di
DANILO CARUSO
“Krasnaya
zvezda” è il titolo russo (“La stella rossa”) di un romanzo fantautopico di
Aleksandr Bogdanov (1873-1928), la cui pubblicazione risale al 1908. Aleksandr Malinovskij,
meglio noto con lo pseudonimo di Bogdanov, fu una figura poliedrica del
marxismo in Russia. Medico (studiò pure psicologia), era figlio di un
insegnante liceale di fisica. Vicino alla causa dell’istruzione popolare e teorico
di un sistema scientifico comprensivo di ogni possibile branca di studio (il
suo indirizzo epistemologico era filofenomenista), a lui si deve la prima voltura
in russo de “Il capitale” di Marx. In gioventù fu apprezzato da Lenin, e venne
arrestato più volte a causa del suo attivismo politico. Quando fu condannato al
confino, prestò servizio in un manicomio. Protagonista del moto rivoluzionario in
Russia del 1905, all’atto del sostanziale fallimento di esso fuggì in Finlandia
da Lenin, con cui entrò in disaccordo per via della sua ortodossia marxiana e della
sua epistemologia (Lenin era infatti tra i fautori di un revisionismo del
pensiero di Marx). Allorché cadde in disgrazia nel gruppo marxista russo, si
trasferì in Italia; tuttavia approfittando di un’amnistia fece ritorno nella
Russia imperiale. Fu critico e distaccato nei confronti della rivoluzione del
’17. Ebbe comunque alcuni incarichi nell’URSS. A motivo della sua antipatia nei
riguardi degli eccessi di potere da parte del regime comunista, venne tratto in
arresto dai Sovietici e poi liberato. Il testo bogdanoviano, di cui qui espongo
i risultati di una mia analisi, intreccia fantascienza e utopia socialista. Chi
ha letto il primo libro della cosmic
trilogy di Clive Staples Lewis, non avrà difficoltà a rendersi conto del
potenziale fatto che “La stella rossa” sia un romanzo, quanto meno, noto allo
scrittore amico di Tolkien (quindi possibile un lascito di bei germi letterari
fantascientifici e narrativi): benché la prima traduzione in inglese risalga al
1984, ne circolava una in francese già dal ’36 (“Out of the silent planet” è
del ’38). Quando “Krasnaya zvezda” si apre, durante il sollevamento
rivoluzionario russo del 1905, il protagonista Leonid, un marxista massimalista
(bolscevico), voce narrante, si trova a San Pietroburgo, dichiara di avere 27
anni e di stare assieme ad Anna
Nikolaevna, dalla quale sarà presto lasciato a causa di incompatibilità
ideologiche. Ella infatti milita nei ranghi dei marxisti moderati (menscevichi),
e l’arrivo del progressista integrale ingegner Menni acuirà la frattura nella
coppia, forse ad arte a opera di quest’ultimo. Costui, un alieno arrivato da
Marte con altri compagni grazie a un’astronave, ha interesse a convincere
Leonid a seguirlo sul suo pianeta, dove si è instaurato un regime socialista.
Pertanto dopo la separazione dei conviventi, Menni gli illustrerà la proposta
finendo col rivelargli di essere un extraterrestre sbarcato sulla Terra con un
equipaggio volto alla ricerca di un soggetto, affine per forma mentis, da
iniziare alla conoscenza del suo mondo affinché questi diventi tramite
ideologico e uno sprone nella di lui auspicata finale azione propagandistica. I
Marziani sono riusciti a compiere con successo il viaggio mediante la propulsione
prodotta da una sostanza antigravitazionale, di cui Leonid, il quale ha
familiarità con gli studi fisici, apprende l’esistenza. Gli abitanti di Marte
non sono nell’aspetto somatico molto dissimile dai terrestri: hanno occhi più
grandi (per catturare meglio la luce, dato che il loro pianeta è più distante
dal Sole rispetto al nostro) e una pelle più liscia. Per il resto la struttura
corporea è analoga, ma soprattutto la capacità intellettuale (tenendo conto
delle debite differenze nel cammino scientifico e in quello sociale più
progrediti in quella realtà aliena). A bordo di un eteronef (termine coniato ad hoc dall’autore russo per indicare la nave spaziale) il Terrestre e i Marziani
si avviano in direzione del pianeta rosso. Da ricordare che Bogdanov non
presenta una dicotomia razziale nei generi degli abitatori dei due mondi messi
a contatto: entrambi appartengono alla categoria degli esseri intelligenti, la
quale li rende molto vicini e li affratella nel contesto dell’universo. Come i
Marziani, al fine di allacciare relazioni in incognito sulla Terra, avevano
imparato le lingue del caso, anche il protagonista durante il non breve
tragitto apprenderà il loro idioma. A un lettore moderno la descrizione di
alcuni particolari del viaggio potranno suscitare un’ingiustificata leggera o
nulla impressione. Sapere oggi dei velivoli spaziali e dello svolgimento di
loro missioni, anche con esseri umani a bordo, non renderebbe nella perduta
straordinarietà, giustizia nella percezione comune alla capacità creativa
bogdanoviana. Non dobbiamo dimenticare che a inizio del secolo passato discorsi
del genere erano fantascientifici, e quindi descrivere ad esempio gli effetti
dell’assenza di gravità in modo realistico non era né facile né scontato.
Durante il viaggio Leonid ha l’occasione di conoscere meglio Menni e altri
marziani (i quali gli mostreranno il funzionamento e la struttura
dell’eteronef), nonché inizierà la conoscenza di quella civiltà aliena di Marte.
Si sa così che i Marziani hanno raggiunto l’idea di “cooperazione
interplanetaria”, la quale li ha spinti sulla Terra (e altresì a visitare il
preistorico pianeta Venere). La loro accresciuta sensibilità li ha condotti a
inserire il “particolare” nella “cornice universale” (questa in senso lato: sia
essa la loro società o il cosmo intero gerarchicamente superiore a ogni insieme
minore). Un’altra scoperta: costoro non attuano distinzioni semantiche di
genere (maschile, femminile, neutro) ritenute imperfette e inutili. La
caratteristica di quella cultura extraterrestre a quel livello di evoluzione
socialista risiede nel badare all’essenziale.
La scienza marziana è atea: l’universo ha avuto un’origine da sé, e dal caos
iniziale si è evoluto in forme via via superiori, dove l’ordine naturale ha
contemplato la comparsa di soggetti intelligenti (ad esempio Terrestri e
Marziani). Il sistema educativo marziano mira all’acquisizione di nozioni e
competenze ponendo l’accento su una fase di concreta esperienza nei confronti
dell’oggetto di studio, cui l’apprendimento teorico fa da seguito e
completamento di questa prassi
conoscitiva. Giunto su Marte Leonid segue un ricco con iter di
apprendimento dell’organizzazione e delle conoscenze di quel mondo, giudicabile
dal punto di vista dello scrittore russo utopico. Una curiosità: il colore
tipico della vegetazione aliena non è il verde ma il rosso. L’ingegner Menni ha
modo di raccontare a Leonid la storia di un suo avo, una figura rappresentante
un incrocio tra il generale Perón e Socrate. Detto antenato, un tecnico di
altissimo profilo come il discendente, vissuto in un tempo precedente
l’affermazione del socialismo, posto a capo di un’importante costruzione di
infrastruttura, aveva ucciso un suo subordinato il quale aveva tramato a danno
di lui, per malevolenza, riuscendo a intralciare l’opera e a mettergli contro
la base operaia al suo servizio. Finito in carcere condannato, ebbe il suo 17 de octubre quando, subentrata una
direzione meno qualificata, la faccenda cominciò ad andare male sotto tutti i
lati. Il progetto non andava avanti e i lavoratori erano in agitazione. Tant’è
che lo Stato decise di richiamare l’avo di Menni. Egli decise di non uscire
dalla prigione e di guidare l’opera dal suo luogo di reclusione. L’aspetto
peronista della situazione non si limita a un 17 de octubre marziano, ma si allarga al miglioramento della
condizione operaia (aumenti salariali, nuovi mezzi di lavoro, altri interventi diretti
a migliorare la qualità della vita). Quindi l’infrastruttura fu portata a
termine. Concluso il periodo di detenzione, tale socratico ingegnere si
suicidò, come se le porte della giustizia di Marte gli avessero potuto chiedere
dove stesse andando. La tecnologia del pianeta rosso è molto avanzata a
paragone di quella terrestre di inizio ’900, ed è simile a quella odierna. Il
sistema sociolavorativo marziano segue la lezione poundiana allorché mette al
centro del sistema il potere del lavoro. Da un obbligo lavorativo personale i
Marziani sono passati alla libertà di scelta della mansione e del tempo da
dedicarvi: il dovere del lavoro costituisce un imperativo categorico sociale,
autonomo e libero, ponentesi nell’individuo quale sfumatura della legge morale
universale kantiana. Non ci sono parassiti, né conclamati né mimetizzati,
poiché la loro presenza è manifestazione di immoralità. La produzione di beni e
servizi è tale che ognuno può soddisfare i suoi leciti desideri. Bogdanov dice
nel romanzo che sul pianeta rosso non si fa uso di denaro, ma non specifica se
si faccia uso dei certificati sostitutivi elargiti dallo Stato, del cui tipo ha
parlato Ezra Pound. Viene trattato più in dettaglio il tema della liberazione
dalla forma di schiavitù esistenziale assunta dal lavoro (una sorta di
prostituzione) a beneficio di un regime di vita dove l’attività lavorativa
possa svolgersi spontaneamente nella guisa accennata. L’organizzazione
comunitaria sopra Marte rivela diverse tangenze con il peronismo e la sua
opera, sebbene nel nostro caso dovremmo parlare con più esattezza di Marziani filomontoneros1.
Comunque, gli alieni bogdanoviani curano molto l’educazione scolastica. Oltre a
quanto già detto, risalta la presenza di appositi centri per la formazione dei
bambini, nei quali raccolti assieme maturino una forma mentis poco
individualista, il che rappresenta il superamento di un ostacolo alla sana
crescita personale e alla pacifica coesione della società: chi non si vede un
piccolo ingranaggio del grande meccanismo cosmico, è un disadattato. Di
impronta vichiana è la psicologia aliena dell’età evolutiva: fra tutto il corso
della storia e le fasi di sviluppo del fanciullo c’è parallelismo. Dalla
fantasia alla ragione passando dal coraggio per i Terrestri, dall’egoismo al
socialismo per i Marziani. L’abbigliamento degli extraterrestri è semplice, non
avendo velleità estetiche. L’arte marziana non segue naturalmente simile linea.
Essa viene diffusa nelle residenze e nei musei. Questi ultimi hanno un compito
educativo nei confronti della comunità: illustrare l’evoluzione estetica aliena
(vediamo il principio pedagogico vichiano che si ripete). In un museo visitato
da Leonid, l’osservatore, voce narrante, rileva che la statuaria di era
marziana capitalistica riproponeva una distanza tra generi sessuali ritenuta
discriminatoria. Non vengono forniti in merito altri dettagli, perciò formulare
un giudizio non è facile. Quello che per Bogdanov è un difetto va inquadrato in
un più approfondito quadro di analisi. Non è positivo che le donne si mettano a
fare gli uomini. Ciò che sostengo non è ovviamente motivato da discriminazione,
anzi dal contrario. Le donne vanno apprezzate nel modo in cui sono per natura,
non possono essere emarginate da qualsiasi ambito sull’assurda base di
pregiudizi. Pertanto non c’è bisogno che imitino la controparte maschile: è
come se una pera volesse diventare una mela, non licet. Fra donne e uomini ci
sono differenze reciprocamente non subordinanti. L’arte o l’abbigliamento
marziani tesi a mimetizzare i generi in un’estetica proletaria di eguaglianza
universale in tal caso cadrebbero nell’eccesso opposto. La maternità, ad
esempio, la più alta funzione biologica femminile, in quale maniera si può
camuffare in un appiattimento androginico? Vedremo avanti che simili
preoccupazioni non hanno ragion d’essere in relazione a Marte. Mentre il
comunismo terrestre marxista a un quid paternalistico il quale si scontra a
livello subliminale col femminismo, e l’urto finisce col disintegrare
l’istituto della famiglia, quando invece essa è un’associazione naturale (come
già aveva sottolineato Aristotele). Questi Marziani di Bogdanov riflettono un
carattere greco-antico: amano il teatro e la tragedia, evidenti strumenti
catartici nel loro rapporto con la Natura. Ma non solo; per altro verso
culturale, esprimono un tratto catoniano: se nel passato si celebrava il
protagonista di un’impresa, adesso il primato di immagine archetipica si è
concentrato soprattutto sull’azione (dal simbolo alla allegoria). Un segno del
tramonto dell’individualismo: è una cosa discutibile. Nel momento in cui si
seguisse in toto il modello di Catone il censore, non si potrebbe rievocare il
passato in una riproposizione obiettiva, in quanto, mutilata di dettagli
indispensabili, sarebbe una parziale dogmatica verità. La metodologia di
indagine storica marziana, pur seguendo il suo spirito socialista, credo non
scada nei peggiori limiti catoniani. Per quanto concerne il marxismo se nella
storia si cala il metro teleologico storiografico della lotta di classe, si
introduce a priori una disputa violenta. Ciò non è accettabile: prima della
rivoluzione esiste il terreno della riforma (Mars docet). Il percorso
rivoluzionario francese settecentesco ha esperito questo percorso di
possibilità. Il benessere è sia collettivo che individuale. Gli estremismi
marxista e liberale si allontanano da una medietà pratica aristotelica e da un
equilibrio archetipico junghiano. Non esiste welfare pubblico disgiunto dal
benessere di ogni singolo cittadino. L’Argentina peronista ha dimostrato di
ambire a ciò, al pari della società marziana dal canto suo. Nella seconda non
c’è un esercito per muovere guerra, però ciò non significa che non esista uno
strumento di forza dell’ordine. Questa serve in maniera esclusiva a mantenere e
ripristinare il benessere laddove ci sia un’infrazione. Ancora molto avanzata
si rivela la realtà sociale di Marte nel legittimare la possibilità
dell’eutanasia. Mentre in parte fantastica è la credenza di Bogdanov sul potere
rigeneratore, nei confronti dell’organismo vivente, delle trasfusioni di sangue
(questa convinzione ha una radice remota veterotestamentaria, in base alla
quale la sede energetica della vita starebbe nel sangue). Tal ultimo interesse
medico da lui coltivato in URSS (nel ’26 aveva creato un istituto apposito) ne
provocò la morte nel 1928 dopo essersi sottoposto a una trasfusione di sangue
proveniente da un soggetto malato (Bogdanov era sposato dal 1899, con prole; la
moglie, morta nel ’45, aveva otto anni più di lui). La seconda metà del romanzo
disvela dei tratti che aprono il racconto bogdanoviano a una prospettiva di
lettura psicoanalitica secondo le teorie di Jung. Leonid attraversa delle
esperienze analoghe a quelle del fondatore della psicologia analitica (e
descritte nel di lui “Liber novus”). Allo stesso modo si presentano a un
conscio protagonista del romanzo vari personaggi, frutto di allucinazioni, i
quali a volte gli parlano (sentiva altresì delle voci isolate di notte). Non
possiamo fare a meno di riconoscere delle manifestazione dell’inconscio
collettivo. A tal punto che ritengo “La stella rossa”, in relazione al suo
creatore, un testo accostabile al “Libro rosso” junghiano nel modo che verrò a
spiegare. Non escludo che la fenomenologia delle apparizioni e dei contatti
junghiani possa essere stata vissuta da Bogdanov, e il suo resoconto
ripresentato in forma di romanzo. Vi sono cose che m’inducono a crederlo.
Innanzitutto l’utopia marziana fin qui descritta possiede una connotazione
parecchio archetipica. Il socialismo di Marte è stato l’approdo di un cammino
non violento, il risultato di una sempre migliore evoluzione sociale dentro un
singolo Stato planetario. Ci distacchiamo dunque in maniera considerevole da
idee cardine del marxismo: lotta di classe pure cruenta, dittatura del
proletariato. I Marziani eleggono a guida una retta ragione, a differenza dei
Terrestri i qual spesso deragliano verso eccessi. Ecco dunque il perché di un
richiamo esemplare nella coscienza di uno scrittore sensibile quale l’autore
del racconto in esame. Dal momento in cui Leonid ha le allucinazioni si schiude
una fase espositiva della narrazione rischiarante tutta la prima parte (la
quale ovviamente non smarrisce il suo connotato di utopia politica, acquisendo
accanto quello di utopia archetipica). Gli intenti politici di Bogdanov sono
precisi, tuttavia essi – volente o nolente – non esauriscono la ricchezza
spirituale della materia da lui offerta. Il colpo di scena centrale avviene
quando Leonid scopre che Netti è una donna aliena. Le Marziane vestono abiti i
quali non consentono facilmente di distinguerle dagli extraterrestri maschi.
Lei era stata sulla Terra nel corso dell’operazione mirata a portarlo su Marte,
però del fatto che lei ed Enno, un’astronoma di quell’équipe d’intervento,
appartenessero al sesso femminile non aveva capito niente. Un dubbio a
proposito della dottoressa Netti, molto vago, gli era stato insinuato da una
delle di lui apparizioni, nel periodo di cura condotta da ella, grazie alla
quale guarisce senza afferrare la verità. Allorché Leonid si è ripreso, egli
chiede a Netti per quale ragione si senta attratto dalla persona che l’ha
curato. Lei puntualizza di essere una donna ed inizia un love affair alieno.
L’inconscio impersonale aveva cercato di chiarire tutto, e quelle esperienze
avevano generato le condizioni di un incontro reciproco: anche Netti, dai
grandi occhi azzurri e verdi, si era innamorata di lui. Bogdanov dice che lei
avesse un bel corpo. I big eyes fanno pensare ai soggetti pittorici di Margaret
Keane e ai personaggi degli anime: se non fanno brutta impressione questi, e
anzi sono apprezzabili prodotti artistici, non vedo perché l’immagine di
un’aliena così fatta dovrebbe suscitare repulsione. Il tipo dell’extraterrestre
dai grandi occhi simbolici era già comparso in “Auf Zwei Planeten (1897)” di
Kurd Lasswitz (1848-1910; scrittore fantascientifico tedesco). Nel racconto
bogdanoviano giunge intanto la temporanea separazione della nuova coppia,
giacché lei è coinvolta in una missione spaziale su Venere assieme all’ingegner
Menni. E lui decide di proseguire l’iter conoscitivo sul pianeta rosso andando
a lavorare in una fabbrica. La nuova esperienza gli crea disorientamento, e di
nuovo malessere. Si sente indotto a saperne di più su quel che sta accadendo. A
gradi conoscerà le vicende personali del Marziani a lui prossimi. Enno e Menni
erano stati sposati, però si erano separati perché lei voleva dei figli che non
erano venuti. Netti si era unita in matrimonio, in virtù di un forte comune
interesse verso la Terra, allo scienziato Sterni (pure lui recatosi sul nostro
pianeta); tuttavia essendo egli molto logico e poco sentimentale, il connubio
si era rotto e lei si era messa con il chimico Letta (perito in un incidente
sull’astronave alla volta di Marte nel tentativo riuscito di salvare la vita a
Leonid). In una lettera di rassicurazioni di Netti lasciata per Leonid prima
della partenza della spedizione, lei lo tranquillizza sull’aver chiuso con il
passato, e si pone nel suoi confronti conformandosi al modello archetipico
postindividuativo di Madre Natura, il che conferma la nobiltà interiore di tale
aliena ribadita da Bogdanov tramite le parole dell’educatrice psicologa Nella
(madre di lei). La lontananza di Netti lo induce a indagare sull’origine della
missione cui lei ha preso parte. Nell’approssimarsi al retroscena il lettore
del romanzo che seguirà le mie indicazioni critiche potrà notare come Netti sia
considerabile figura dell’“anima” junghiana in rapporto all’Io bogdanoviano, il
quale è, in fin dei conti, velato da una maschera, l’Io del narratore. Siffatta
anima è stata il canale da cui sono
passate le immagini dell’inconscio assoluto: quelle di Leonid nel dettaglio del
romanzo, e quelle di Bogdanov in relazione all’intero racconto. Se volessimo
esprimere ciò con uno schema di proporzioni dovremmo concludere quanto segue.
Bogdanov
: Netti : “La stella rossa” = Leonid : “anima” junghiana (di L.) : Netti
L’unione
dei due mondi (Terra e Marte) auspicata da Netti ha diversi stadi
d’interpretazione psicoanalitica. Adesso è possibile presentare il più semplice
in relazione alla coppia Netti/Leonid: anima e animus junghiani verso la
sizigia, Ego personali davanti alla controparte psichica sessuale in direzione
dell’“individuazione”. Da questo livello la narrazione del romanzo conduce a un
grado interpretativo più complesso e articolato richiedente un riaggancio allo
sviluppo narrativo. Leonid scopre che le risorse vitali del pianeta Marte sono
in via di esaurimento, ed entro pochissimi decenni ciò causerà gravissimi
disagi alla popolazione marziana. A questo punto di “Krasnaya zvezda” vengono
presentati i discorsi integrali, inerenti alla decisione da prendersi
nell’adozione di una soluzione, tenuti da Sterni, Netti e Menni (in assenza di
Leonid). I tre protagonisti extraterrestri, mediante le loro affermazioni,
svolgono ruoli simbolici nevralgici in riferimento al contesto psicoanalitico
junghiano della personalità singola. E mi riferisco in particolare alla teoria
delle quattro funzioni (logica, sentimentale, intuitiva, percettiva)
distribuite su due assi caratteriali incrociati (razionalità, irrazionalità).
Il dibattito fra i tre alieni è una bellissima allegoria psichica. Sterni
rappresenta l’asciutta razionalità (maschile,
in senso lato) la quale isolatasi dal sentimento (femminile, sempre in senso lato) conduce i ragionamenti presso
conclusioni insane. Poiché Sterni è la maschera di tale razionalità, la sua
premessa, come ricorderà Netti, si mantiene valida. Al fine di salvare Marte egli
propone di colonizzare la Terra, ma grazie alla sottolineatura
dell’inaffidabilità e dell’irrazionalità umane, conclude che sia meglio
sterminare l’umanità per servirsi delle risorse terrestri. Gli uomini sono
divisi, egoisti, in conflitto inter se. Il cercare di elevare la loro civiltà
potrebbe ottenere, in un modo o nell’altro, soltanto il negativo effetto di
ritorno di una intensa ostilità alla presenza aliena: i Marziani sarebbero
sempre visti, da soggetti maldisposti per vocazione, nei panni di invasori e
sfruttatori a svantaggio dei quali utilizzare le eventuali nuove conoscenze
tecnologiche trasmesse. Simili perplessità di Sterni non sono infondate, sono
razionali. Esagera, e non di poco, la sua pars costruens giacché non tiene
conto di nessuna componente del sentimento (che invece Netti avrà il compito di
rappresentare). Lo scienziato alieno mi fa venire in mente il Dio
veterotestamentario il quale distrugge umanità attraverso il diluvio universale
in previsione di un obiettivo di bontà (?) superiore. E infatti si tratta dello
stesso schema nevrotico della razionalità maschilista arroccata2. Se
nella persona la funzione logica cerca di operare separata in antitesi alla
funzione sentimentale, se il “maschile” rifiuta il “femminile” (il discorso
vale altresì a parti ribaltate), il risultato sarà quello di una psiche
squilibrata capace di produrre ipotesi o atti di eccesso. Pertanto Netti si
oppone, pur ammettendo la sincerità delle premesse di Sterni, in rapporto alle
quali bisogna giudicare in diversa maniera. Lo scienziato extraterrestre ancora
una volta ricorda le diversità tra Marte e la Terra, tanto che possiamo
individuare nei due pianeti simboli della razionalità e dell’irrazionalità, e
laddove “La stella rossa” parla di unione dei due mondi pensare alla saldatura
psichica dei due assi di funzioni della teoria junghiana (in direzione di un equilibrio
interiore generale). Sterni è ulteriormente scettico nei riguardi di
un’operazione di sostegno alieno ai movimenti socialisti umani, i quali operano
in un teatro di divisioni che non gioca a loro favore neanche nell’eventualità
di successo. Il fatto di provenire da un mondo di separazioni fa degli esseri
umani dei soggetti instabili, in grado di trasformare il loro socialismo in un
fenomeno crudele. Non si può certo sostenere che le premesse di Sterni siano
stupidaggini. Il socialismo marziano è di un’altra pasta, se vogliamo esprimere
un giudizio aggiuntivo al suo, e a posteriori, all’inizio del XXI secolo. I
marziani vissuti all’era del proprio cambiamento sociale sono partiti da una
base peronista, la quale li allontana dai farmaci marxisti, e poi hanno
raggiunto un incruento socialismo. In simile meta c’è un’indicazione
metodologica archetipica. E siccome è l’equilibrio l’obiettivo di qualsiasi
campo d’azione e non l’urto, la soluzione
finale proposta dallo scienziato alieno necessita di essere arginata e respinta.
Quantunque Sterni avesse ragione nell’affermare che i Marziani realizzassero l’humanitas
in una dimensione più elevata della maggior parte dei Terrestri, questo non
costituisce motivo ammissibile giustificante la soppressione degli
indesiderati. Tocca a Netti perorare la difesa dal pubblico ministero razionale
estremo. Ella argomenta che l’incontro fra le due civiltà è fattibile, e che
bisogna rispettare le diversità e i tempi richiesti dall’evoluzione sociale
umana. Come Marte ha avuto la sua pacifica transizione al socialismo, così i
Terrestri meritano la possibilità di una simile conquista nonostante tutti i
loro difetti. Gli uomini hanno diritto al tempo sufficiente per maturare una
coscienza sociale, e le loro differenze possono risultare uno sprone verso
l’obiettivo. Gramsciano il pensiero di Netti in quel punto dove reputa utile la
conoscenza inter homines di lingue differenti le quali stimolano
l’intelligenza. Altresì, per Netti, la filosofia degli abitanti della Terra
costituisce un potente motore del progresso. Non è lecito interferire, secondo
lei, su grande scala nella storia del nostro pianeta: pure qui è possibile
raggiungere il socialismo, lasciando spazi e modalità autonomi. La fratellanza
universale indica ai Marziani un’altra strada per mezzo di cui rimediare alle
loro prossime carenze di risorse, una strada che indica lo sfruttamento del
preistorico pianeta Venere. Unire Terrestri e Marziani nell’amore, e non solo
grazie al vaglio esclusivo della ragione, è il vero scopo. E l’ingegner Menni,
arrivato il suo turno di parola, sancisce il ritrovato equilibrio: Venere sarà
l’obiettivo degli sforzi di colonizzazione di Marte. I tre discorsi di Sterni,
Netti, Menni, sono ben costruiti con abilità gorgiana: tutti e tre sono veri.
Ma la verità soprattutto dei primi due necessita di una sintesi archetipica
producente la base del ragionamento del terzo. Questo è un luminoso esempio di
corretta dialettica la quale approda a una sana medietà aristotelica. Lo schema
junghiano delle funzioni sopra ricordato è stato ripercorso allegoricamente per
intero, sino al rinvenimento di un quadro armonico. La qual cosa, invece, non
succede a Leonid dopo aver appreso i contenuti di quella dialettica
programmatica. Il disordine mentale diviene padrone di lui. L’“ombra” junghiana,
che tramava dietro a Sterni, nel Terrestre trova il campo dell’irrazionalità
dilagante a causa della preoccupazione per la sorte della Terra. Temendo che
l’umanità possa essere distrutta dai Marziani, Leonid si spingerà fino all’uccisione
di Sterni, colpito alla testa con un oggetto in un irrazionale impeto
istintivo. Tale circostanza ci riporta all’Antico Testamento: Caino uccide
Abele, un’insana irrazionalità ammazza una pari insana forma di razionalità
gradita agli occhi di Dio (la-ragione-senza-sentimento). Leonid dimostra, come
egli stesso confessa, che la Terra nel confronto con Marte recita la parte
junghiana dell’irrazionalità. L’alienicidio rappresenta l’estremo opposto della
soluzione finale propugnata da
Sterni, nel mezzo le idee di Netti e Menni. La vicenda letteraria
dell’uccisione di Sterni ha un notevole parallelo junghiano nel “Liber novus” (che
ne chiarisce con altra luce la dinamica): la morte di Sigfrido. L’eroe epico
della tradizione tedesca viene ucciso da Jung in un suo sogno. La spiegazione
dello psicanalista svizzero ci consente di capire ancora meglio la sorte
toccata allo scienziato extraterrestre bogdanoviano. Le parole junghiane
valgono per Leonid: dare la morte a Sigfrido e a Sterni equivale a un cambiamento
che annulla il precedente modello di efficienza. Idest: una funzione psichica
superiore (quella logica nel nostro caso del romanzo) è sacrificata, come in un
rituale, in vista dell’attivazione di quella inferiore (sentimentale: ecco
Netti) grazie a una fornitura energetica libidica. Adesso non pare il caso di
ripetere considerazioni che ho già formulato in merito a tutti questi vari
aspetti psicoanalitici. Aggiungo qui che suddetto processo, tramite la
personale comprensione di un’assoluzione dalla colpa per il gesto, aspira a una
rinascita, a un rinnovamento in interiore homine, dove una funzione della
psiche che aveva assunto un pericoloso predominio è stata destituita. Jung nel
sogno e Leonid nel racconto entrano in una crisi che gli prospetta il suicidio:
lo studioso svizzero dopo il crimen, il Russo prima. La circostanza del secondo
è ovvia: lui non può darsi una delucidazione a posteriori, ne “La stella rossa”
questa è, più o meno, implicita a priori. Difatti l’alienicidio appare un
corollario del dibattito a tre fra Sterni, Netti, Menni. Sterni muore in
pectore già là: l’esecuzione materiale del delitto è solo una constatazione
narrativa a posteriori. Ciò ci riallinea all’esperienza junghiana: il disagio
per non aver compreso la dinamica, disagio che indurrebbe al suicidio segue
l’uccisione rituale, ideale, virtuale. Jung, dal canto suo, non mostra problemi
a capire e ad accogliere le sue visioni. E pure Leonid riuscirà a risollevarsi
grazie a Netti (in generale “anima” junghiana, mediatrice dell’inconscio
collettivo). L’immediata prosecuzione di quell’esperienza onirica dello
psicoanalista svizzero offre uno spunto interessante. Egli sognò degli
individui umani dopo la morte, vestiti di bianco, contornati di luce, a seconda
dei singoli tipi, rossa, azzurra o verde. Il rosso nel racconto di Bogdanov è
il colore caratteristico; verdi e azzurri sono gli occhi di Netti. Quando nel
“Libro rosso” Jung approfondisce la comprensione dell’uccisione di Sigfrido la
paragona a un deicidio. Il cambiamento necessita di una simbolica uccisione del
divino-compenetrante-i-principi-umani; quindi, afferma Jung, è Dio stesso
divenuto inadeguato quale espressione archetipica, addirittura più connotato
dall’“ombra” (junghiana), a esigere di essere ammazzato affinché abbia luogo il
rinnovamento (si vedano la nietzschiana “morte di Dio” e l’ateismo marxista
interagire in Bogdanov). Ma l’uomo ha immense difficoltà ad annientare il Dio
simbolico: o se ne sbarazza, a fini di bene (come nei casi di Jung e Leonid),
con l’inganno, o più facilmente opera l’esteriore rinnovamento dei suoi
principi senza scendere nel “profondo”. Nella seconda ipotesi il marciume
rimane. Nel racconto bogdanoviano Leonid sarà riportato convalescente in un
ospedale terrestre, donde ripresosi fuggirà. Nel novero delle impressioni del
ritornato e recuperato alienicida, constatazioni junghiane: l’umanità al suo
sguardo compassionevole appare infantile; Netti gioca un ruolo essenziale nel
suoi momenti psicologici e pratici aventi rilevanza critica. Leonid, riportato
ferito nel medesimo ospedale, nel finale di “Krasnaya zvezda” sarà prelevato da
Netti, insieme alla quale sparirà. Le vicende del romanzo si chiudono nel 1906.
L’alchimia junghiana si è compiuta. Ne “L’ingegner Menni”, altro romanzo di
Aleksandr Bogdanov del 1912, lo scrittore russo crea una sorta di prequel de
“La stella rossa”, dove tratta l’avvento socialista su Marte. Xarma là si
chiama l’economista socialista marziano corrispondente a Marx.
NOTE
Questo
scritto è un estratto del mio saggio “Socialismo e finzione letteraria in
Aleksandr Bogdanov e Jack London (2017)”
1
Per
approfondimenti si veda nella mia monografia “La morte delle ideologie (2011)”
la sezione intitolata “Il giustizialismo peronista”.
2
Di
questa nevrosi ho trattato nel mio saggio “Mitopoiesi junghiana in Clive
Staples Lewis (2017)”.