di DANILO CARUSO
“Two hands” è una bella poesia
di Anne Sexton (1928-1974), poetessa confessionale, nella quale l’autrice, che
fu amica di Silvia Plath1, sviluppa attraverso un talentuoso uso di tecniche
retoriche una profonda immagine dell’eros, come si può leggere nella mia
traduzione seguente del testo sextoniano.
Due mani
1 Dal mare uscì una mano,
ignara
come una moneta da un centesimo,
agitata
per via del sale di sua madre,
muta
a causa del silenzio dei pesci,
5 rapida grazie agli altari delle maree,
e
Dio si allungò fuori della Sua bocca
e
la chiamò uomo.
Emerse
l’altra mano
e
Dio la chiamò donna.
10 Le mani applaudirono.
E
questo non era peccato.
Era
come si era programmato.
Io
le vedo erranti per le strade:
Levi
che si lagna del suo materasso,
15 Sara che studia uno scarabeo,
Mandrake
che tiene la sua tazza di caffè,
Sally
che suona il tamburo a una partita di football,
John
che chiude gli occhi della donna morente,
e
alcuni che sono in prigione,
20 anche la prigione dei loro corpi,
come
Cristo era imprigionato nel Suo corpo
finché
giunse il trionfo.
Srotolate,
mani,
voi
i tessuti di angelo,
25 srotolateli a mo’ di spirale di un pupazzetto [legato a un
elastico; n.d.r.],
fate
conca [con le mani; n.d.r.] insieme e riempitevi voi stesse
e
applaudite, mondo,
28 applaudite.
28 applaudite.
La lirica adopera una
metonimia, quella della mano («hand») allo scopo di indicare l’essere umano
(maschio e femmina). La cosa che mi ha particolarmente colpito è la, non so
quanto consapevole, aderenza alla lettera veterotestamentaria della cosmogonia
e dell’antropogonia all’esordio in Genesi. Poiché ho analizzato questi brani
biblici, che risultano spunti al genio poetico della poetessa americana, nella
versione originaria, posso affermare che la prima strofa di “Two hands” ha un
felice esito di resa poetica. In relazione all’“uomo” e alla “donna”, le due
mani (che danno il titolo), appare una dimensione di antropogonia androginica giacché
tali due metonimie rievocano un corpo unitario, quello dell’Adamo androgino in
seguito alla cui scissione nacque Eva2. Il «mare (sea)» del primo
verso ha, dal canto suo, pari richiamo cosmogonico veterotestamentario. Esso è
l’acqua del Tanak da cui Dio trae fuori, attraverso il caos, l’universo intero.
Questa prospettiva apre altresì un’ermeneutica psicologica. Il «mare», l’acqua,
sono immagini della Grande madre junghiana, così come le due mani rappresentano
altri due concetti archetipici, quelli di “animus” e di “anima”. Anne Sexton
coglie lo spirito del profondo in
rapporto alla simbologia metonimica adottata, collegata agli archetipi junghiani
citati. Siffatta operazione della poetessa è forse non del tutto cosciente. Mi
pare uno di quei casi dove la divina mania (inconscio collettivo) si offre al
talento dell’artista rapito nel gesto creativo. La lirica in esame, pubblicata,
dopo il suicidio dell’autrice, nella raccolta del 1975 intitolata “The awful
rowing toward God (La terribile seconda
navigazione verso Dio)”, potrebbe rimanere intrappolata in una superficiale
ermeneutica dello spirito del suo tempo.
Il testo in realtà esprime molto di più. Ruota attorno all’archetipo
androginico e a quelli anima/animus. La facciata marcusiano-freudiana non deve
farci arenare sulla superficie dello spirito
del tempo, che è pur sempre “verità”, tuttavia parziale. Un’ermeneutica che
va oltre la scorza ci conduce dalla libido freudiana a quella junghiana, e alla
possibilità di cogliere profondità di significati meno espliciti nell’interpretazione
simbolica. Cosicché nel Dio del v. 6 ritroviamo il principio determinante
(maschile) del Tanak, poi assunto dalla filosofia platonica e neoplatonica. L’allegoria
del congresso carnale espressa dal v. 10 («The hands applauded») ha molteplici
richiami specialmente se connessa ai successivi due versi. La teleologia del
ricongiungimento è programmatica (si veda il v. 12) nell’Ebraismo e nel
“Simposio” di Platone, perciò «questo non era peccato [this was no sin]». Se la
prima strofa di “Two hands” ha una cornice e un orizzonte veterotestamentari,
la seconda vuol essere, paragonata alla suddetta, una sorta di Nuovo Testamento
rivendicante la liberazione da qualsiasi «prigione [prison]» per risorgere a
guisa del Cristo rievocato nei vv. 21-22. La strofa conclusiva ha colore apocalittico: le immagini del rotolo,
dello srotolare, caricano tali finali versi di un tono escatologico, dove l’applaudire
(allegoria erotica) rovescia il lato della medaglia freudiano alla volta di
quello junghiano. La libido è il motore del mondo, però non è una bestiale
forza, reprimenda da timorose istituzioni: nevrotici a caccia di animali. Tutti
questi non rientrano nell’autentica categoria di essere umano. Questo è il
“profondo” del messaggio sextoniano in “Two hands”. Se volessimo catturare
questo senso in poche parole e in un’immagine fissa potremmo dire con Frida Kahlo3: VIVA LA VIDA.
Note
1 Ho dedicato due monografie alla poetessa di Boston
3 http://danilocaruso.blogspot.it/2014/10/il-simbolismo-esistenziale-di-frida.html
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Critica letteraria”
https://www.academia.edu/31561182/Critica_letteraria
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Critica letteraria”
https://www.academia.edu/31561182/Critica_letteraria