di
DANILO CARUSO
Nel
corso del mio impegno di studioso indipendente, mi sono dedicato alla
conoscenza della tradizione giudeocristiana e del capitalismo, pervenendo a una
posizione diversa da quelle marxiana e weberiana circa i legami fra religione
ed economia in Occidente. Nel caso specifico del fenomeno capitalistico,
riguardo al culto nella prima si parla di sovrastruttura di facciata, mentre
nella seconda si ribaltano i termini ponendo la causa nell’attivismo di matrice
(nevrotica) religiosa e l’effetto nel capitalismo. A mio avviso Marx e Weber
non sbagliano, ma sono parziali: da ciò la loro collocazione reciproca
antitetica. Dai risultati delle mie ricerche e riflessioni emerge alla base di
Ebraismo e di intraprendenza economica un “attivismo indifferenziato”, da cui
si sviluppano due binari paralleli i quali portano alla suddetta tradizione
religiosa e alla realtà capitalistica. Inter se corre una relazione di
“sincronicità”, non di causa-effetto: tuttavia ciò non nega la possibilità che
si possano influenzare a vicenda. I due pensatori ricordati hanno entrambi
ragione: parlano solo da prospettive differenti, però non inconciliabili nel
mio modello. L’attivismo indifferenziato si sostanzia in ambito religioso o in
quello socioeconomico in livelli di primo grado autentici a seconda dei casi.
Esso rifiuta il primato globale dell’agricoltura di sussistenza a beneficio del
rischio d’impresa ad personam. Poiché il mondo agricolo è espressione della
Madre Terra, e dunque possiede una connotazione “femminile”, ciò che si
presenta come alternativo si configura come “maschile” e misogino: Abele
preferito a Caino, la donna origine del male nel mondo. Quanto credo, da
junghiano, è che l’attivismo indifferenziato di cui parlo sia una nevrosi, una
medaglia con due volti: religiosità giudaicocristiana e intraprendenza
capitalistica. La verità è la medaglia, poi il resto è un “testa o croce”
rilevabile solo a posteriori: gli effetti nevrotici sono imprevedibili.
Esaminiamo un fenomeno particolare. Ogni giorno, con l’eccezione del Sabato
santo, la Chiesa cattolica celebra messe in tutt’Italia in pubblici luoghi di
culto. In questi, durante la funzione, i fedeli donano del denaro. Tale libero
transito monetario non è occasionale, bensì ripetuto, e ha luogo per giunta in
uno spazio esentato dall’imposizione fiscale sugli immobili da parte dello
Stato italiano. Gli aspetti della non tassazione e del costante passaggio di
ricchezza non controllata sembrano giuridicamente in contraddizione nel momento
in cui si sottolinea che non sono inerenti a un ambito privato: non si tratta
di un semplice regalo in casa di un amico o per strada a chicchessia. Parrebbe
incostituzionale (art. 53 della Costituzione) ignorare questo stabile fenomeno
producente accumulo di denaro giacché l’offerta di soldi nel corso della messa
avviene all’interno di uno spazio pubblico preciso e identificato nella sua
tipologia. Ogni sorgente di reddito costante di simile configurazione non si
discosta molto dalla rendita commerciale di un negozio (il quale si trova
parimenti aperto al pubblico, però pagante la tassazione immobiliare sul suo
locale e quella sugli utili). Supponiamo, per assurdo, che il Vaticano riprenda
a vendere le indulgenze, come faceva nei secoli scorsi: lo Stato tasserebbe
quei guadagni come reddito d’impresa, e ne maggiorerebbe il prezzo mediante
l’aggiunta dell’IVA? Tra una chiesa in cui si riceve l’ostia consacrata e si
donano dei soldi, e la borsa dei valori (dove si svolgono commerci di prodotti
finanziari in cambio di denaro) esistono differenze di forma? Nella
celebrazione eucaristica cosiffatta si simula un commercio in deroga alla
tassazione (vedansi le vecchie indulgenze)? In fin dei conti da entrambe le
realtà paragonate si pretende di fare “acquisti” volti al benessere, spirituale
e materiale rispettivamente. Non tassare una chiesa (a scapito di un principio
di equità di trattamento), in quanto edificio di pubblico culto, sembra
rafforzare quel meccanismo contraddittorio evidenziato, dove l’ipotesi di abuso
della credulità popolare finalizzato all’induzione di dono del denaro potrebbe
essere un ulteriore tema di valutazione giurisprudenziale. La promozione che
l’emittente televisiva di Stato italiana garantisce inoltre ogni domenica mattina
a beneficio della religione cattolica, ufficiale e unica di Città del Vaticano,
un Paese straniero non comunitario (che peraltro è una non democratica
monarchia assoluta elettiva) fornisce nuovi spunti di osservazione a causa di
possibile illiceità, poiché la cosa si configurerebbe quale discriminatoria
azione a svantaggio di altri culti (che dovrebbero in teoria pagare la
“pubblicità”, in senso lato, televisiva) e a favore di chi nei suoi “pubblici”
luoghi riesce a ottenere quella succitata ricchezza poi non tracciata, e non
tassata (né a livello immobiliare, né tanto meno su quello della raccolta di
liquidità). A tutti i fedeli cattolici non mancherebbe un canale televisivo su
cui vedere la messa, vaticano o privato. Il fatto che lo Stato si sbilanci in simili
modi evocati a vantaggio di una determinata religione promuovendone la
diffusione non appare un esempio d’imparzialità: la Repubblica italiana poi non
si mostra molto laica se nei pubblici uffici c’è sempre appeso un crocifisso e
se nelle sue scuole si prevede l’ora di religione cattolica. Anche questi
dettagli, più che formare il rispetto di una tradizione, rappresentano de facto
un complesso propagandistico discriminatorio delle diversità (come avviene in
tutti quegli altri contesti operanti sulla stessa falsariga): difficile
definire rispetto di una tradizione popolare l’emarginazione pressoché radicale
dei rimanenti dall’aspetto promozionale nel momento in cui costoro vengono
privati di parallele gratuite possibilità; il desiderio di rafforzare una
tradizione, mantenerla, per qualsivoglia motivo, con strumenti e privilegi
statali creerà tensioni. Chi vuole l’insegnamento della religione cattolica,
vada al catechismo in chiesa. Chi vuole l’esposizione di simboli religiosi
cristiani, esponga a casa sua o addosso a sé. E ciò vale per tutte le
religioni, imitando il modello francese. Libera Chiesa in libero Stato: uno dei
più grandi errori del fascismo, assieme alle leggi razziali e all’alleanza col
nazismo, è costituito dai Patti Lateranensi. Avere buttato al vento
l’emancipazione liberale, ottenuta nel periodo postunitario, dall’influenza
cattolica sulla politica italiana, riportò l’orologio della storia indietro, al
periodo prerivoluzionario francese. NOTE
Questo scritto è un estratto del mio saggio “Note umanistiche (2020)”
https://www.academia.edu/42022453/Note_umanistiche
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