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sabato 1 luglio 2023

LE VIE CRITICHE DI “METROPOLIS”

di DANILO CARUSO
 
Nel 1927 fu proiettato per la prima volta al pubblico il divenuto celeberrimo film muto “Metropolis”. Il regista ne era Fritz Lang, autore della sceneggiatura assieme alla moglie Thea von Arbou (1888-1954). Costei, scrittrice, attrice, nonché pure regista, era stata l’autrice del soggetto della pellicola. Precedente al film, ambientato nel 2026, era infatti l’omonimo romanzo di Thea von Arbou, uscito a puntate su un periodico tedesco nel 1925. Mi soffermerò a parlare di questo. La vicenda è incentrata nella distopica città di Metropolis, posta sotto il controllo di un tiranno tecnocrate capitalista. L’idea che in passato avevo espresso sul rapporto di lavoro subordinato di un prestatore d’opera per cui tale rapporto si qualifica nel regime capitalistico quale una forma di stupro a svantaggio del lavoratore, di cui appunto si abusa della sua dimensione corporea nella fornitura, pressoché coercitiva, dell’opera (volta a ottenere mezzi di sussistenza) è presente nelle parole del despota Joh Fredersen, rivolte al figlio Frederer, allorché lui esplicitamente evoca l’immagine del congresso carnale a proposito della piacevole disponibilità, a suo modo di vedere, di un fornitore d’opera che sarebbe disposto volentieri a svolgere il lavoro di più altri per puro spirito di soddisfazione. Nel ragionamento di Fredersen torna la mia idea di uno stuprum, ma egli la ribalta nella valutazione qualitativa, sostenendo che quella che ai miei occhi sarebbe una vittima di circostanze costringenti diversamente sarebbe consenziente e ben disposta a quello che io considero un abuso. Fredersen anticipa già qui un primo punto embrionale di carattere edonistico dello huxleyano Brave New World1. Il piacere non è sostanzialmente molto evidente, ma la sua forma è ormai il quadro di inserimento dell’agire umano. Egli chiarirà inoltre che non è l’impegno nella nuova gestione produttiva dominata dall’innovativa veste tecnica a logorare gli individui, è semmai la loro inadeguatezza. Quindi conclude che non potendosi cestinare la manodopera non all’altezza resta necessario differenziare la collocazione nell’assetto. In parole povere sta prefigurando le diverse categorie sociali huxleyane da α a ε, dove ognuno è felice di trovarsi e rimanere stabilmente al livello in cui si vede. Una reminiscenza letteraria in “Metropolis” mi offre l’opportunità oltre che di indicare un piccolo riferimento nel passato di porre altresì l’impianto del testo di Thea von Arbou (nei suoi limiti distopici) quale prodromo della mia psicostoria esposta nelle mie opere2. Joh Fredersen ha chiesto al suo scienziato servitore Rotwang di creare androidi da sostituire agli umani al servizio delle meccanizzate catene produttive, però il secondo progetta e costruisce il modello di una ginoide, la quale chiama inizialmente anche Futura. Non possiamo fare a meno di pensare a “L’Ève future” di Auguste de Villiers de L’Isle-Adam3 in simile analogia di denominazione. Fredersen replica, nel testo di Thea von Arbou, a Rotwang che non aveva ordinato una donna giocattolo. Il primo non si è reso conto che lo scienziato aveva inventato le sex doll. Questo rappresenta un argomento il quale percorre il mio distopico schema storico sull’avvenire e che nel romanzo “Metropolis” rilevato al di là delle righe, nel profondo potenziale, ricollega ulteriormente all’edonismo di “Brave New World”. Il personaggio di Maria, in “Metropolis”, inaugura molteplici piani di analisi attraverso la sua figura proiettati. Ella parla del bisogno di una mediazione tra la facoltà dirigenziale, ossia la capacità razionale, e la messa in atto dei comportamenti, mediazione la quale deve accadere mediante la facoltà sentimentale. È lampante nelle sue parole uno spirito junghiano, un richiamo all’equilibrio delle facoltà razionali in senso lato nella psicologia analitica di Jung individuate nella “ragione (stricto sensu)” e nel “sentimento”. Ella sta discutendo in termini collettivi nel romanzo, ma il suo parlare come Menenio Agrippa assume una valenza psicologica in singulis. Non c’è equilibrio inter homines senza prima equilibrio in interiore homine. Il di lei discorso sul mediatore si connota di tinte messianiche religiose, assumendo una seconda valenza esteriore la quale mi rammenta il pensiero in materia di Simone Weil. Costei ha posto in maniera incisiva l’accento su simile concetto di mediazione, evocato con pari enfasi da Maria. Ella sollecita i suoi ascoltatori a non affidarsi alla violenza nella risoluzione del conflitto sociale capitale/lavoro, e ad attendere l’incruenta mediazione. È possibile qua immaginare un pacifico auspicio di Thea von Arbou di superamento delle reali e storiche tensioni sociali a inizio ’900, un augurio che mostra chiedere di accantonare un sovvertimento rivoluzionario marxista e di caldeggiare una via peronista4. A me Maria ricorda Evita, la madonna dei descamisados. Il mediatore che emergerà in “Metropolis” sarà il figlio di Joh Fredersen. A lui tocca il compito di conferire una terza valenza al personaggio di Maria. Frederer la dipinge come una donna angelicata stilnovistica. Egli afferma che il suo interesse verso gi altri deriva unicamente dal suo amore nei confronti di lei, ispiratrice di nobilissimi sentimenti. Tale madonna dello Stil novo viene descritta con parole che paiono uscite da Guinizelli5. Una forte prefigurazione di Brave New World nel romanzo esaminato proviene dall’uso di una droga chiamata “maohee”. Essa anticipa il “soma” e lo “sleg”6. Mi soffermerò in particolare sullanalogia huxleyana. Nel parallelo testo dello scrittore inglese, Bernard Marx partecipa a “liturgici” incontri di gruppo dove si consuma il soma in preda a un delirio collegiale lungo uno slancio modulato su evidenti suggestioni religiose7. In “Metropolis” una simile prassi, irrazionalistica, edonistica, ha già luogo: avviene un consumo di “maohee” in comitiva, dove tutti sballano su una piattaforma rotante a foggia di conchiglia ubicata dentro un rinomato locale cittadino. Caratteristica di questa droga, provocante esperienze molto intense, è che poi non lascia memoria di quanto vissuto successivamente all’assunzione e durante lo sballo. A proposito della figura di Joh fredersen esiste una seconda tangenza con mie idee espresse in passato, allorché il figlio Frederer paragona il padre nella qualità di cittadino tiranno capitalistico, a un Dio. Io parlai8 in relazione al tema più generale di un possibile atteggiamento nevrotico che spingerebbe gli oligarchi capitalisti a ritenersi e a proporsi (velatamente o meno) come una sorta di Elohiym, di soggetti i quali in virtù del vampirismo del tempo altrui (nell’arco di cui si sviluppa il corso produttivo di tutti i beni, materiali e immateriali) riescono a sommare un accumulo di potenzialità sproporzionata rispetto al resto della società grazie al denaro di cui si appropriano, nel momento in cui la moneta equivale a potenza di tempo-lavoro che costoro non dovrebbero attuare personalmente. Perciò la vita dei capitalisti possiede confini qualitativi e quantitativi più ampi in confronto agli altri, tali da farli apparire Dei muniti di sovrumani poteri; poteri che ci sono, ma non divini, e sovrumani nel senso in realtà concreto in quanto somma di sottrazioni ai singoli, somma la quale si viene a sovrapporre quale ingannevole astrazione sopra la comunità, a un piano falsamente giudicato divino. Nei fatti non esistono Elohiym, ma sempre esseri umani che comunque riescono ad avere un’esistenza più lunga giacché il loro tempo non è vampirizzato dalla servitù del lavoro, la quale potrebbe essere ridotta a vantaggio di tutti, o praticamente addirittura quasi abolita grazie alla moderna tecnologia. In seguito a ciò ho parlato di «dei falsi e bugiardi». In “Metropolis” compare una dicotomia “mondo infero / mondo supero” che invertita nella sua proiezione distopica si era mostrata nel romanzo wellsiano “The time machine”. Qua ci sono i Morlock, degenerazione della classe capitalistica, sottoterra, e gli Eloi, prosecuzione della discendenza dei prestatori d’opeta, sulla superficie. Nel testo di Thea von Arbou la dicotomia viene ricondotta a un ordine originario: sulla terra ancora i gaudenti benestanti, in spazi sotterranei abitano e si riuniscono i proletari guidati da Maria. Nella narrazione Rotwang crea una ginoide, be tselem di Maria per volontà di Joh Fredersen. Questa è destinata a sostituire quella reale in modo tale da poter ingannare la massa. La dicotomia Maria-organica/Maria-ginoide è ricca di contenuti critici. Un primo grado di analisi inerisce alla sfera sociopolitica immediata. La vera Maria si rivela a mio modo di valutare le cose “peronista”: sostiene la collaborazione sociale, la fratellanza simboleggiata nell’escudo peronista. La Maria inorganica, per volere machiavellico di Joh Fredersen, istiga alla violenta lotta di classe, a una rivoluzione di ascendenza marxista. Questo primo gradino di lettura rinvia a un secondo di natura filosofica, e mi riferisco alla biga alata platonica. Il mito testé citato in Platone assume una valenza psicanalitica, come ben sappiamo. Associo la prima Maria, quella reale, che ci ha parlato della necessità della mediazione del “sentimentale” junghiano, al cavallo bianco, simbolo della sfera emozionale. Un’immagine positiva cui si oppone a latere il cavallo nero, l’altro simbolo stavolta negativo della sfera passionale. L’insegnamento platonico chiede di non abbandonarsi alle pulsioni animali freudiane. La dicotomia fra le due donne, la Maria urania e la Maria ctonia, ribadisce la sostanza del mito di Platone in altra guisa narrativa. Un terzo livello di interpretazione prosegue la scia psicanalitica per addentrarsi nel campo religioso. Le vicende di “Metropolis” si connotano qua e là con marcate tinte religiose cristiane dai toni cupi e apocalittici. La figura di Maria viene investita dalla misoginia biblico-patristica a prescindere dall’essere quella in carne e ossa o la ginoide. La frangia religiosa estremista metropolitana capeggiata dal monaco Desertus, e avversa al capitalista Joh fredersen desideroso di abbattere la cattedrale cittadina per fare spazio urbano, viene aizzata da questo novello Savonarola contro costei, indicata come al solito quale la pericolosissima porta dell’inferno. A proposito di questo piano religioso il romanzo di Thea von Arbou è pervaso da uno spirito francescano che anima la Maria urania e respinge da un lato i toni esagitati di Desertus, i quali non sono meno pesanti di quelli che hanno storicamente causato il femminicidio di Ipazia di Alessandria, e dall’altro le istigazioni (in mala fede) della Maria ctonia a pro della rivoluzione. In fin dei conti, se andiamo a fondo del problema, non rappresentano le macchine in sé il male bensì l’uso che se ne fa. La tecnologia e la meccanizzazione migliorano e snelliscono la produzione. Nefasto risulta asservirvi uomini, e per giunta pochi (con orari non adeguati). Lavorare meno, lavorare tutti, e grazie alle macchine lavorare tutti poco e niente. Il nocciolo della questione non è tanto il dominio formale della tecnica, ma l’uso capitalistico della tecnologia. Le macchine migliorano la vita, però non abbiamo bisogno di invenzioni belliche mortali o di creare una classe di servi in lotta inter se per essere assunti a scopo di sussistenza. Ci vuole intelligenza nella massa, nonché una guida onesta. Il progetto escogitato da Joh Fredersen, mirante a recuperare la vicinanza del figlio, persa a causa di Maria e del di lei impegno nell’incruenta lotta sociale, prevedeva che la ginoide (segretamente posta in sostituzione della rapita vera Maria) istigasse la massa dei lavoratori di Metropolis al luddismo. Il fine quello di distruggere assieme alle macchine anche i sistemi che tengono in vita la città sotterranea proletaria. I suoi abitanti non si rendono conto, inebriati dallo spirito della rivolta anticapitalistica, che danneggiare la sede centrale di controllo degli apparati meccanici metropolitani avrebbe provocato un allagamento delle loro aree residenziali collocate sotto il livello della superficie terrestre. In queste pagine ho trovato singolare sentire sulla bocca di Joh Fredersen parole, rivolte al figlio, analoghe a quelle dell’evangelico Gesù Cristo quando sottolineò a chi lo ascoltava che è più importante curarsi dei vivi che dei morti. Nel subbuglio generato dai proletari capeggiati dalla ginoide si inseriscono dal canto loro i fanatici di Desertus inneggianti all’apocalisse e sempre a parte i colpiti dall’inondazione sotterranea desiderosi di vendicarsi sopra Maria ignorando che in giro ve ne sono due, la ginoide e l’organica (liberatasi dalla prigionia). Questa grazie all’aiuto di Frederer salverà i figli dei proletari da simile sorta di diluvio universale infero cercato da Joh Fredersen. La Maria ginoide viene presa da chi nutriva desiderio di vendetta e messa al rogo. Riguardo a ciò mi pare il caso di evidenziare il comportamento irrazionalistico di tale parte di folla che ha reclamato letteralmente l’uccisione di una strega. Qui non ha rilevanza il luddismo di costei, bensì l’inaccettabile e sadico atto compiuto da persone che non è possibile definire esseri umani. Considero bestie tutti quelli che nei secoli scorsi sono stati a presenziare a una condanna al rogo, in ispecial modo a quelle organizzate da istituzioni religiose cristiane. Perché non si capisce dove sia andato a finire l’amorevole (?) messaggio che abbraccia ciascuno (a meno di concludere che non fosse stato ideato così tanto amorevole e così molto esteso a ognuno). Ho il sospetto che, oltre al sadismo collettivo, l’odore di carne arrostita e infine carbonizzata non fosse sgradevole bensì ricercato. Se la Maria ctonia stimola luddisti istinti per rimanere vittima ingiustificata di altri bestiali irrazionali istinti, la Maria urania salva i figli dei proletari dal castigo “divino” di Joh Fredersen. La prima possiede accenti dionisiaci e tragico-shakespeariani, incarna l’irrazionalismo e gli effetti collaterali di ritorno in linea formale: l’irrazionalismo finisce con l’autodistruzione. L’altra Maria invece, «madre de todos los niños, […] de los descamisados», mette in sicurezza poi i bambini salvati presso la sede di “svago” dei giovani appartenenti alle ricche famiglie di Metropolis. In relazione a questo passaggio letterario ho rilevato un nuovo piccolo parallelismo col venturo huxleyano romanzo “Brave New World”. Thea von Arbou ci comunica che le pórnai in quella casa di divertimenti impiegate si erano mostrate in quella circostanza spontaneamente nella veste affettuosa materna nei riguardi dei fanciulli entrati. Nel testo di Aldous Huxley v’è un brano con Lenina Crowne e Bernard Marx alla riserva, dove lui le dice che la maternità la adornerebbe, facendola inorridire. Ancora una volta notiamo un accostamento letterario analogo in contrasto. “Metropolis” si chiude in una guisa junghiana. Centrale è qua l’immagine di Joh Fredersen la quale gioca il ruolo simboleggiante la divinità. Jung ha criticato nella teologia del Dio cristiano la sua mancata associazione col suo antagonista, il quale è rimasto personificato e pietrificato in un personaggio rigidamente separato ma pur esprimente nonostante il suo radicale rifiuto una dimensione della libertà. Ovviamente il male non va attuato, però mutilare il pensiero della capacità di cogliere tutte le possibilità equivale a un taglio alla libertà medesima in abstracto. Joh Fredersen ha agito in un primo momento, quando è scattato il suo machiavellico disegno, a mo’ del Dio veterotestamentario il quale non aveva allora un antagonista morale bensì Dei simili concorrenti9. La ricomposizione finale dell’opera di Thea von Arbou propone una integrazione simbolica non dei piani veterotestamentari concorrenziali dei vari Elohiym, ma una junghiana integrazione morale dove l’assorbimento del male serve a due scopi. Il primo più evidente appare quello di conservare la gamma della libertà possibile non mutilata: nessuna libertà rimane sul serio tale se si circoscrivono i confini del pensare; il che non vuol indicare la liceità di tradurre in atto tutto quanto sia pensabile. Il secondo obiettivo si rivela l’altro appunto di squalificare le possibilità di male dalla dignità di attuazione. A tal riguardo possiamo notare che il Dio del Vecchio Testamento in più occasioni si mostra privo di bontà e propenso ad azioni mortali e distruttive su scala variabile. Ci è possibile accostare le vicende conclusive di “Metropolis” all’anello di congiunzione concettuale biblico tra Antico e Nuovo testamento. Nel romanzo esaminato è Frederer alla fine a rendere “morale” il padre Joh Fredersen. Ma una analoga cosa si mostra rilevabile nella Bibbia. È l’ingresso del neotestamentario Figlio di Dio a conferire una moralità dicotomica (Bene/Male) al Padre: qui però col difetto di dissociare il Male personificandolo in foggia antagonistica. Thea von Arbou nella sua narrazione ha superato tutti i limiti teologici biblici attraverso le parti svolte dai suoi simbolici personaggi.
 
 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Analisi letterarie e filosofiche”
 
1 Al noto romanzo di Aldous Huxley ho dedicato un mio saggio nel 2015: Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley.
 
2 Indico il mio scritto più recente pertinente a essa e suggerisco di seguire da lì i rimandi contenuti nelle note all’indietro verso tutti i miei lavori in merito: La distopia della sciocchezza dei fratelli Strugatzky nella mia pubblicazione recante il titolo Distopie occidentali (2023).
 
3 A questo noto autore ho dedicato una mia monografia: Parricidio dantesco (2021).
 
4 Allo scopo di approfondire il giustizialismo peronista consiglio la lettura di miei studi: Il giustizialismo peronista e La Fondazione “Eva Perón” nel mio saggio La morte delle ideologie (2011).
 
5 Dello Stilnovismo guinizelliano ho parlato in un mio lavoro intitolato Guido Guinizelli e la nascita
della sistematica caccia alle streghe contenuto nella mia opera avente il titolo Radici occidentali (2021).
 
6 Circa lo sleg si veda la mia analisi indicata nella nota 2.
 
7 Per approfondimenti nel mio saggio menzionato nella nota 1 si veda alle pagg. 12-14.
 
8 Nella mia monografia Critica dell’irrazionalismo occidentale (2016) si veda la sezione Il gioco capitalista degli Elohiym falsi e bugiardi.
 
9 Al fine di approfondire consiglio di leggere un mio lavoro: Il Dio del Tanak non è solo presente nella mia opera Ermeneutica religiosa weiliana (2013).