di DANILO CARUSO
Nel 1910 fu pubblicato il racconto londoniano “The unparalleled invasion”1. Tale “incomparabile invasione” ha come
bersaglio la Cina, si svolge in un immaginario 1976 e viene condotta dalle
potenze occidentali con a capo gli USA mediante un attacco biologico. La
narrazione di London prende l’avvio dalla situazione mondiale a inizio del ’900
e via via si sviluppa in modo immaginario in relazione alla crescita della
Cina. L’autore californiano prospetta un Impero cinese che, dopo essersi
emancipato dalla sudditanza politica nei confronti del Giappone e aver
assimilato la tecnologia industriale dell’Occidente, nell’arco del secolo,
grazie alla sua filosofia di vita e alla notevolissima espansione demografica,
assurge in modo pacifico al grado di prima forza produttrice e commerciale del
pianeta. Il racconto trae suggestione da aspetti di politica reale americana
maturati a partire dalla seconda metà dell’Ottocento quando iniziò
l’emigrazione di massa cinese in direzione della sponda occidentale degli USA.
Tra le preoccupazioni che emersero in breve tempo in seno all’opinione
americana: la diffusione della prostituzione femminile e la suggestione del
concubinato al cospetto del regime matrimoniale monogamico; la manodopera
offerta a costi bassi; nonché la paura che i Cinesi portassero contagi dai
quali fossero immuni. L’immigrazione cinese alla volta degli Stati Uniti
sebbene avesse offerto manovalanza conveniente finì per allarmare i ceti
dirigenti al punto di far emanare norme razziali con lo scopo di frenare
l’ingresso nel Paese. Nel 1852 lo Stato della California emanò una legge che tassava
mensilmente i lavoratori di provenienza estera. E il 26 aprile 1862 proseguì
con un’altra legge che disincentivava l’afflusso migratorio verso lo Stato
californiano. Per rendere meno competitiva la prestazione d’opera da parte dei Cinesi
fu a loro imposta una tassa mensile attraverso una legge federale (lo
“Anti-coolie act” del 19 febbraio 1862). Il federale “Naturalization act” del
1870 consentì ai provenienti dall’Africa di ricevere la cittadinanza
statunitense ed escluse gli immigrati giunti dall’Asia, nonostante il Trattato
di Burlingame di due anni prima avesse previsto liberi flussi emigratori verso
gli USA. Tra parentesi: il precedente “Naturalization act” del 1790 aveva
impedito che i non bianchi potessero essere naturalizzati. Nel 1873 la contea
di San Francisco adottò un provvedimento che obbligava i carcerati al taglio
dei capelli corti (“Pigtail ordinance”), il che colpiva volutamente in primis
in funzione anti-immigratoria le treccine allora tradizionali dei Cinesi lunghe
dietro la schiena. Era possibile derogare all’ordinanza sanitaria, comunque
sospesa dal sindaco dell’epoca per via dei suoi contenuti xenofobici, in tre
modi: rimanendo in carcere più a lungo del dovuto; assoggettandosi a una multa;
prestando un servizio supplementare alla pena all’interno della prigione. Nei
confronti di un Cinese di quei tempi il fatto di tornare in Patria, dopo aver
accumulato risparmi all’estero, senza treccina rappresentava una cosa gravissima
poiché quella coda di capelli costituiva il simbolo del rispetto nei riguardi
della monarchia imperiale. L’ordinanza sanitaria di San Francisco fu presa a
modello dallo Stato della California per emanare il 3 aprile 1876 una legge
analoga, la quale fu a sua volta dichiarata incostituzionale dalla Corte suprema
degli Stati Uniti perché discriminava in materia di omogenea tutela da offrirsi
a tutte le persone presenti sul territorio della federazione (XIV emendamento
della Costituzione degli USA). Del 3 marzo 1875 era tuttavia una legge federale
(“Page act”) varata su proposta di un deputato californiano a scapito
dell’immigrazione di donne asiatiche entrate nel territorio statunitense contro
la volontà delle suddette e grazie all’intervento di sfruttatori (questi
sanzionabili con carcerazione e multa). Si guardava al circuito della
prostituzione e si istituirono controlli sugli ingressi delle donne cinesi, i
quali furono incisivamente limitati (nel 1882 a fronte di quasi 40.000 arrivi
di Cinesi c’erano fra di loro poco più di un centinaio di donne). Intorno al
1880 c’erano circa 100.000 Cinesi negli Usa concentrati soprattutto in
California. Questo Stato nel 1879 escluse dalla partecipazione lavorativa i
Cinesi presso le s.p.a. e il pubblico impiego. Nel 1882 un primo progetto di
legge federale avanzato da un senatore californiano volto a fermare
l’immigrazione cinese per un ventennio negli Stati Uniti fu respinto grazie al
veto presidenziale poiché in contrasto con un accordo USA-Cina del 1880 il
quale non chiudeva radicalmente le porte all’emigrazione. Nonostante ciò
riproposto con durata decennale divenne legge. Emanato il 6 maggio 1882 il
“Chinese exclusion act” stabiliva l’impossibilità di naturalizzazione nei
riguardi dei Cinesi residenti negli USA e la proibizione dell’immigrazione al
di fuori di particolari casi. Questa legge che in origine comportava
un’interdizione decennale fu rinnovata nel ’92 e venne fissata con durata
indefinita nel 1902. Fecero eccezione alla norma generale i soggetti di
nazionalità cinese appartenenti alle seguenti categorie: viaggiatori
occasionali temporanei, docenti/studenti, commercianti, appartenenti a corpo
diplomatico. Nel 1889 la Corte suprema degli Stati Uniti decretò la regolarità
del “Chinese exclusion act”. La percezione negli ambienti sindacali all’epoca
di Jack London era che i capitalisti si servissero della manodopera cinese al
fine di mantenere bassi i livelli salariali. In seguito al “Chinese exclusion
act” la presenza cinese negli USA calò in un quarantennio da poco più di
100.000 a circa 60.000. La politica sinofobica americana spinse i Cinesi
residenti negli Stati uniti ad aggregarsi in comunità solidali chiuse (China
town) a scopo autoprotettivo. Queste aggregazioni furono in alcuni casi oggetto
di violente aggressioni razziste che provocarono vittime. Possiamo ricordare i
casi di Rock Springs nel 1885 e di Hells Canyon nel 1887. Il “Chinese exclusion
act” fu soppresso il 17 dicembre 1943 a causa di una convenienza pratica,
giacché i Cinesi erano dalla parte americana nel corso del secondo conflitto
mondiale contro i Nipponici (le cui mire imperialistiche sono evocate da London
in “The unparalleled invasion”). Nel 1948 il divieto californiano di matrimoni
misti interrazziali fu sanzionato dalla Corte suprema degli Stati Uniti. Simili
proibizioni sulla falsariga californiana furono sanzionate in toto nell’ambito
federale nel 1967. Il Congresso espresse il suo rincrescimento per il “Chinese
exclusion act” nel 2011-12 con due distinti pronunziamenti di Senato e Camera.
Lo Stato della California ha fatto qualcosa di analogo nel 2014. Chiusa la
rivisitazione storica e ritornando al filo della narrazione londoniana di “The
unparalleled invasion” è da dirsi che qui lo scrittore californiano dipinge i Cinesi
nel loro slancio espansivo globale quali pacifici, non inclini di propria
iniziativa all’opzione bellica, ma solo concentrati sui contenuti commerciali.
È dagli USA che viene fuori l’arma biologica di fronte all’inefficacia di un
tentativo francese di invasione con gli strumenti militari di allora. La Cina
al limite badava soltanto a una guerra difensiva. Fu negli Stati Uniti che Jacobus
Laningdale, «uno scienziato del tutto poco noto, un professore di servizio nei
laboratori dello Health Office di New York» ideò in segreto di provocare uno
sterminio biologico nella enorme popolazione avversaria: «iI 19 settembre 1975
arrivò in Washington […], […] procedette diritto alla Casa Bianca, poiché già
aveva ottenuto un’udienza dal Presidente. Restò in privato con il Presidente
Moyer per tre ore. Quello che intercorse tra di loro non fu appreso dal resto
del mondo per lungo tempo». L’epicentro di diffusione scelto per attuare l’indotta
epidemia fu Pechino e lo strumento un attacco biologico condotto dall’aviazione.
Piccoli dispositivi veicolanti contagio nel racconto sono presso i Cinesi causa
oltre che di morte e di decimazione irrimediabile anche di disordini
autodistruttivi. Il provocato genocidio cinese non ostacolò più una facile
occupazione territoriale e la ricolonizzazione della Cina con genti
occidentali. Jack London chiude la sua fantastoria così fra i vincitori: «I
rappresentanti delle nazioni del mondo […] s’impegnarono solennemente a mai
usare inter se i metodi di guerra biologica che avevano adottato nell’invadere
la Cina». Nella realtà concreta di non molti anni dopo dal racconto londoniano
si verificarono nello stesso spazio e nello stesso tempo: un’epidemia globale
influenzale (denominata “spagnola”) e un conflitto bellico mondiale (il primo,
la Grande guerra). Data l’impostazione della presente analisi
storico-letteraria evocherò della storia reale nuovamente solo gli aspetti
rilevanti per la tematica esaminata, evitando dispersive integrazioni di fondo.
La prima cosa da dire è che al principio del 1918 la guerra mondiale
nell’Europa centrale nella linea di confronto che andava da La Manica
all’Adriatico era impantanata nello stallo cruento delle trincee. A marzo di
quell’anno i Tedeschi progettarono di sfondare a ovest verso la Francia. Il
piano che sembrava destinato al successo fallì per via della diffusione tra i
soldati di un’improvvisa patologia influenzale. I Tedeschi non sfondarono, ma
anche dalla parte opposta si accusò il colpo epidemico, compensato nel giugno
del 1918 dall’arrivo del corpo militare americano intervenuto a sostegno
dell’Intesa. Una seconda cosa da ricordare è che, mentre le normali influenze
si manifestano nel periodo invernale, la “spagnola” ebbe un’incisiva comparsa
estiva nel suddetto contesto di guerra. Gli Americani accusarono gli avversari
tedeschi di aver usato un’arma biologica. Le ipotesi degli studiosi sul luogo
di provenienza del virus sono formalmente divise e distinte. Prime avvisaglie
di “spagnola” sono segnalate a metà degli anni Dieci negli USA presso la zona di
un campo militare destinato all’addestramento, zona in cui poi venne
certificata nel marzo del ’18. Nel continente europeo il centro di diffusione
viene identificato a Ètaples, nel nord della Francia, e nei relativi
insediamenti di soldati: il veicolo di trasmissione si circoscrive ai maiali.
La catena di trasmissione virale all’uomo ipotizzata dagli scienziati a ritroso
dai maiali porterebbe alle anatre e prim’ancora a uccelli selvatici. Nel
mistero delle cause del virus in questione si pensa che esso abbia compiuto una
mutazione pericolosa per gli umani nei maiali. Il genoma è stato sequenziato
negli anni ’90, però la genesi è restata avvolta dall’impossibilità di trovare
certezze. Un’ulteriore ipotesi mirante a localizzare un punto di origine virale
parla della Cina del nord: nel novembre del ’17 fu accertata là dalla sanità
cinese la diffusione della “spagnola”. Tale epidemia, assunta rapidamente a
pandemia, incominciò la sua notorietà mediatica in Spagna (da ciò la
denominazione), dove si manifestò nel corso della seconda metà dell’inverno
all’inizio del ’18. In Italia fu certificata per la prima volta nel comune
veneto di Sozzano a settembre. Nel frattempo, per quanto concerne il conflitto
bellico mondiale, giunsero sul continente europeo a sostegno dell’Intesa i
contingenti di soldati degli Stati Uniti a giugno. In questo mese gli Austriaci
provarono a sfondare il fronte italiano sul Piave, però infruttuosamente. La
“spagnola” nel settembre del ’18 colpì l’Alta Italia durante la sua seconda
ondata generale (partita a luglio), la quale fu connotata da un considerevole
numero di morti e da una veloce diffusione nelle zone di guerra. Non si è ben
capito il passaggio all’aggressività superiore dalla prima alla seconda ondata.
Una variazione virale? Il concorso parallelo aggiuntivo di polmoniti
batteriche? Quel che si sa chiaramente è che l’epidemia provocò nel complesso
mezzo miliardo di contagi e cento milioni di decessi su una popolazione globale
di circa due miliardi di esseri umani. I morti furono dunque intorno al 5% e i
contagiati al 25%. L’aspettativa di vita media in seguito alla “spagnola” subì
un calo di più di un decennio. I soggetti più sensibili al fenomeno epidemico
furono le donne incinte, i ventenni e i trentenni. Si pensa che il sistema immunitario
dei giovani in questione producesse cascate citochiniche difensive
sproporzionatamente grandi a differenza delle rimanenti fasce d’età. Nel cuore
dell’autunno del ’18 intanto l’alleanza occidentale Intesa-USA rigettò indietro
il tentativo di vittoriosa avanzata austro-tedesco vincendo la Prima guerra
mondiale, fra i vincitori l’Italia. Da novembre di quell’anno i contagiati
furono sempre di meno, consentendo il transito alla terza più nettamente
leggera ondata, scemata al principio del 1919. La storia politico-militare dal
canto suo a gennaio del ’19 contemplò la parigina conferenza di pace dove gli
USA del presidente Wilson giocarono un ruolo di primissimo piano. Dell’epidemia
spagnola degno di nota rammentare il fatto che il nonno paterno di Donald Trump,
Frederic, vi sia rimasto vittima. Nel corso della pandemia gli scienziati di
allora non riuscirono a inquadrare l’agente patogeno, si credeva trattarsi di
un batterio; negli anni ’30 fu stabilito fosse un virus influenzale. La
pandemia “spagnola” colpì a tal punto la sensibilità comune da rimanere nel
tempo a venire un argomento storico quasi tabù.
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Radici occidentali”
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Radici occidentali”
1 A Jack London (1876-1916) ho dedicato metà di
un mio saggio: