di DANILO CARUSO
“The dawn of all”, romanzo utopico nella
visione del suo autore, il cattolico inglese Monsignor Robert Hugh Benson
(1871-1914), distopico al mio sguardo critico, descrive un mondo immaginario il
quale non giudico auspicabile per la Civiltà umana1. Mi sembra
allarmante l’ambizione di un totalitarismo religioso e cattolico. Il romanzo, pubblicato
nel 1911, non ha fatto cenno alcuno della delicata problematica razzista
antigiudaica (avita cristiana e moderna laicizzata): un deprecabile fenomeno
sempre da disapprovare e respingere sia nella sua forma pseudospiritualista che
in quella pseudobiologica. Gli Ebrei non esistono più nel 1973 narrativo di
questo romanzo bensoniano? È stato forse ammesso, mediante un’indicibile
liceità (distopica), il cancellarli dalla faccia della Terra? Non lo sappiamo
con certezza, tuttavia la loro assenza fornisce un inquietante indizio. Il non
menzionarli esprime tacito antisemitismo in relazione al misterioso vuoto
esistente nel ’73? Monsignor Benson ha sognato un mondo senza Giudei? Qualcuno
potrebbe dire: non ci sono più perché si sono tutti convertiti al
Cattolicesimo. Qualcun altro potrebbe invece ipotizzare: non ci sono più poiché
sono stati sterminati i refrattari alle conversioni, valutati pericolosissimi destabilizzatori
dell’ordine costituito cattolico; e, ormai scomparsi, non vale la pena nemmeno
parlare di quegli per l’autore inglese forse innominabili deicidi… A difesa
della possibilità di questa seconda ipotesi voglio rammentare l’atteggiamento
di Pio XII nel corso della Shoah, un atteggiamento che fu appunto di silenzio.
Nella realtà stava per consumarsi la “soluzione finale” con la Chiesa muta al
riguardo. Era al corrente dello svolgimento dell’Olocausto o no? Agì così per
convenienza o per mancanza d’informazioni? Interessante, sull’argomento,
ritengo una puntata di “Atlantide”, programma de La7, condotto da Andrea
Purgatori (1953-2023), intitolata “Hitler, il Papa e il segreto
inconfessabile”. Quanto possiamo notare, in ogni caso, è una linea di silenzio
che va da Monsignor Benson a Papa Pacelli. E, siccome, nel caso storico di Pio
XII, sappiamo che c’è stato in concreto uno sterminio ebraico, ipotizzo di
riflesso, davanti al silenzio bensoniano, una analoga possibilità letteraria.
Nelle mie ricerche ho rintracciato un articolo de “La Civiltà Cattolica”,
uscito sul quaderno 1736 del 21 ottobre 1922, il quale mi è sembrato
significativo e utile a quanto sto ragionando ora. Si intitola: “La rivoluzione
mondiale e gli ebrei” (pagg. 111-121, vol. 4 – 1922). Premetto prima di
riportarne un estratto la motivazione di ciò. Questo testo si pone a metà
strada cronologica fra Monsignor Benson e Papa Pacelli, e costituisce pertanto
due cose: un elemento di raccordo tematico ideologico, e un indice di quale
fosse il grado di antisemitismo praticato nella prima metà del ’900. Nei miei
scritti ho parlato dell’antigiudaismo più volte, con particolare riferimento al
Cristianesimo2. Adesso l’occasione è propizia per condurre un nuovo
approfondimento. Il mio obiettivo non è dimostrare che in “The dawn of all” si
sia consumata una Shoah, dacché non si mostra possibile per via dell’assenza di
prove concrete. Dunque, in ossequio al principio giuridico stabilente la
presunzione di non colpevolezza all’inizio di un giudizio, concludo che non
essendo visibile con nitidezza nullum crimen, non si dà nulla poena. Tuttavia
il quesito iniziale rimane: che fine hanno fatto gli Ebrei nel romanzo
bensoniano? La loro scomparsa rappresenta un dato di fatto. Accolgo, pro bono
pacis, valida l’ipotesi della conversione spontanea di massa, producente la
loro incruenta cancellazione. Ho già notato l’idea di “”rimozione” sin da
Tertulliano. La ragione risulta facile a capirsi: il Giudaismo costituisce la
prova di falsità teologica del Cristianesimo, nel senso proprio logico della
contrarietà, dove vero e falso si escludono a vicenda. Quindi l’uno falsifica
l’altro, e quello a trovarsi in maggior disagio e imbarazzo è proprio il nuovo
credo cristiano. Non stupisce allora che Benson elimini gli Ebrei. La pietra
d’inciampo proviene dalla modalità ignota. L’articolo sopra citato, di cui a
breve l’estratto, ci dà un indizio di come la (assurda) problematica antisemita
non poteva essere estranea alla testa dello scrittore inglese. Le
preoccupazioni antisocialiste e antigiudaiche nella Chiesa esistono all’epoca
bensoniana, e “La Civiltà Cattolica” ne fornisce testimonianza. Reputo suddetto
articolo interessante, oltre che come elemento di collegamento nella maniera
spiegata, anche per i suoi contenuti in relazione a “The dawn of all”: da un
lato la preoccupazione marxista, dall’altro le accuse di totalitarismo rivolte
all’URSS. Accuse che però, io rilevo, sono parallelamente indirizzabili alla
teocrazia di Monsignor Benson. Notiamo, ancora una volta, come gli schemi
vengano orientati in funzione di tornaconto. Un articolo, insomma, ricco di
spunti, di cui segue l’estratto.
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Il
mondo è malato. Non siamo noi a dirlo: oggi lo ripetono anche i moralisti da
strapazzo […]. […] La Turba […] pare divertirsi in una ridda tragica di tumulti
e di scioperi, aspettando di proclamar domani la repubblica comunista […]. […]
Chi guida questo movimento di rivoluzione universale che capovolge la società
umana da un confine all’altro del mondo? Voci sinistre si levano da più parti
ad accusare da sinagoga. Il lupo è, sempre lupo: le colpe antiche accreditano i
sospetti nuovi e rinciprigniscono una piaga rammarginata ma non mai guarita.
Una mano profana ha tratto pure alla luce dei segreti che portano la marca del
ghetto. Documenti o falsificazioni? Sarà difficile, come sempre, poter diradare
le tenebre in cui si avvolge gelosamente Israele. Il velo del tempio, che Jahve
aveva squarciato, i figli di Giuda l’hanno ricucito a fil doppio; ma quello che
esso vuol ricoprire non è, più l’arca santa del Signore: è la cassa forte delle
sue usure e del suo egoismo. In ogni modo alla sua tenacità nel nascondere noi
opponiamo il diritto di frugare e trarre alla luce del sole quello che ci
riguarda, quello che tocca il bene pubblico del popolo cristiano, a cui far
danno per i talmudisti è precetto di legge e merito di religione. […] La Russia
è oggi il campo di battaglia sul quale si disputa l’impero del mondo di domani.
[…] Si salvino gli infelici, ma si mettano in ferri, si traggano al tribunale,
inesorabile, della giustizia i mestatori, i capibanda che per attuare le loro
pazze utopie, desertano il paese e assassinano la nazione. […] Il maggior
numero, a quello che si dice, dei componenti il corpo dirigente la repubblica
comunista in Russia non è di indigeni russi, ma di intrusi «ebrei », i
quali però si dànno premura di occultare quasi sempre il nome di origine sotto
la maschera di uno pseudonimo di colore slavo. […] La popolazione totale della
repubblica russa non conta certamente meno di novanta milioni di nazionali di
fronte a forse quattro milioni di ebrei che fino a ieri brulicavano nel pattume
del ghetto, fatti segno al disprezzo comune. Eppure questa infima minoranza
oggi ha invaso tutte le vie del potere e impone la sua dittatura alla nazione.
E quale dittatura! […] Secondo la Costituzione della Repubblica
«sovietista-socialista-federativa russa» del 19 luglio 1918 […] «la
Repubblica, guidata dal solo interesse delle classi operaie, può privare dei
loro diritti gli individui o i gruppi di persone che ne usassero a danno della
stessa repubblica socialista[»]. È la legge del sospetto comune a tutti i
governi violenti per far man bassa dei loro avversari. […] Insomma dal
complesso di questi ragguagli risulta chiaro e manifesto un fatto: questa genìa
che fino a ieri giaceva nei vicoli ciechi, nei più bassi fondi della vita
russa, di botto si è scossa e si è impossessata del trono: ieri non era nulla;
oggi è tutto ed è dappertutto, e secondo l’istinto delle razze decadute si affretta
a sfogare la rabbia del suo trionfo nella paura che duri poco. Come spiegare
questo strano rovesciamento di cose, questa irruzione calcolata, sapiente che
s’impadronisce a colpo sicuro di tutti gli organi della macchina sociale, così
da potersi dire che in Russia – esempio unico – alla nazione slava è imposto il
giogo di un’altra nazione, l’ebrea? […] La repubblica ebrea comunista è
l’attuazione di una dottrina: sono i dogmi del vangelo di Marx e di Engels
posti a fondamento di un programma sociale: è la teoria comunista messa in
esperimento, e noi intendiamo facilmente come nessuno poteva essere più adatto
interprete del pensiero di quei pretesi legislatori d’Israele o più esperti
esecutori dei loro insegnamenti che gli uomini della stessa razza e delle
stesse tendenze. Solo il pervertimento di una fantasia semita era capace di
capovolgere tutte le tradizioni dell’umanità e creare una società il cui
statuto fondamentale è «l’abolizione di ogni proprietà: la ricchezza non deve
appartenere agli individui o a una classe di cittadini, ma alla comunità». Il
buon senso della stirpe ariana non avrebbe mai inventato un codice in cui al
principio di un’autorità sociale sottentrasse un ufficio centrale di statistica
[…]. Dei grandi principii di libertà di stampa, di associazione o di parola,
neppur parlarne: sono diritti che si rivendicano sotto il regime borghese per
poter preparare la rivoluzione; ma a rivoluzione fatta, in governo comunista,
che si può pretender di meglio? I malcontenti sono nemici dello Stato e vanno
repressi severamente. Perciò la repubblica si è circondata di armi e di armati,
ha imposto la coscrizione, e non parendole troppo salda e sicura la fede delle
schiere paesane, non esitò un momento a rinnegare tutto il vecchio
antimilitarismo venduto ai gonzi e assoldare un esercito di cinesi, lettoni,
ungheresi, vecchi prigionieri, profughi, vagabondi d’ogni colore, ai quali
prendere servizio era il più sicuro mezzo di trovar da mangiare dove si moriva
di fame. Tale non era davvero il caso dei seguaci della sinagoga, e non li
vediamo infatti far mostra di sè nel campo militare. L’ebreo non ama la
milizia poichè non ha una patria: e quando dovette essere soldato, la
rivoluzione lo fece traditore e assassino. […]
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Tengo a sottolineare che quando uscì
l’articolo (il quale ho estratto dal “vol. 4” senza togliere gli stampati
errori di ortografia) non esisteva ancora il governo Mussolini né quello
Hitler, e che le legislazioni razziali tedesche e italiane furono varate negli
anni ’30. Quantunque il 1973 bensoniano del romanzo analizzato non dia segni di
provvedimenti del genere, quel mondo immaginato esprime un’ideologia de facto
suprematista bianca europea, dal momento che chi ha all’occhio la carta
geopolitica planetaria di alba del ’900, apportate le variazioni narrative
bensoniane, si renderà conto che quasi tutto l’Orbe cade in mano a Inglesi,
Francesi e Spagnoli. Monsignor Benson non considera il colonialismo un problema
da rimuovere, ha anzi rimesso gli Italiani sotto un dominio altrui. È stato una
personalità complessa, talentuosa, benché reazionaria e nevrotica (secondo il
mio metro d’esame critico). La sua altezza intellettuale gli merita la mia
formale stima, e al contempo un sostanziale disaccordo ideologico. Spero che
lui non abbia mai pensato a un genocidio ebraico, circostanza nella quale la
mia ammirazione verso il romanziere creatore di Mabel Brand crollerebbe
irrimediabilmente.
NOTE
Questo testo è un estratto del mio
saggio intitolato “Da Robert Hugh Benson a George Orwell”
1 Questo scritto, come indicato in calce,
costituisce un estratto del mio secondo saggio dedicato a Monsignor Benson. La
prima mia monografia è: L’apologia
dell’irragionevole di Robert Hugh Benson (2017).
2 Allo scopo di un approfondimento suggerisco un mio studio (indicante
ulteriori vie)
Le radici cristiane dell’antisemitismo nella mia
pubblicazione Studi illuministi (2024).