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sabato 11 gennaio 2020

“RELIGIONE/ECONOMIA”: IL DIO DENARO?

di DANILO CARUSO

Nel corso del mio impegno di studioso indipendente, mi sono dedicato alla conoscenza della tradizione giudeocristiana e del capitalismo, pervenendo a una posizione diversa da quelle marxiana e weberiana circa i legami fra religione ed economia in Occidente. Nel caso specifico del fenomeno capitalistico, riguardo al culto nella prima si parla di sovrastruttura di facciata, mentre nella seconda si ribaltano i termini ponendo la causa nell’attivismo di matrice (nevrotica) religiosa e l’effetto nel capitalismo. A mio avviso Marx e Weber non sbagliano, ma sono parziali: da ciò la loro collocazione reciproca antitetica. Dai risultati delle mie ricerche e riflessioni emerge alla base di Ebraismo e di intraprendenza economica un “attivismo indifferenziato”, da cui si sviluppano due binari paralleli i quali portano alla suddetta tradizione religiosa e alla realtà capitalistica. Inter se corre una relazione di “sincronicità”, non di causa-effetto: tuttavia ciò non nega la possibilità che si possano influenzare a vicenda. I due pensatori ricordati hanno entrambi ragione: parlano solo da prospettive differenti, però non inconciliabili nel mio modello. L’attivismo indifferenziato si sostanzia in ambito religioso o in quello socioeconomico in livelli di primo grado autentici a seconda dei casi. Esso rifiuta il primato globale dell’agricoltura di sussistenza a beneficio del rischio d’impresa ad personam. Poiché il mondo agricolo è espressione della Madre Terra, e dunque possiede una connotazione “femminile”, ciò che si presenta come alternativo si configura come “maschile” e misogino: Abele preferito a Caino, la donna origine del male nel mondo. Quanto credo, da junghiano, è che l’attivismo indifferenziato di cui parlo sia una nevrosi, una medaglia con due volti: religiosità giudaicocristiana e intraprendenza capitalistica. La verità è la medaglia, poi il resto è un “testa o croce” rilevabile solo a posteriori: gli effetti nevrotici sono imprevedibili. Esaminiamo un fenomeno particolare. Ogni giorno, con l’eccezione del Sabato santo, la Chiesa cattolica celebra messe in tutt’Italia in pubblici luoghi di culto. In questi, durante la funzione, i fedeli donano del denaro. Tale libero transito monetario non è occasionale, bensì ripetuto, e ha luogo per giunta in uno spazio esentato dall’imposizione fiscale sugli immobili da parte dello Stato italiano. Gli aspetti della non tassazione e del costante passaggio di ricchezza non controllata sembrano giuridicamente in contraddizione nel momento in cui si sottolinea che non sono inerenti a un ambito privato: non si tratta di un semplice regalo in casa di un amico o per strada a chicchessia. Parrebbe incostituzionale (art. 53 della Costituzione) ignorare questo stabile fenomeno producente accumulo di denaro giacché l’offerta di soldi nel corso della messa avviene all’interno di uno spazio pubblico preciso e identificato nella sua tipologia. Ogni sorgente di reddito costante di simile configurazione non si discosta molto dalla rendita commerciale di un negozio (il quale si trova parimenti aperto al pubblico, però pagante la tassazione immobiliare sul suo locale e quella sugli utili). Supponiamo, per assurdo, che il Vaticano riprenda a vendere le indulgenze, come faceva nei secoli scorsi: lo Stato tasserebbe quei guadagni come reddito d’impresa, e ne maggiorerebbe il prezzo mediante l’aggiunta dell’IVA? Tra una chiesa in cui si riceve l’ostia consacrata e si donano dei soldi, e la borsa dei valori (dove si svolgono commerci di prodotti finanziari in cambio di denaro) esistono differenze di forma? Nella celebrazione eucaristica cosiffatta si simula un commercio in deroga alla tassazione (vedansi le vecchie indulgenze)? In fin dei conti da entrambe le realtà paragonate si pretende di fare “acquisti” volti al benessere, spirituale e materiale rispettivamente. Non tassare una chiesa (a scapito di un principio di equità di trattamento), in quanto edificio di pubblico culto, sembra rafforzare quel meccanismo contraddittorio evidenziato, dove l’ipotesi di abuso della credulità popolare finalizzato all’induzione di dono del denaro potrebbe essere un ulteriore tema di valutazione giurisprudenziale. La promozione che l’emittente televisiva di Stato italiana garantisce inoltre ogni domenica mattina a beneficio della religione cattolica, ufficiale e unica di Città del Vaticano, un Paese straniero non comunitario (che peraltro è una non democratica monarchia assoluta elettiva) fornisce nuovi spunti di osservazione a causa di possibile illiceità, poiché la cosa si configurerebbe quale discriminatoria azione a svantaggio di altri culti (che dovrebbero in teoria pagare la “pubblicità”, in senso lato, televisiva) e a favore di chi nei suoi “pubblici” luoghi riesce a ottenere quella succitata ricchezza poi non tracciata, e non tassata (né a livello immobiliare, né tanto meno su quello della raccolta di liquidità). A tutti i fedeli cattolici non mancherebbe un canale televisivo su cui vedere la messa, vaticano o privato. Il fatto che lo Stato si sbilanci in simili modi evocati a vantaggio di una determinata religione promuovendone la diffusione non appare un esempio d’imparzialità: la Repubblica italiana poi non si mostra molto laica se nei pubblici uffici c’è sempre appeso un crocifisso e se nelle sue scuole si prevede l’ora di religione cattolica. Anche questi dettagli, più che formare il rispetto di una tradizione, rappresentano de facto un complesso propagandistico discriminatorio delle diversità (come avviene in tutti quegli altri contesti operanti sulla stessa falsariga): difficile definire rispetto di una tradizione popolare l’emarginazione pressoché radicale dei rimanenti dall’aspetto promozionale nel momento in cui costoro vengono privati di parallele gratuite possibilità; il desiderio di rafforzare una tradizione, mantenerla, per qualsivoglia motivo, con strumenti e privilegi statali creerà tensioni. Chi vuole l’insegnamento della religione cattolica, vada al catechismo in chiesa. Chi vuole l’esposizione di simboli religiosi cristiani, esponga a casa sua o addosso a sé. E ciò vale per tutte le religioni, imitando il modello francese. Libera Chiesa in libero Stato: uno dei più grandi errori del fascismo, assieme alle leggi razziali e all’alleanza col nazismo, è costituito dai Patti Lateranensi. Avere buttato al vento l’emancipazione liberale, ottenuta nel periodo postunitario, dall’influenza cattolica sulla politica italiana, riportò l’orologio della storia indietro, al periodo prerivoluzionario francese. 


NOTE

Questo scritto è un estratto del mio saggio “Note umanistiche (2020)”
https://www.academia.edu/42022453/Note_umanistiche


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