DA CASTRONOVO DI SICILIA AL SUCCESSO IN USA
di DANILO CARUSO
Giuseppe Picone è stato uno dei figli più illustri della terra di Castronovo. Nacque a Castronovo di Sicilia il 7 novembre 1918 da Giusto e da Rosaria Passavanti (la quale era cugina del mio bisnonno Giuseppe Caruso, entrambi erano figli di due fratelli Passavanti: Giuseppe e Concetta). Fu il terzogenito tra cinque fratelli (Vincenzo, Maria, Marianna, Antonio). Ebbe sin dalla prima fanciullezza un carattere vivace e volitivo. Si accompagnava spesso al nonno Passavanti (persona istruita: era stato in seminario sino ai 23 anni). Il padre era stato un dipendente della ferrovia; dopo l’affermazione del fascismo in Italia turbato dai disordini e dagli scioperi che avevano caratterizzato il primo dopoguerra era partito per gli USA in cerca di un nuovo lavoro, ma a Jersey City – nel New Jersey, dove era andato – non ottenne un posto fisso. Nel frattempo il resto della famiglia, rimasto a Castronovo, si era trasferito in casa dei nonni materni. Per indirizzare le giovanili energie di Giuseppe – dato che le disponibilità finanziarie della famiglia non gli avrebbero consentito di proseguire oltre la scuola dell’obbligo – nel 1927 la madre lo avviò all’apprendimento presso la locale sartoria di Gattuso e Drago. Inizialmente svolse mansioni di supporto secondario all’attività, il che non lo entusiasmò. Ma l’intuito di un assistente lo introdusse, ancorché piccolo, alle tecniche del mestiere. Seguito dai dirigenti e gratificato dai primi buoni esiti, prese a cuore quell’attività e decise di mettere cura nell’imparare l’arte di sarto. All’età di 11 anni confezionava pantaloni e a quella di 14 giacche. Nonostante le ripercussioni sociali della crisi del ’29 Giusto Picone decise di farsi raggiungere in America dalla famiglia: nel 1930 giunse il figlio Vincenzo, nel 1934 giunsero la moglie e la figlia Maria. La restante parte della famiglia restò a Castronovo dove viveva in casa della nonna Marianna (nel 1930 era scomparso il nonno Passavanti). L’impresa Gattuso e Drago aprì nel 1932 a Villalba una filiale in cui Giuseppe Picone si trasferì a lavorare, ma questa finì col chiudere e anche i due dirigenti finirono col separarsi: Picone rimase con Gattuso. Nel 1934 – in seguito alla partenza della madre – si trapiantò a Palermo dietro la promessa di un’assunzione in un laboratorio dove migliorare la sua arte, come era stato suo desiderio. Ma arrivato l’impiego era già stato ricoperto da un altro. Ospite comunque di una cugina della nonna fu invitato a rimanere un mese a Palermo. La sua intraprendenza e il suo interesse lo portarono a trovare un’occupazione presso un’altra sartoria nella quale rimase quasi un anno. Intanto era venuto il suo momento di raggiungere i familiari che si trovavano negli Stati Uniti. Nel periodo di disbrigo delle pratiche burocratiche per poter partire (ci volle ben un anno) nel 1935-36 prestò la sua attività, fattovi ritorno, a Castronovo, nella sua originaria sartoria (prima in paese, poi a Palazzo Adriano). Successivamente fu al servizio di un altro sarto castronovese che lo retribuiva meglio. Lasciò l’Italia nel 1936: il 7 settembre abbandonò Castronovo, e in due giorni passando da Palermo a Napoli in nave si diresse a New York dove arrivò dopo sei giorni di viaggio. Riunitosi con i familiari a Jersey City, trascorso un brevissimo periodo di ambientamento e sostenuto dalla presenza e dall’aiuto di altri emigrati siciliani trovò un lavoro in una fabbrica di jeans collocata nelle vicinanze. La sua aspirazione non era quella di operare in un determinato punto di una catena di fabbricazione seriale, ma di esercitare appieno la sua arte creativa nella fattura completa di un capo di abbigliamento: gli si prospettò quindi la possibilità di cambiare andando presso un laboratorio di sarti a Manhattan. A New York già lavorava la madre come sarta, in famiglia solo il padre non aveva più trovato un impiego: la sorella Maria era operaia in un cappellificio, il fratello Vincenzo barbiere. Giuseppe Picone oltre a svolgere la sua attività si impegnò ad apprendere la lingua inglese frequentando la sera un corso conclusosi positivamente nel giugno del 1937. L’anno successivo un compagno di sartoria lo convinse ad associarsi con lui per aprire un proprio esercizio a Manhattan. La società durò un anno, nel 1939 Picone si mise a lavorare da solo nella produzione di giacche all’interno di un laboratorio che forniva una clientela prestigiosa. Durante la seconda guerra mondiale fu arruolato nell’esercito americano. Svolse il suo servizio nella 151a unità di ospedale militare nella quale ottenne per la sua perizia il ruolo ufficiale di sarto. Nel 1942-45 fu con il suo reparto in Inghilterra e in Algeria. Suo fratello Antonio – rimasto in Italia – prestava servizio nell’esercito italiano: prima che i suoi compagni passassero dall’Africa in Sicilia chiese di essere rimpatriato poiché non voleva rimettere piede nella sua terra in circostanze di ostilità (l’altro fratello Vincenzo era in Pacifico sempre con gli Americani). Ritornato negli USA, fu poi congedato alla fine del 1945 dopo essere stato definitivamente riconosciuto cittadino statunitense. Si rimise quindi al lavoro con la volontà di migliorarsi ed emergere, e dopo un momento interlocutorio fu assunto nella migliore sartoria di New York (la Teppel’s Tailors) da un disegnatore stilistico che in precedenza lo aveva respinto. Da costui ebbe anche delle lezioni di taglio maschile. In poco tempo raggiunse la notorietà per l’abilità con cui confezionava capi e per la loro notevole qualità. Nel 1947 costituì una società con Anthony Massa e Nick Argentieri, accettando la proposta del primo (di cui ne aveva rifiutato alla fine della guerra una precedente) di aprire un opificio di pantaloni per uomo. Questa avventura, nonostante i disagi dovuti alla sua inesperienza in attività d’impresa, fu per lui un trampolino di lancio. Impiantarono la sede in New Jersey a West New York in uno stabile affittato. Gli altri due soci disponevano di soldi propri, Giuseppe Picone ricorse ad un prestito bancario. In seno alla nuova ditta MPA Tailors gli toccò il ruolo di tesoriere (presidente era Massa). Producevano pantaloni non di alto pregio (il che non gli piaceva molto) per un rifornitore, il quale in un secondo momento, poiché la MPA non era iscritta ad alcun sindacato, non poté più acquistare i suoi prodotti. La situazione – che già di per sé non era molto florida – sembrava precipitare. Consigliato e appoggiato da conoscenti e amici che ne apprezzavano il talento rilevò l’intera società (grazie pure all’aiuto economico del fratello Vincenzo) con la prospettiva di trovare sbocchi commerciali quando avesse presentato sul mercato dei pantaloni di ottima fattura. Da una realtà indebitata e avviata al fallimento Giuseppe Picone con le sue capacità creative e con spirito di abnegazione seppe dar vita a una creatura imprenditoriale gratificata da risultati accettabili. Successivamente infatti le cose cambiarono: il lavoro, che egli dirigeva e seguiva sempre con moltissima attenzione, era sufficiente e gli operai impiegati (tra cui anche donne) erano saliti a 25. Nel settembre del ’49 fece il grande salto: con Charles Evans, un affarista figlio di un dentista, formò una nuova società (in cui confluì la sua MPA) finalizzata alla creazione di abiti femminili di qualità a costi molto competitivi, cosa consentita dalle sue tecniche di confezione applicate nella MPA. Il padre di Charles Evans aveva conosciuto tempo prima Giuseppe Picone, e fiutando la possibilità di grandi profitti aveva spinto il figlio a proporgli questo progetto. Era così nata la Evan-Picone: a Picone spettò il compito di direttore generale e di designer, a Charles Evans quello di vicedirettore e di tesoriere. Per la Evan-Picone fu un’escalation di successi ed affermazioni: nel campo dell’abbigliamento femminile divenne la prima e insuperata nel rapporto costo / qualità. Giuseppe Picone originariamente disegnava i modelli di gonne e pantaloni, però quando si passò alla produzione di coordinati occorse un altro stilista. Centinaia di operai furono assunti e trattati meglio di qualsiasi altra impresa (tant’è che erano più riconoscenti a Picone che ai sindacati), e un nuovo grande stabilimento fu aperto nel 1955 a New York, dove già era sin dall’inizio la sala espositiva per la mostra delle collezioni d’abiti. Si ricordò pure della famiglia e fece assumere i due fratelli Vincenzo e Antonio. Charles Evans gli propose nel 1951 la nascita della prima impresa affiliata alla Evan-Picone, la Diva (una società in tre coll’altro fratello Robert Evans) produttrice di pantaloni femminili. Questa e le altre due successive – la Epic (per le camicie) del 1956 e la Dione del 1959 – ebbero ottimi consensi nelle vendite grazie al talento creativo di Giuseppe Picone e alle intuizioni commerciali di Charles Evans. In questa grande esperienza mantenne costantemente la sua umiltà e le sue abitudini: nel lavoro era senza sosta presente e vicino ai suoi dipendenti, che dai pochi della MPA erano giunti a quasi un migliaio. A Castronovo, dove tornò più volte, fece edificare una nuova scuola materna inaugurata nel 1960 (intitolandola alla madre, che ammalata di cancro scomparirà nel 1964), e nello stesso anno si completò altresì il restauro della Chiesa di san Vitale e della Matrice: il tutto a sue spese, come pegno di affetto nei confronti del suo paese. Nel 1962 dietro ripetute pressioni di Charles Evans la Evan-Picone venne venduta alla Revlon (industria leader nel settore dei profumi) il cui presidente voleva acquisirla a tutti i costi: la pagò 15.000.000 $, Picone rimase oltre che in società – come gli altri due fratelli Evans – direttore generale con poteri formalmente più o meno assoluti. Ma la nuova gestione sostanziale della Revlon non fu nelle sue strategie molto felice quando decise di fare perno più sul prestigio del nome che sul prodotto, con immenso dispiacere di Picone. Per contenere i costi di fronte a ridimensionati guadagni si ricorse a manodopera di Hong Kong, alla riduzione dei salari e al licenziamento di uomini di fiducia di Picone – che li avrebbe preferiti al loro posto – non colpevoli di quello stato di cose. Il contratto del 1962 legava Picone e gli Evans alla Revlon per cinque anni: i due fratelli lasciarono anzitempo (Robert nel 1965, Charles nel 1966). Nonostante in quegli anni la Evan-Picone vivacchiasse la Revlon la rivendette a Picone, che nel 1967 riprese il timone: tutto fu riordinato e si ritornò all’antico con successo (nel 1968 fu premiato dalla Sales and Marketing Executives International). Nel giugno del 1969 sposò un’attrice, Stefania Careddu: l’unione, da cui nacque Joseph Picone Junior, durò pochissimi anni. Pensando che l’amministrazione potesse andare avanti da sola, e fidandosi, si era distratto dedicandosi anche ad attività filantropiche (per esempio le proposte in favore dei giovani disoccupati – sempre portate avanti in futuro – per calare l’età di assunzione lavorativa al di sotto dei 18 anni; o il ballo di beneficenza del settembre 1967 in favore degli alluvionati di Venezia da lui promosso a Palazzo Rezzonico per raccogliere fondi: gli costò più di 20.000 $, ma parteciparono centinaia di ospiti illustri e famosi). Qualche tempo dopo scoprì che una non chiara gestione dei bilanci da parte dei suoi collaboratori lo aveva portato addirittura in uno stato di deficit. Procedette dunque con vigore a uno snellimento della macchinosa impalcatura amministrativa costruita durante il periodo della Revlon e inevitabilmente a dei licenziamenti; due società da poco aggregatesi furono cedute; e sino al 1971 si dovette nuovamente avvalere di manodopera di Hong Kong. La riduzione dei costi di fabbrica unitamente alle vecchie strategie di produzione rilanciò negli anni ’70 l’impresa sul mercato che ridiventò vincente. Cosicché nel 1973 fu stavolta lui stesso, preoccupato per eventuali future crisi, a vendere la Evan-Picone – rimanendovi tuttavia come presidente – alla Palm Beach (che operava nel settore degli abiti per uomo): diverse società furono affiliate, si riassunsero operai licenziati in passato, e un nuovo stabilimento con centinaia di posti fu creato nel 1977. Nel 1974 perse il padre. Con la sua indole di Siciliano onesto e sincero rifiutò nel 1981 addirittura la presidenza della Palm Beach. Nel 1983 lasciò la presidenza della Evan-Picone (rifiutando contemporaneamente la vicepresidenza a titolo onorifico della Palm Beach), e nel 1985 si ritirò completamente dal lavoro. Nel giugno 1986 si risposò con Fannie Stamatopoulou, e nell’aprile 1990 nacque la figlia Sarina Justine. Nella sua vita ricevette tantissime onorificenze e riconoscimenti internazionali. Si è spento il 24 giugno 2001 a New York.
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La Scuola materna "Rosaria Picone" (Castronovo di Sicilia) |