LE CHIESE SCOMPARSE DI LERCARA FRIDDI (1)
di DANILO CARUSO
Tenendo conto del fatto che l’immobile che ospitò la chiesa lercarese esistita in Via dei martiri ha una dislocazione non ortogonale rispetto al resto delle abitazioni circostanti dedussi che tale costruzione faceva parte di un progetto urbanistico differente da quello ereditato dal ’600 e che ha costituito attraverso i secoli il centro storico di Lercara Friddi. Quest’ultimo impianto di sviluppo edile è quello della Lercara voluta dagli Scammacca e dal barone Baldassare Gomez de Amezcua (n. 1562 ca – m. 4-8-1604): quindi arriviamo necessariamente, facendo un passo indietro, al villaggio di Leonello Lercaro (m. 12-10-1600), che – sorto prima della concessione della licentia populandi del 1595 – evidentemente aveva una sua chiesetta. Non è possibile spiegare altrimenti quest’edificio da un punto di vista urbanistico, il quale ha dunque la sua presumibile edificazione tra il 1573 (anno dell’investitura baronale di Leonello Lercaro) ed il 1580 (anno del fallimento delle sue attività imprenditoriali che frenò la crescita del villaggio). Leonello Lercaro, giunto in Sicilia da Genova nel 1570, si era unito in matrimonio due anni dopo ad Elisabetta Ventimiglia, la quale gli aveva portato in dote i feudi Friddigrandi e Faverchi (col titolo di barone). Il padre di lei si trovava con le proprie attività in una situazione debitoria non indifferente, e lui colse l’occasione, pagandone i debiti, con tale matrimonio di inserirsi nell’elite dell’isola: mirava al titolo di principe che gli sarebbe stato eventualmente concesso, per sé e per i suoi eredi, dopo la fondazione di Lercara (a condizione che questa avesse avuto almeno un’ottantina di case: quindi niente di strano che Lercara fosse preesistente alla nascita ufficiale di circa un ventennio). Per proseguire nei suoi intendimenti ed ottenere la licentia populandi (ma non più per sé), che avrebbe legittimato ciò che esisteva, occorrerà il matrimonio della sua unica figlia – Francesca (n.1581 – m. 1610) – con lo Spagnolo Baldassare Gomez de Amezcua, un alto funzionario dell’amministrazione spagnola (nuovo barone e titolare della licentia). L’altra parte dell’analisi che porta, per la chiesa in questione, a Leonello Lercaro segue la pista che passa dall’Armenia, da cui i Lercari genovesi traevano origine. Questa regione fu nell’antichità cristianizzata grazie all’opera di san Gregorio l’Illuminatore (n. 240 ca – m. 326 ca): risentì in larga misura, politicamente e religiosamente, della presenza bizantina, ma nell’XI sec. cadde in mano ai Turchi Selgiuchidi. Ciò spinse i Lercari ad emigrare altrove. In quel momento storico un’altra figura importante per il nostro discorso (oltre che per la storia d’Armenia) fu san Gregorio II patriarca d’Armenia, promotore di un nuovo martirologio degli Armeni; il che gli procurò il soprannome di “amico-dei-martiri”: la strada sui cui sorgeva la costruzione in esame è Via dei martiri, misteriosa denominazione che sembrerebbe a lui alludere. Ma ho scoperto che nell’Ottocento detta via era invece sita nella prima strada parallela rispetto al teorico prospetto dell’ormai inesistente edificio sacro (attuale via Vincenzo Bellini) con la conseguente perdita di un diretto contatto. Tutto sommato l’indicazione toponomastica si è allontanata di pochissimo, si è interposto con il luogo della chiesa un diaframma di case; e non vorrei escludere che quell’indicazione avesse avuto altri spostamenti e si trovasse originariamente nel tratto urbano in cui è adesso o che dopo la scomparsa della struttura questa via (che in qualche modo ne potesse portare memoria) sia finita dall’altra parte dopo l’erezione di una fila di case in quello spiazzale. L’immobile era di piccole dimensioni: al suo altare maggiore era posta una tela (da me attribuita a Gaspare Bazzano – Zoppo di Gangi) la cui immagine fu riprodotta a stampa (a Palermo in una tipografia di via sant’Orsola) verso la fine dell’Ottocento: la stampa riportava la dicitura S. GREGORIO PAPA, cosa che mi indusse in un primo momento a pensare che tale chiesa fosse stata dedicata a san Gregorio Magno. Ma miei studi posteriori sui Lercari e sull’iconografia di san Gregorio Magno mi hanno portato a diverse conclusioni: san Gregorio Magno è rappresentato nei dipinti da giovane, senza barba, con il pastorale e la tiara (contrariamente alla nostra tela: passata dalla chiesa di san Gregorio Taumaturgo, oggi si trova in quella di san Matteo). Del nostro san Gregorio patriarca d’Armenia – sia per la chiesa che per il quadro – è facile pensare che si sia perso il ricordo con la fine della presenza dei Lercari nel nostro paese, data anche una certa estraneità di una simile tradizione nelle nostre zone; perdita di memoria storica che nei secoli lasciò quel san Gregorio indefinito e nel momento di una identificazione più precisa erroneamente identificato con san Gregorio Magno. Due approfondimenti, uno d’archivio e l’altro iconografico, hanno aggiunto certezza a certezza sul fatto che chiesa e tela non siano riconducibili né a san Gregorio Magno né a san Gregorio Taumaturgo, patrono di altro edificio sacro lercarese pure scomparso (corrispondente al n. 207 del corso Giulio Sartorio). Dal primo registro parrocchiale delle sepolture del periodo 1655/1702 emerge la contemporanea esistenza delle due chiese, naturalmente in luoghi urbani diversi.
È certo che si eseguirono delle tumulazioni:
- nel 1692 «nella chiesa di sangrigoli»;
- nel 1693 «in Ecclesia S.ti Gregorij Thaomaturgi»;
- nel 1697 «in ecc. divi Gregorij Thomaturgi»;
- nel 1698 «in ecc. divi Gregorij Thomaturgi»;
- nel 1701 «in Ecclesia S. Gregorij Thaomaturgi»;
- nel 1701 «in ecc.a S.ti Gregorij»;
- nel 1702 «in ecc.a S.ti Gregorij».
Il fatto che in alcuni casi l’attributo di “Taumaturgo” fosse puntualizzato ha valore unicamente distintivo, non è concepibile che in quest’altalena fosse specificato se non con questo scopo: è irragionevole il contrario; perché creare gratuitamente ambiguità? L’iconografia di san Gregorio I patriarca d’Armenia detto l’Illuminatore, ma meglio conosciuto come san Gregorio Armeno, assomiglia nel volto al santo della nostra opera: nella capigliatura e nella barba lunga; e poi la cappa a collo alto è tipicamente armena. Mentre san Gregorio Taumaturgo è raffigurato calvo. Nel dipinto in esame ci sono la mitra ed il pastorale che sono attributi episcopali e patriarcali (il pastorale è poi simbolo comune a san Gregorio Taumaturgo e a san Gregorio Armeno). Queste osservazioni unite al principio della “pista armena” sulla provenienza dei Lercari mi fanno sempre propendere nella non facile individuazione del santo a cui erano dedicate chiesa e tela per un san Gregorio patriarca d’Armenia, a prescindere dal “caso Via dei martiri”. Non vi è presenza numerosa di elementi nel dipinto per poter dire che questo san Gregorio sia l’Illuminatore: di lui è rilevante – tra l’altro – la reliquia della mano destra (custodita in Armenia); il nostro san Gregorio ha un braccio destro alzato, ciò potrebbe essere un indizio. Comunque i due patriarchi di cui ho parlato mi sembrano in assoluto i più probabili per una attribuzione, o è l’uno o è l’altro: do a san Gregorio II maggiori possibilità nel caso in cui Via dei martiri si potesse collegare stabilmente alla chiesa (pensando per il quadro anche a possibili canoni iconografici mutuati dal passato e dalla tradizione orientale); diversamente resterebbe come alternativa san Gregorio Armeno. A tutto ciò dobbiamo collegare due elementi non marginali: che il matrimonio tra Francesca Lercaro e Baldassare Gomez de Amezcua si celebrò col rito greco-cattolico, e che il nome Gregorio, per quanto riguarda i Lercari, come attesta il Liber Nobilitatis Genuensis (in Guelfo Guelfi Camajani, Il “Liber Nobilitatis Genuensis” e il Governo della Repubblica di Genova fino all’anno 1797, Società Italiana di Studi Araldici e Genealogici – Firenze), ricorre qualche volta. Tutte le considerazioni addotte lasciano presumere che la famiglia Lercari e, più in dettaglio, il nostro Leonello abbiano tenute vive quelle radici e quelle tradizioni cristiano-orientali che portarono alla costruzione di una piccola chiesa a Lercara Friddi intitolata ad un san Gregorio patriarca d’Armenia. Nella seconda metà dell’Ottocento quello che ne restava fu sostituito da un’abitazione civile. L’ipotesi che vi si svolgesse una forma liturgica cattolica diversa dal rito latino fornirebbe una spiegazione alla causa della sua silenziosa e radicale scomparsa.
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La tela del san Gregorio patriarca d’Armenia con la Madonna |
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particolare del dipinto |