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mercoledì 4 novembre 2020

PER UN NUOVO UMANESIMO

di DANILO CARUSO
  
La letteratura assume uno dei ruoli di primo piano, al pari delle altre arti, nell’esprimere il grado di civiltà di un gruppo sociale o di un singolo individuo. In alcuni film il grande comico Totò si chiedeva se siamo uomini o caporali. Aristotele, invece, sempre da un punto di vista psicologico, si chiede se siamo uomini o animali. La società dovrebbe educare al gusto delle cose buone e raffinate. Tuttavia sembra che la sua stragrande maggioranza sia composta da strani soggetti di bassi profili (intellettuale e culturale), peggiori di semplici analfabeti funzionali: soggetti polarizzati in maniera intensa sulla funzione caratteriale junghiana del senso, a scapito della razionalità. A prescindere da un’attribuzione di colpa, la quale non sta mai in toto da una parte, ciò lascia dubbiosi sul prosieguo positivo della vita sociale. Questa considerevole fetta di esseri antropomorfi valuta quanto si discosta dalla loro mediocritas quasi come un’anomalia. Mentre la realtà è che “umana” si rivela l’eccellenza, inscritta nelle potenzialità del genere non quale optional. Chi abdica alle prerogative di coltivare ed esprimere la nobiltà del pensiero (nelle sue sfaccettature) di spontanea volontà, decade alla volta di una mediocrità (a metà strada fra l’uomo autentico e l’animale). In virtù di ciò, chi appare superiore ai mediocri assume per loro consistenza reale di un demone o un semidio. Se ci sono uomini che preferiscono la comodità – se comodità si può definire – animale, non stupisce il fatto che nelle religioni diverse siano state le divinità teriomorfe. La propensione comune tende a farsi dei a propria somiglianza. Spiace l’aristotelica constatazione che per far parte del genere umano non basta camminare su due gambe. Nei contesti sociali ricchi dove lo studio ricopre attrattiva minore, il destino è l’imbarbarimento. Le aree della terra ancora sottosviluppate dietro diversi profili hanno una speranza di crescita e una giustificazione del loro status davanti all’inadeguato sostegno dei Paesi cosiddetti più evoluti. Alla povera gente del Terzo Mondo (la quale non ha scuole, ospedali, istituzioni efficienti) non si può rimproverare niente. Nessuno può, ad esempio, declassare i neri, come accaduto nella storia, a una sorta di gruppo animale da sfruttare a fini produttivi economici. Filoanimale è l’essere posto fuori del logos (il protagonista della psicologia comportamentista). Ogni pregiudizio etnico-somatico è infondato. Se agli occhi della manovalanza dei mediocri del benessere il superiore è un oltreuomo, al cospetto di quest’ultimo si palesa a sua volta la verità obiettiva di una schiera subumana, amputata di funzioni specifiche del genere umano. Un soggetto che ha rigettato la prospettiva dell’istruzione ha un piede fuori dell’umanità. Una testa in cui alberga povertà semantica, ignoranza grammaticale, per scelta propria, è inferiore nei confronti di chi realizza dimensioni di riflessione più complesse. Chi parla il newspeak di “1984” non vale più dei proles. Costui versa in uno stato di minorità mentale, una condizione che dovrebbe essere rimossa nell’esercizio dei diritti politici. Non capire gran che di politica, di economia, della storia umana e dei suoi prodotti, non è il requisito richiesto allorché si contribuisce a determinare l’indirizzo della cosa pubblica. Mi piace ricordare l’odio di Gramsci per gli indifferenti (gli ignavi danteschi) e la sua comprensione del valore degli studi classici al fine di una opportuna maturazione individuale. Il diritto allo studio rappresenta anche un dovere sociale. La democrazia ben funzionante dà il governo nelle mani di persone capaci; viceversa laddove c’è malcontento, forse, non si sono preparati cittadini all’altezza. Quale sarà l’impavido nuovo mondo di domani? Lo spazio linguistico (e letterario) nella società globalizzata è uno dei meno curati. Non pochi, pensando che sia la tipografia a fare un libro, e che la medesima elevi al rango di letterato e scrittore, prendono una penna (o un computer) e si mettono a scrivere ignorando la retorica, e incapaci di condurre una completa analisi grammaticale o logica di quanto hanno scritto. Ciò è singolare, grottesco. Ho sempre ritenuto che la redazione di un testo sia la stesura di una musica concettuale in forma verbale. Può capitare di leggere, a bassi livelli, stampati dove non solo latita la bellezza formale ma anche il contenuto sia frutto di poveri concetti in stato di anarchia. Questo è il prodotto dell’assenza di studio, intelligenza, talento. La scuola può essere utile nel percorso formativo, però, in ogni caso, chi è intelligente può studiare da autodidatta. Nessuno nasce ottuso, ci può diventare. Se all’abilità intellettuale si unisce poi il talento, non è necessario andare appresso a istituzioni mediocri. L’intelligenza è una capacità elaborativa mentale sveglia, rapida, efficace. È paragonabile a un calcio di punizione centrando lo specchio della porta. Il talento non è congenito in tutti: è un dono divino, genetico. Equivale a calciare la punizione di prima alla Maradona. La conoscenza scaturisce da un’attività di studio; l’intelligenza può perdersi, può migliorarsi. Il talento non s’impara: è Frida Kahlo, è Saffo, Sylvia Plath… Un elaborato scarso potrà bastare a suscitare l’ammirazione di moderni semianalfabeti, tuttavia non resisterà all’urto di una qualità d’esame migliore. Il mondo è fatto a strati di gente la quale, in contesti di relativo benessere, rimane contenta della propria condizione avendone scansata una peggiore. Pochi guardano oltre le loro vicinanze spaziali e temporali, giacché hanno una mente menomata dalla televisione (contenitore diffuso di stupidi programmi distraenti). Non migliore il rimpiazzo con un parallelo uso di internet. Se individui simili si mettono a scrivere, purtroppo l’esito non è gradevole. Rispetto ai loro inferiori saranno un eccelso modello, tuttavia la piramide intellettuale non si ferma da costoro. L’eccellenza sta in cima, alla volta della quale guardare. Accogliere il basso tronco piramidale a mo’ di consolazione esclusiva non rappresenta un nobile guadagno. Chi non mira alla vetta, non vale molto. In diversi stanno a sprecare il tempo libero in cose insignificanti. Se al loro sguardo il giorno è una quotidiana sfida alla noia, il tempo a chi coltiva interessi intellettuali, artistici e filantropici non basta mai. Non c’è amore più grande verso l’umanità del suo studio (complemento di specificazione sia oggettiva che soggettiva: l’umanità che attraverso i suoi singoli conosce e apprezza la sua parte più buona). La vita eterna serve dunque a conoscere l’interminabile produzione umana, raffigura un tendere in direzione della perfezione divina (dove la conoscenza eterna è già in atto). A chi, libero di far un adeguato uso umano della sua vita, ne ha fatto uno pessimo, credo tocchi la sorte della reincarnazione: non c’è inferno migliore della distopia reale. Le scuole sembrano decadute, non ovunque, a parziali fabbriche di diplomi e lauree ottenuti come nella vecchia raccolta dei punti nei fustini e pacchi di detersivo. Dato che manca una selezione più raffinata ci sono degli impreparati a svolgere bene le loro mansioni future. Perché uno dovrebbe andare all’inferno quando può soffrire, a causa dei suoi simili, in maniera tranquilla qui? C’è inoltre, ad esempio, qualcosa di peggiore della ingiustificabile barbarie nazista della Shoah o degli altri crimini contro l’umanità compiuti dalle inquisizioni cattolica e protestante. La meta di ogni essere umano è la felicità, non la sofferenza. L’anima che ritorna non è condannata al malessere e al dolore; pare destinato a pagare chi non agisce secondo giustizia e provoca queste deviazioni. Studiare serve a contribuire alla coesione sociale e alla solidarietà fra i popoli. La gestione politica a partire dal livello meno alto non può essere demandata ad arrivisti e soggetti di approssimativo sapere. Non è una questione di titoli accademici. Benedetto Croce, uno dei pilastri della cultura italiana novecentesca, è stato un eminente filosofo non laureato. Il suo titolo di studio ufficiale era la maturità classica. Eppure, continuando nell’exemplum, fu senatore, ministro, autorevole rappresentante del liberalismo e dell’idealismo. Fatti salvi i meritevoli e i talentuosi, nessun laureato coi punti del detersivo vale quanto un Benedetto Croce, o altri non laureati quali Grazia Deledda (che ottenne il premio Nobel per la letteratura), Gabriele D’Annunzio, et ceteri, se un pezzo di carta, quello dato oggigiorno, abilita perlopiù a essere un ingranaggio della macchina distopica. La specializzazione, tra l’altro, valida o scadente che sia, se impantana costituisce un limite. Platone ha ben detto che l’unico a essere filosofo (studioso nell’accezione più completa) è colui che ha come oggetto di studio il tutto. Non è un caso che Aristotele fosse un suo discepolo. Frazionare il sapere in compartimenti, a guisa di una catena di montaggio, rappresenta un divide et impera. La filosofia è l’unica disciplina ad avere dimensione universale: tutte le scienze occidentali sono nate da essa. Nel vestire i panni di filosofi, esseri umani cui spetta il governo della repubblica, non ci vuole per forza una laurea. Né le università, né le tipografie sono sempre esistite; sono sempre esistiti invece lo studio, l’intelligenza, il talento.