di DANILO CARUSO
La letteratura assume uno dei ruoli di primo piano, al pari
delle altre arti, nell’esprimere il grado di civiltà di un gruppo sociale o di
un singolo individuo. In alcuni film il grande comico Totò si chiedeva se siamo
uomini o caporali. Aristotele, invece, sempre da un punto di vista psicologico,
si chiede se siamo uomini o animali. La società dovrebbe educare al gusto delle
cose buone e raffinate. Tuttavia sembra che la sua stragrande maggioranza sia
composta da strani soggetti di bassi
profili (intellettuale e culturale), peggiori di semplici analfabeti
funzionali: soggetti polarizzati in maniera intensa sulla funzione caratteriale
junghiana del senso, a scapito della razionalità. A prescindere da
un’attribuzione di colpa, la quale non sta mai in toto da una parte, ciò lascia
dubbiosi sul prosieguo positivo della vita sociale. Questa considerevole fetta
di esseri antropomorfi valuta quanto si discosta dalla loro mediocritas quasi
come un’anomalia. Mentre la realtà è che “umana” si rivela l’eccellenza, inscritta
nelle potenzialità del genere non quale optional. Chi abdica alle prerogative
di coltivare ed esprimere la nobiltà del pensiero (nelle sue sfaccettature) di
spontanea volontà, decade alla volta di una mediocrità (a metà strada fra
l’uomo autentico e l’animale). In virtù di ciò, chi appare superiore ai
mediocri assume per loro consistenza reale di un demone o un semidio. Se ci
sono uomini che preferiscono la comodità – se comodità si può definire –
animale, non stupisce il fatto che nelle religioni diverse siano state le
divinità teriomorfe. La propensione comune tende a farsi dei a propria
somiglianza. Spiace l’aristotelica constatazione che per far parte del genere
umano non basta camminare su due gambe. Nei contesti sociali ricchi dove lo
studio ricopre attrattiva minore, il destino è l’imbarbarimento. Le aree della
terra ancora sottosviluppate dietro diversi profili hanno una speranza di
crescita e una giustificazione del loro status davanti all’inadeguato sostegno
dei Paesi cosiddetti più evoluti. Alla povera gente del Terzo Mondo (la quale
non ha scuole, ospedali, istituzioni efficienti) non si può rimproverare
niente. Nessuno può, ad esempio, declassare i neri, come accaduto nella storia,
a una sorta di gruppo animale da sfruttare a fini produttivi economici.
Filoanimale è l’essere posto fuori del logos (il protagonista della psicologia
comportamentista). Ogni pregiudizio etnico-somatico è infondato. Se agli occhi
della manovalanza dei mediocri del
benessere il superiore è un oltreuomo,
al cospetto di quest’ultimo si palesa a sua volta la verità obiettiva di una
schiera subumana, amputata di funzioni specifiche del genere umano. Un soggetto
che ha rigettato la prospettiva dell’istruzione ha un piede fuori dell’umanità.
Una testa in cui alberga povertà semantica, ignoranza grammaticale, per scelta
propria, è inferiore nei confronti di chi realizza dimensioni di riflessione
più complesse. Chi parla il newspeak
di “1984” non vale più dei proles.
Costui versa in uno stato di minorità mentale, una condizione che dovrebbe
essere rimossa nell’esercizio dei diritti politici. Non capire gran che di
politica, di economia, della storia umana e dei suoi prodotti, non è il
requisito richiesto allorché si contribuisce a determinare l’indirizzo della cosa pubblica. Mi piace ricordare l’odio di Gramsci per gli indifferenti
(gli ignavi danteschi) e la sua
comprensione del valore degli studi classici al fine di una opportuna
maturazione individuale. Il diritto allo studio rappresenta anche un dovere
sociale. La democrazia ben funzionante dà il governo nelle mani di persone
capaci; viceversa laddove c’è malcontento, forse, non si sono preparati
cittadini all’altezza. Quale sarà l’impavido
nuovo mondo di domani? Lo spazio linguistico (e letterario) nella società
globalizzata è uno dei meno curati. Non pochi, pensando che sia la tipografia a
fare un libro, e che la medesima elevi al rango di letterato e scrittore,
prendono una penna (o un computer) e si mettono a scrivere ignorando la
retorica, e incapaci di condurre una completa analisi grammaticale o logica di
quanto hanno scritto. Ciò è singolare, grottesco. Ho sempre ritenuto che la
redazione di un testo sia la stesura di una musica concettuale in forma
verbale. Può capitare di leggere, a bassi livelli, stampati dove non solo
latita la bellezza formale ma anche il contenuto sia frutto di poveri concetti
in stato di anarchia. Questo è il prodotto dell’assenza di studio,
intelligenza, talento. La scuola può essere utile nel percorso formativo, però,
in ogni caso, chi è intelligente può studiare da autodidatta. Nessuno nasce
ottuso, ci può diventare. Se all’abilità intellettuale si unisce poi il
talento, non è necessario andare appresso a istituzioni mediocri.
L’intelligenza è una capacità elaborativa mentale sveglia, rapida, efficace. È
paragonabile a un calcio di punizione centrando lo specchio della porta. Il
talento non è congenito in tutti: è un dono divino, genetico. Equivale a
calciare la punizione di prima alla Maradona. La conoscenza scaturisce da
un’attività di studio; l’intelligenza può perdersi, può migliorarsi. Il talento
non s’impara: è Frida Kahlo, è Saffo, Sylvia Plath… Un elaborato scarso potrà
bastare a suscitare l’ammirazione di moderni semianalfabeti, tuttavia non
resisterà all’urto di una qualità d’esame migliore. Il mondo è fatto a strati
di gente la quale, in contesti di relativo benessere, rimane contenta della
propria condizione avendone scansata una peggiore. Pochi guardano oltre le loro
vicinanze spaziali e temporali, giacché hanno una mente menomata dalla
televisione (contenitore diffuso di stupidi programmi distraenti). Non migliore
il rimpiazzo con un parallelo uso di internet. Se individui simili si mettono a
scrivere, purtroppo l’esito non è gradevole. Rispetto ai loro inferiori saranno
un eccelso modello, tuttavia la piramide intellettuale non si ferma da costoro.
L’eccellenza sta in cima, alla volta della quale guardare. Accogliere il basso
tronco piramidale a mo’ di consolazione esclusiva non rappresenta un nobile
guadagno. Chi non mira alla vetta, non vale molto. In diversi stanno a sprecare
il tempo libero in cose insignificanti. Se al loro sguardo il giorno è una
quotidiana sfida alla noia, il tempo a chi coltiva interessi intellettuali,
artistici e filantropici non basta mai. Non c’è amore più grande verso
l’umanità del suo studio (complemento di specificazione sia oggettiva che
soggettiva: l’umanità che attraverso i suoi singoli conosce e apprezza la sua
parte più buona). La vita eterna serve dunque a conoscere l’interminabile
produzione umana, raffigura un tendere in direzione della perfezione divina
(dove la conoscenza eterna è già in atto). A chi, libero di far un adeguato uso
umano della sua vita, ne ha fatto uno pessimo, credo tocchi la sorte della
reincarnazione: non c’è inferno migliore della distopia reale. Le scuole
sembrano decadute, non ovunque, a parziali fabbriche di diplomi e lauree
ottenuti come nella vecchia raccolta dei punti nei fustini e pacchi di
detersivo. Dato che manca una selezione più raffinata ci sono degli impreparati
a svolgere bene le loro mansioni future. Perché uno dovrebbe andare all’inferno
quando può soffrire, a causa dei suoi simili, in maniera tranquilla qui? C’è
inoltre, ad esempio, qualcosa di peggiore della ingiustificabile barbarie
nazista della Shoah o degli altri crimini contro l’umanità compiuti dalle
inquisizioni cattolica e protestante. La meta di ogni essere umano è la
felicità, non la sofferenza. L’anima che ritorna non è condannata al malessere
e al dolore; pare destinato a pagare chi non agisce secondo giustizia e provoca
queste deviazioni. Studiare serve a contribuire alla coesione sociale e alla
solidarietà fra i popoli. La gestione politica a partire dal livello meno alto
non può essere demandata ad arrivisti e soggetti di approssimativo sapere. Non
è una questione di titoli accademici. Benedetto Croce, uno dei pilastri della
cultura italiana novecentesca, è stato un eminente filosofo non laureato. Il
suo titolo di studio ufficiale era la maturità classica. Eppure, continuando
nell’exemplum, fu senatore, ministro, autorevole rappresentante del liberalismo
e dell’idealismo. Fatti salvi i meritevoli e i talentuosi, nessun laureato coi
punti del detersivo vale quanto un Benedetto Croce, o altri non laureati quali
Grazia Deledda (che ottenne il premio Nobel per la letteratura), Gabriele
D’Annunzio, et ceteri, se un pezzo di carta, quello dato oggigiorno, abilita
perlopiù a essere un ingranaggio della macchina distopica. La specializzazione,
tra l’altro, valida o scadente che sia, se impantana costituisce un limite.
Platone ha ben detto che l’unico a essere filosofo (studioso nell’accezione più
completa) è colui che ha come oggetto di studio il tutto. Non è un caso che
Aristotele fosse un suo discepolo. Frazionare il sapere in compartimenti, a
guisa di una catena di montaggio, rappresenta un divide et impera. La filosofia è l’unica disciplina ad avere
dimensione universale: tutte le scienze occidentali sono nate da essa. Nel
vestire i panni di filosofi, esseri umani cui spetta il governo della repubblica, non ci vuole per forza una
laurea. Né le università, né le tipografie sono sempre esistite; sono sempre
esistiti invece lo studio, l’intelligenza, il talento.