Squid game” manifestanti conformità col cosmo letterario di de Sade voglio dare aggiuntiva segnalazione. Cominciamo col confronto avvenuto fra il malato moribondo miliardario Oh Il-nam, creatore dell’olimpiade sadica, e il disorientato Gi-hun durante l’intermezzo tra i due campionati cui questo ha preso parte: esso ci richiama alla memoria la sadiana opera teatrale “Dialogue entre un prêtre et un moribond”. Proseguiamo. Il sadico prelievo di organi, a scopo di trapianto, dai concorrenti eliminati, morti o quasi morti (l’organo risulta in questa circostanza più fresco), curato da alcuni carcerieri guardie, rammenta con enorme disturbante efficacia la reductio ad rem dell’abusato, ma d’altro canto letterario ci ricorda altresì episodi di asportazione dalle vittime di sadici nei testi di de Sade. In tale parallelismo presenza e assenza di una finalità medica risultano dettagli irrilevanti; qua la cosa da sottolineare rimane la reificazione del corpo umano, il che appare connotato sadista cardine. Una nuova indicazione riguarda la vicenda di Kim Jun-hee, la giocatrice n. 222 della seconda olimpiade sadica cui partecipa Gi-hun. Ella è una donna incinta, di cui ho già dato un cenno più sopra, la quale partorisce nel corso delle competizioni. La macchina sadista in “Squid game” non si è minimamente presa cura di lei lasciandola nell’agone. Lei verrà estromessa, e della neonata (sostitutiva concorrente n. 222) si occuperà Gi-hun (come già detto). Vediamo tangenze sadiste che ci conducono a “Les 120 journées de Sodome”. In questo testo sadiano compare la storia di una donna incinta. I sadici abusatori qui, al fine di acquisire il nascituro al parco delle proprie vittime, non nuocciono al percorso di gravidanza. Nel confronto con “Squid game” si nota un iter invertito. Qua parrebbe che il Front Man alla fine del campionato interessato abbia una iniziativa compassionevole nei confronti della neonata (la vincitrice concorrente n. 222) giacché la prende e la lascia in buone mani con in dote il ricco premio. Simile gesto a me non sembra un ritorno d’umanità del Front Man: è stato lui a decidere la sostituzione della deceduta madre con la figlia, è stato sempre lui a non muovere un dito durante la gestazione a rischio in quell’ambiente. L’inversione dei percorsi sadisti che ho testé sottolineato non ci restituisce in questo caso un valore differente rispetto al parallelo tratto da “Les 120 journées de Sodome”. Il Front Man ha operato d’ufficio con la neonata, così come non compassionevole bensì animata da altro pensiero, era stata la forma tutelare concessa alla gestazione della vittima di “Les 120 journées de Sodome”. Notiamo infatti che entrambi i neonati entrano nella macchina sadista con identica procedura. La bambina di “Squid game” ha perso la madre nell’olimpiade sadica, e ciò rappresenta alla lunga un trauma del cui genere di effetti ho parlato. Il Front Man ha inteso mettere in salvo una Justine o una Juliette, nulla di più. Il circuito sadista si rivela coerente, a dispetto di un parallelismo invertito il quale non muta un ordine di valori, bensì registra soltanto differenti fasi cronologiche. Un’altra cosa che posso dire a proposito di “Squid game” è che le vittime messe in competizione inter se maturano una dimensione di conflitto psicologico. Nella serie TV ciò appare visibilissimo: la partita fra di loro non si gioca unicamente nei confini di confronto prescritto, ma coinvolge una sfera più ampia dove il sadico esercita la sua “tirannia privata” grazie alla diminuzione dell’empatia. Costui ha frantumato il legame umano in singoli oggetti in attrito. Di fronte a simile fenomeno la solidarietà in “Squid game” si mostra quasi sempre occasionale e strumentale, non più un fondante valore umano. Nella serie televisiva c’è un concorrente che custodisce un contenitore a forma di Crocifisso contenente pasticche di droga. L’immagine tradotta sembra dire: la religione è l’oppio del popolo (Marx). Un’affermazione la quale condivido. Salvo solo le religioni che possiedono un carattere speculativo filosofico (come ad esempio l’Induismo), e considero tutte le altre favole per adulti (in effetti, secondo me, il QI di questi se misurato mostrerebbe che molti tanto maturi non sono e che mantengono tratti di ingenuità, parallela alla semplicità dei bambini, ingenuità la quale può tramutarsi in nevrosi). Non solo marxiana può essere l’interpretazione di questo dettaglio della serie televisiva, la quale tira in ballo l’argomento religioso. In quelle pasticche di droga conservate all'interno di quel significativo contenitore possiamo vedere il “soma” huxleyano così come io l’ho interpretato nella mia monografia dedicata a “Brave New World”1. Ovviamente in “Squid game” il tono distopico è di aperta impronta tragica. Vorrei infine presentare un segmento di riflessione junghiana. L’interpretazione dell’olimpiade sadica di questa serie televisiva attraverso il simbolo/allegoria del labirinto (di prove) ci richiama alla memoria il noto mito del Minotauro, di Arianna e Teseo. “Squid game” sovverte il canonico mitologico esito liberatorio. Teseo/Gi-hun non uccide il Minotauro (Leviatano sadista), ne rimane vittima nel distopico salvataggio di Arianna, la neonata di cui inizia a prendersi cura dal gioco della fune nella serie TV (la corda qui simboleggia l’inversione del valore del “filo di Arianna” nei confronti di Teseo: non più un mezzo di salvazione, bensì sadico strumento di abuso). Il mito filtrato dall’Ombra junghiana, la quale domina il sadismo, si converte nella labirintica distopia di “Squid game”: il “filo di Arianna” condurrà Gi-hun alla sua autodistruzione, al martirio celebrante il valore della dignità umana. Oltre a paragonare il campionato sadico di “Squid game” con una struttura labirintica articolantesi in settori che presentano a chi viene costretto ad attraversarla prove molto pericolose, occorre ricordare che il labirinto inteso come occasione più ristretta e singola costituisce l’ostacolo da superare nei confronti dei concorrenti abusati durante una delle fasi di gioco sadico.



NOTE

Questo scritto è un estratto del mio saggio intitolato “De Sade et quid ‘Squid game’ docet

1 Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (2015), pag. 9: il “soma” quale surrogato dell’“ostia consacrata”.