di DANILO CARUSO
Nel 1927 fu proiettato per la prima volta al pubblico il divenuto celeberrimo film muto “Metropolis”. Il regista ne era Fritz Lang,
autore della sceneggiatura assieme alla moglie Thea von Arbou (1888-1954).
Costei, scrittrice, attrice, nonché pure regista, era stata l’autrice del
soggetto della pellicola. Precedente al film, ambientato nel 2026, era infatti
l’omonimo romanzo di Thea von Arbou, uscito a puntate su un periodico tedesco
nel 1925. Mi soffermerò a parlare di questo. La vicenda è incentrata nella
distopica città di Metropolis, posta sotto il controllo di un tiranno
tecnocrate capitalista. L’idea che in passato avevo espresso sul rapporto di
lavoro subordinato di un prestatore d’opera per cui tale rapporto si qualifica
nel regime capitalistico quale una forma di stupro a svantaggio del lavoratore,
di cui appunto si abusa della sua dimensione corporea nella fornitura,
pressoché coercitiva, dell’opera (volta a ottenere mezzi di sussistenza) è
presente nelle parole del despota Joh Fredersen, rivolte al figlio Frederer,
allorché lui esplicitamente evoca l’immagine del congresso carnale a proposito
della piacevole disponibilità, a suo modo di vedere, di un fornitore d’opera
che sarebbe disposto volentieri a svolgere il lavoro di più altri per puro
spirito di soddisfazione. Nel ragionamento di Fredersen torna la mia idea di
uno stuprum, ma egli la ribalta nella valutazione qualitativa, sostenendo che
quella che ai miei occhi sarebbe una vittima di circostanze costringenti
diversamente sarebbe consenziente e ben disposta a quello che io considero un
abuso. Fredersen anticipa già qui un primo punto embrionale di carattere
edonistico dello huxleyano Brave New World1. Il piacere non è
sostanzialmente molto evidente, ma la sua forma è ormai il quadro di
inserimento dell’agire umano. Egli chiarirà inoltre che non è l’impegno nella
nuova gestione produttiva dominata dall’innovativa veste tecnica a logorare gli
individui, è semmai la loro inadeguatezza. Quindi conclude che non potendosi
cestinare la manodopera non all’altezza resta necessario differenziare la
collocazione nell’assetto. In parole povere sta prefigurando le diverse
categorie sociali huxleyane da α a ε, dove ognuno è felice di trovarsi e rimanere
stabilmente al livello in cui si vede. Una reminiscenza letteraria in
“Metropolis” mi offre l’opportunità oltre che di indicare un piccolo
riferimento nel passato di porre altresì l’impianto del testo di Thea von Arbou
(nei suoi limiti distopici) quale prodromo della mia psicostoria esposta nelle
mie opere2. Joh Fredersen ha chiesto al suo scienziato servitore
Rotwang di creare androidi da sostituire agli umani al servizio delle
meccanizzate catene produttive, però il secondo progetta e costruisce il modello
di una ginoide, la quale chiama inizialmente anche Futura. Non possiamo fare a
meno di pensare a “L’Ève future” di Auguste de Villiers de L’Isle-Adam3
in simile analogia di denominazione. Fredersen replica, nel testo di Thea von
Arbou, a Rotwang che non aveva ordinato una donna giocattolo. Il primo non si è
reso conto che lo scienziato aveva inventato le sex doll. Questo rappresenta un
argomento il quale percorre il mio distopico schema storico sull’avvenire e che
nel romanzo “Metropolis” rilevato al di là delle righe, nel profondo
potenziale, ricollega ulteriormente all’edonismo di “Brave New World”. Il
personaggio di Maria, in “Metropolis”, inaugura molteplici piani di analisi
attraverso la sua figura proiettati. Ella parla del bisogno di una mediazione
tra la facoltà dirigenziale, ossia la capacità razionale, e la messa in atto
dei comportamenti, mediazione la quale deve accadere mediante la facoltà sentimentale.
È lampante nelle sue parole uno spirito junghiano, un richiamo all’equilibrio
delle facoltà razionali in senso lato nella psicologia analitica di Jung individuate
nella “ragione (stricto sensu)” e nel “sentimento”. Ella sta discutendo in
termini collettivi nel romanzo, ma il suo parlare come Menenio Agrippa assume
una valenza psicologica in singulis. Non c’è equilibrio inter homines senza
prima equilibrio in interiore homine. Il di lei discorso sul mediatore si
connota di tinte messianiche religiose, assumendo una seconda valenza esteriore
la quale mi rammenta il pensiero in materia di Simone Weil. Costei ha posto in
maniera incisiva l’accento su simile concetto di mediazione, evocato con pari
enfasi da Maria. Ella sollecita i suoi ascoltatori a non affidarsi alla
violenza nella risoluzione del conflitto sociale capitale/lavoro, e ad
attendere l’incruenta mediazione. È possibile qua immaginare un pacifico
auspicio di Thea von Arbou di superamento delle reali e storiche tensioni
sociali a inizio ’900, un augurio che mostra chiedere di accantonare un
sovvertimento rivoluzionario marxista e di caldeggiare una via peronista4.
A me Maria ricorda Evita, la madonna dei descamisados. Il mediatore che
emergerà in “Metropolis” sarà il figlio di Joh Fredersen. A lui tocca il
compito di conferire una terza valenza al personaggio di Maria. Frederer la
dipinge come una donna angelicata stilnovistica. Egli afferma che il suo
interesse verso gi altri deriva unicamente dal suo amore nei confronti di lei,
ispiratrice di nobilissimi sentimenti. Tale madonna dello Stil novo viene
descritta con parole che paiono uscite da Guinizelli5. Una forte
prefigurazione di Brave New World nel romanzo esaminato proviene dall’uso di
una droga chiamata “maohee”. Essa anticipa il “soma” e lo “sleg”6.
Mi soffermerò in particolare sullanalogia huxleyana. Nel parallelo testo dello
scrittore inglese, Bernard Marx partecipa a “liturgici” incontri di gruppo dove
si consuma il soma in preda a un delirio collegiale lungo uno slancio modulato
su evidenti suggestioni religiose7. In “Metropolis” una simile
prassi, irrazionalistica, edonistica, ha già luogo: avviene un consumo di
“maohee” in comitiva, dove tutti sballano su una piattaforma rotante a foggia
di conchiglia ubicata dentro un rinomato locale cittadino. Caratteristica di
questa droga, provocante esperienze molto intense, è che poi non lascia memoria
di quanto vissuto successivamente all’assunzione e durante lo sballo. A
proposito della figura di Joh fredersen esiste una seconda tangenza con mie
idee espresse in passato, allorché il figlio Frederer paragona il padre nella
qualità di cittadino tiranno capitalistico, a un Dio. Io parlai8 in
relazione al tema più generale di un possibile atteggiamento nevrotico che
spingerebbe gli oligarchi capitalisti a ritenersi e a proporsi (velatamente o
meno) come una sorta di Elohiym, di soggetti i quali in virtù del vampirismo
del tempo altrui (nell’arco di cui si sviluppa il corso produttivo di tutti i
beni, materiali e immateriali) riescono a sommare un accumulo di potenzialità
sproporzionata rispetto al resto della società grazie al denaro di cui si
appropriano, nel momento in cui la moneta equivale a potenza di tempo-lavoro
che costoro non dovrebbero attuare personalmente. Perciò la vita dei capitalisti
possiede confini qualitativi e quantitativi più ampi in confronto agli altri,
tali da farli apparire Dei muniti di sovrumani poteri; poteri che ci sono, ma
non divini, e sovrumani nel senso in realtà concreto in quanto somma di
sottrazioni ai singoli, somma la quale si viene a sovrapporre quale ingannevole
astrazione sopra la comunità, a un piano falsamente giudicato divino. Nei fatti
non esistono Elohiym, ma sempre esseri umani che comunque riescono ad avere
un’esistenza più lunga giacché il loro tempo non è vampirizzato dalla servitù
del lavoro, la quale potrebbe essere ridotta a vantaggio di tutti, o
praticamente addirittura quasi abolita grazie alla moderna tecnologia. In
seguito a ciò ho parlato di «dei falsi e bugiardi». In “Metropolis” compare una
dicotomia “mondo infero / mondo supero” che invertita nella sua proiezione
distopica si era mostrata nel romanzo wellsiano “The time machine”. Qua ci sono
i Morlock, degenerazione della classe capitalistica, sottoterra, e gli Eloi,
prosecuzione della discendenza dei prestatori d’opeta, sulla superficie. Nel
testo di Thea von Arbou la dicotomia viene ricondotta a un ordine originario:
sulla terra ancora i gaudenti benestanti, in spazi sotterranei abitano e si
riuniscono i proletari guidati da Maria. Nella narrazione Rotwang crea una
ginoide, be tselem di Maria per volontà di Joh Fredersen. Questa è destinata a
sostituire quella reale in modo tale da poter ingannare la massa. La dicotomia
Maria-organica/Maria-ginoide è ricca di contenuti critici. Un primo grado di
analisi inerisce alla sfera sociopolitica immediata. La vera Maria si rivela a
mio modo di valutare le cose “peronista”: sostiene la collaborazione sociale,
la fratellanza simboleggiata nell’escudo peronista. La Maria inorganica, per
volere machiavellico di Joh Fredersen, istiga alla violenta lotta di classe, a
una rivoluzione di ascendenza marxista. Questo primo gradino di lettura rinvia
a un secondo di natura filosofica, e mi riferisco alla biga alata platonica. Il
mito testé citato in Platone assume una valenza psicanalitica, come ben
sappiamo. Associo la prima Maria, quella reale, che ci ha parlato della
necessità della mediazione del “sentimentale” junghiano, al cavallo bianco,
simbolo della sfera emozionale. Un’immagine positiva cui si oppone a latere il
cavallo nero, l’altro simbolo stavolta negativo della sfera passionale.
L’insegnamento platonico chiede di non abbandonarsi alle pulsioni animali
freudiane. La dicotomia fra le due donne, la Maria urania e la Maria ctonia,
ribadisce la sostanza del mito di Platone in altra guisa narrativa. Un terzo
livello di interpretazione prosegue la scia psicanalitica per addentrarsi nel
campo religioso. Le vicende di “Metropolis” si connotano qua e là con marcate
tinte religiose cristiane dai toni cupi e apocalittici. La figura di Maria
viene investita dalla misoginia biblico-patristica a prescindere dall’essere
quella in carne e ossa o la ginoide. La frangia religiosa estremista
metropolitana capeggiata dal monaco Desertus, e avversa al capitalista Joh
fredersen desideroso di abbattere la cattedrale cittadina per fare spazio
urbano, viene aizzata da questo novello Savonarola contro costei, indicata come
al solito quale la pericolosissima porta dell’inferno. A proposito di questo
piano religioso il romanzo di Thea von Arbou è pervaso da uno spirito
francescano che anima la Maria urania e respinge da un lato i toni esagitati di
Desertus, i quali non sono meno pesanti di quelli che hanno storicamente
causato il femminicidio di Ipazia di Alessandria, e dall’altro le istigazioni
(in mala fede) della Maria ctonia a pro della rivoluzione. In fin dei conti, se
andiamo a fondo del problema, non rappresentano le macchine in sé il male bensì
l’uso che se ne fa. La tecnologia e la meccanizzazione migliorano e snelliscono
la produzione. Nefasto risulta asservirvi uomini, e per giunta pochi (con orari
non adeguati). Lavorare meno, lavorare tutti, e grazie alle macchine lavorare
tutti poco e niente. Il nocciolo della questione non è tanto il dominio formale
della tecnica, ma l’uso capitalistico della tecnologia. Le macchine migliorano
la vita, però non abbiamo bisogno di invenzioni belliche mortali o di creare
una classe di servi in lotta inter se per essere assunti a scopo di
sussistenza. Ci vuole intelligenza nella massa, nonché una guida onesta. Il
progetto escogitato da Joh Fredersen, mirante a recuperare la vicinanza del
figlio, persa a causa di Maria e del di lei impegno nell’incruenta lotta
sociale, prevedeva che la ginoide (segretamente posta in sostituzione della
rapita vera Maria) istigasse la massa dei lavoratori di Metropolis al luddismo.
Il fine quello di distruggere assieme alle macchine anche i sistemi che tengono
in vita la città sotterranea proletaria. I suoi abitanti non si rendono conto,
inebriati dallo spirito della rivolta anticapitalistica, che danneggiare la
sede centrale di controllo degli apparati meccanici metropolitani avrebbe
provocato un allagamento delle loro aree residenziali collocate sotto il
livello della superficie terrestre. In queste pagine ho trovato singolare
sentire sulla bocca di Joh Fredersen parole, rivolte al figlio, analoghe a
quelle dell’evangelico Gesù Cristo quando sottolineò a chi lo ascoltava che è
più importante curarsi dei vivi che dei morti. Nel subbuglio generato dai
proletari capeggiati dalla ginoide si inseriscono dal canto loro i fanatici di
Desertus inneggianti all’apocalisse e sempre a parte i colpiti dall’inondazione
sotterranea desiderosi di vendicarsi sopra Maria ignorando che in giro ve ne
sono due, la ginoide e l’organica (liberatasi dalla prigionia). Questa grazie
all’aiuto di Frederer salverà i figli dei proletari da simile sorta di diluvio
universale infero cercato da Joh Fredersen. La Maria ginoide viene presa da chi
nutriva desiderio di vendetta e messa al rogo. Riguardo a ciò mi pare il caso
di evidenziare il comportamento irrazionalistico di tale parte di folla che ha
reclamato letteralmente l’uccisione di una strega. Qui non ha rilevanza il
luddismo di costei, bensì l’inaccettabile e sadico atto compiuto da persone che
non è possibile definire esseri umani. Considero bestie tutti quelli che nei
secoli scorsi sono stati a presenziare a una condanna al rogo, in ispecial modo
a quelle organizzate da istituzioni religiose cristiane. Perché non si capisce
dove sia andato a finire l’amorevole (?) messaggio che abbraccia ciascuno (a
meno di concludere che non fosse stato ideato così tanto amorevole e così molto
esteso a ognuno). Ho il sospetto che, oltre al sadismo collettivo, l’odore di
carne arrostita e infine carbonizzata non fosse sgradevole bensì ricercato. Se
la Maria ctonia stimola luddisti istinti per rimanere vittima ingiustificata di
altri bestiali irrazionali istinti, la Maria urania salva i figli dei proletari
dal castigo “divino” di Joh Fredersen. La prima possiede accenti dionisiaci e
tragico-shakespeariani, incarna l’irrazionalismo e gli effetti collaterali di
ritorno in linea formale: l’irrazionalismo finisce con l’autodistruzione.
L’altra Maria invece, «madre de todos los niños, […] de los descamisados», mette
in sicurezza poi i bambini salvati presso la sede di “svago” dei giovani
appartenenti alle ricche famiglie di Metropolis. In relazione a questo
passaggio letterario ho rilevato un nuovo piccolo parallelismo col venturo
huxleyano romanzo “Brave New World”. Thea von Arbou ci comunica che le pórnai
in quella casa di divertimenti impiegate si erano mostrate in quella
circostanza spontaneamente nella veste affettuosa materna nei riguardi dei
fanciulli entrati. Nel testo di Aldous Huxley v’è un brano con Lenina Crowne e
Bernard Marx alla riserva, dove lui le dice che la maternità la adornerebbe,
facendola inorridire. Ancora una volta notiamo un accostamento letterario
analogo in contrasto. “Metropolis” si chiude in una guisa junghiana. Centrale è
qua l’immagine di Joh Fredersen la quale gioca il ruolo simboleggiante la
divinità. Jung ha criticato nella teologia del Dio cristiano la sua mancata
associazione col suo antagonista, il quale è rimasto personificato e
pietrificato in un personaggio rigidamente separato ma pur esprimente
nonostante il suo radicale rifiuto una dimensione della libertà. Ovviamente il
male non va attuato, però mutilare il pensiero della capacità di cogliere tutte
le possibilità equivale a un taglio alla libertà medesima in abstracto. Joh Fredersen
ha agito in un primo momento, quando è scattato il suo machiavellico disegno, a
mo’ del Dio veterotestamentario il quale non aveva allora un antagonista morale
bensì Dei simili concorrenti9. La ricomposizione finale dell’opera
di Thea von Arbou propone una integrazione simbolica non dei piani
veterotestamentari concorrenziali dei vari Elohiym, ma una junghiana
integrazione morale dove l’assorbimento del male serve a due scopi. Il primo
più evidente appare quello di conservare la gamma della libertà possibile non
mutilata: nessuna libertà rimane sul serio tale se si circoscrivono i confini
del pensare; il che non vuol indicare la liceità di tradurre in atto tutto
quanto sia pensabile. Il secondo obiettivo si rivela l’altro appunto di
squalificare le possibilità di male dalla dignità di attuazione. A tal riguardo
possiamo notare che il Dio del Vecchio Testamento in più occasioni si mostra
privo di bontà e propenso ad azioni mortali e distruttive su scala variabile.
Ci è possibile accostare le vicende conclusive di “Metropolis” all’anello di
congiunzione concettuale biblico tra Antico e Nuovo testamento. Nel romanzo
esaminato è Frederer alla fine a rendere “morale” il padre Joh Fredersen. Ma
una analoga cosa si mostra rilevabile nella Bibbia. È l’ingresso del
neotestamentario Figlio di Dio a conferire una moralità dicotomica (Bene/Male)
al Padre: qui però col difetto di dissociare il Male personificandolo in foggia
antagonistica. Thea von Arbou nella sua narrazione ha superato tutti i limiti
teologici biblici attraverso le parti svolte dai suoi simbolici personaggi.
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Analisi
letterarie e filosofiche”
1 Al noto romanzo di Aldous Huxley ho dedicato un mio saggio
nel 2015: Il capitalismo impazzito di Aldous
Huxley.
2 Indico il mio scritto più recente pertinente a essa e
suggerisco di seguire da lì i rimandi contenuti nelle note all’indietro verso
tutti i miei lavori in merito: La
distopia della sciocchezza dei fratelli Strugatzky nella mia pubblicazione
recante il titolo Distopie occidentali
(2023).
3 A questo noto autore ho dedicato una mia monografia: Parricidio dantesco (2021).
4 Allo scopo di approfondire il giustizialismo peronista
consiglio la lettura di miei studi: Il giustizialismo peronista e La Fondazione “Eva Perón” nel mio saggio
La morte delle ideologie (2011).
5 Dello Stilnovismo guinizelliano ho parlato in un mio lavoro
intitolato Guido Guinizelli e la nascita
della
sistematica caccia alle streghe contenuto nella mia
opera avente il titolo Radici occidentali
(2021).
6 Circa lo sleg si veda la mia analisi indicata nella nota 2.
7 Per approfondimenti nel mio saggio menzionato nella nota 1
si veda alle pagg. 12-14.
8 Nella mia monografia Critica
dell’irrazionalismo occidentale (2016) si veda la sezione Il gioco capitalista degli Elohiym falsi e
bugiardi.
9 Al fine di
approfondire consiglio di leggere un mio lavoro: Il Dio del Tanak non è solo
presente nella mia opera Ermeneutica religiosa weiliana (2013).