di DANILO CARUSO
La patristica cristiana è stata anche una tribuna da
cui furono avanzate idee estremistiche di cui oggigiorno non si parla pressoché
più dopo la scomparsa dell’avito ferreo tallone dottrinale e propagandistico.
In seguito alla svolta conciliare postbellica la Chiesa ha lasciato scivolare
nell’ombra, sull’ignoranza della massa (non avvezza a leggere, studiare,
approfondire riguardo alla sostanza, presente e passata, di quel mondo in cui
nonostante tutto vive), la globalità del suo precedente essere. Cosicché gli
ingenui, i meno documentati, non conoscono bene la storia e il pensiero del
Cristianesimo da poco prima di loro, a ritroso, sino alle origini. Simile
lacuna induce a credere che l’affabile positiva Chiesa della nostra epoca sia
stata quella di sempre, cosa che la Storia contraddice in pieno. Il
Cristianesimo antico-medievale e quello moderno (nelle sue sfaccettate
dominanti componenti) hanno condizionato la vita umana nell’Occidente con un
peso negativo, di cui la Società occidentale ha incominciato a liberarsi con
efficacia maggiore nel tempo grazie all’Illuminismo. La misoginia,
l’antisemitismo, l’omofobia, l’illiberalismo passati della Chiesa cattolica,
ignoti a molti, poiché non si interessano di una conoscenza puntuale dei fatti,
non costituivano l’anticamera dell’era di consumistici panettoni e colombe, o
di festosi ritrovi di fedeli cattolici (cose ora ovviamente apprezzabili). Quel
che c’era prima ha rappresentato a lungo, come sostenuto a ragione da Simone
Weil, un regime di gestione totalitario dei popoli controllati dal
Cattolicesimo. La cui pervasività è scemata sempre meglio a partire dall’epoca
illuministica, preceduta in alcuni circoscritti spazi da forme liberali del
Protestantesimo, forme poi perfezionate dall’Illuminismo. Nella mia attività di
studioso mi sono preso il pensiero di andare a leggere alcuni di quei testi
patristici nella nostra era ormai improponibili ai credenti. Mi sono soffermato
dunque ad esempio sull’antisemitismo di Tertulliano, Agostino d’Ippona,
Giovanni Crisostomo. Ho esaminato altri temi nei miei vari scritti (misoginia,
omofobia, tanatolatria, antiedonismo, illiberalismo), i quali hanno peraltro
considerato l’intero periodo di esistenza del Cristianesimo rilevandone
significativi campioni d’analisi. Nella mia ricerca di esemplari distopici
dettagli da riproporre all’attenzione critica, nel presente lavoro ho scelto
due autori: Girolamo, canonizzato, Padre e Dottore della Chiesa (347-420); e
Ambrogio vescovo di Milano (339 ca - 397), parimenti possessore degli attributi
del primo. In questa sede di loro due ho scelto un’opera a testa nella
trattazione di aspetti di misantropia nel Cristianesimo. In simile argomento
potrebbe rientrare la tanatolatria cristiana, di cui ho parlato a parte,
trattandosi di una materia specifica e nevralgica1. Là ho fatto notare
la radicale e strutturale avversione della Patristica alla dimensione corporea
dell’individuo umano, ricordando la guisa in cui tale inclinazione di giudizio
non possa non essere valutata patologica. Tant’è che ha provocato fenomeni di anoressia.
In relazione all’argomento dell’alimentazione e del digiuno ho reputato utile
analizzare la pertinente sezione dell’“Adversus Jovianum” di Girolamo, giacché
il promuovere una forma di denutrizione a me sembra misantropico e contiguo
alla vocazione tanatolatrica di cui accennato sopra. Non nutrirsi a dovere
rappresentava un punto programmatico del Cristianesimo originario, punto di cui
verrò a dire grazie alle parole del suddetto santo. Quando egli inizia ad
affrontare la materia ci proclama subito il suo obiettivo: «Doceam [...] Deo
grata jejunia, et acceptabilem continentiam». Tengo a chiarire da subito un
dettaglio. Questo Padre della Chiesa promuove forme di digiuno non perché sta
spiegando che un’alimentazione eccessiva e inappropriata sia nociva alla salute
umana. Il taglio del suo discorso non risulta affatto medico. Egli mira a una
mortificazione del corpo, seguendo in merito la linea cristiana. Non suggerisce
di non ingozzarsi dacché l’abuso fa male alla salute. Il suo discorso è
completamente diverso, perciò andarlo a sovrapporre con uno schema di cautela
sanitaria fisiologica si rivela non corretto. Il Dottore della Chiesa si cura
della salute dell’anima, a scapito del corpo, nemico di questa. Con spirito
paolino costui afferma: «Cupio dissolvi, et esse cum Christo». Altro che “mens
sana in corpore sano”! Girolamo non ci dice di morire di inedia, ma neanche di
essere atletici e rigogliosi: «Si vis perfectus esse, bonum est vinum non
bibere, et carnem non manducare. Si vis perfectus esse, melius est saginare
animam, quam corpus». Non ha appena sostenuto la pericolosità dell’eccesso, della qual cosa non ha qui messo in
guardia con parametri medici. Ha
proprio affermato il bisogno cristiano di mantenere il corpo indebolito: «Esus
carnium, et potus vini, ventrisque saturitas, seminarium libidinis est». Ha
ribaltato un ideale antico celebrante l’estetica (pensiamo alla statuaria
greca) e l’agonismo sportivo: «Si Circensibus quispiam delectetur, si
athletarum certamine, si mobilitate histrionum, si formis mulierum [...] per
oculorum fenestras animae capta libertas est». Idee (assurde) del genere
tradotte oggi equivarrebbero a richieste di soppressione di ogni competizione
dello sport e a una disapprovazione della cura dell’aspetto femminile. Lui non
ci sta affatto parlando di “donna oggetto”, ci sta parlando della “porta
dell’inferno”. Uno che oggi volesse le donne alla stregua di quelle di
“Swastika Night”2, e che pretendesse la cancellazione dei campionati
di calcio, pallavolo, pallacanestro, femminili e maschili, per fare piccoli
esempi, sarebbe ritenuto pazzo. Eppure il neonato Cristianesimo si è dato un
DNA antisportivo (rammentiamoci di Tertulliano3). I Cristiani hanno
visto nei cinque sensi degli impietosi carcerieri sempre e comunque: per coloro
che hanno mantenuto un simile metro non sono esistiti un sano accettabile mondo
della lecita competizione agonistica, né la possibilità di concepire il corpo
femminile alla maniera greco-antica (ancora una volta ricordiamoci di quella
statuaria). Molto dopo “La Madonna del latte in trono col Bambino” di Jean
Fouquet non rappresenterà un’opera d’arte cristiana, bensì capitalistica4.
Se in assoluto, mediante la psicanalisi freudiana, possiamo accettare che «ciborum
aviditas» sia «avaritiae mater», nella pertinenza del testo un tale spunto
subirebbe un rigetto, giacché il patrocinio della magrezza cristiana, da qua,
tutt’al più, andrebbe a fermarsi alla lupa dantesca e alle sante anoressiche.
Che il ragionamento di questo Padre della Chiesa sia ascientifico e viziato in
toto da nevrosi è chiaro da quanto sostiene: «Tactus [...] alienorum corporum,
et feminarum ardentior appetitus, vicinus insaniae est».Deve rimanere accesa
una sola lampada: «de Deo cogitatio». Non deve sopravvivere una nostalgia
edonistica. Vengono apprezzati da Girolamo i filosofi che fuggono dal benessere
e dalle gratificazioni urbane per appartarsi, e condanna d’altro canto,
richiamandosi al magistero paolino, le donne che usufruiscono degli svaghi. V’è
un giudizio del dottore della Chiesa ambiguo: «morbi ex saturitate nimia
concitantur». È vero che l’eccesso di cibo può far male all’organismo e
cagionare disturbi patologici, però rimane altresì evidente che la saturitas nimia di Girolamo costituisce
un livello di quantità e qualità alimentari iniziante troppo presto, idest
l’abuso per lui incomincia quando ancora siamo nel perimetro della giusta
alimentazione. Costui esige un grado di denutrizione allo scopo di non
glorificare l’orribile corpo, veicolo e strada del peccato. Mortificazione e
indebolimento corporei, questi sono gli ideali del Cristianesimo. Come non
doveva crollare l’Impero romano cristiano in balia di siffatte idee guida (non
ultime quelle altre sessuofobiche, causa di un micidiale calo demografico)?
Lampante che barbari numerosi e ben nutriti avessero la meglio. Ma torniamo a
queste ultime parole del Padre della Chiesa, dacché, subito dopo, mette in
guardia i golosi. Ha ragione ad affermare che occorre mangiare e bere al fine
di dar seguito ai bisogni di approvvigionamento energetico del corpo; però,
perché sopprimere a priori, sulla base di una teologia estremistica, i
manicaretti? In giusta quantità una sana pietanza ricercata non fa male a
nessuno. La giustizia sociale deve garantire semmai l’accesso di tutti a esse.
Sconcertanti si mostrano alcuni pensieri espressi da Girolamo in questo suo
testo all’esame: «Qui aegrotat, non aliter recipit sanitatem, nisi tenui cibo
et castigato victu, quae λεπτὴ δίαιτα [dieta scarsa] dicitur. [...] Christiano
sanitas absque viribus nimiis necessaria est. [...]. Nihil [...] obruit animum,
ut plenus venter». Ne avevo anticipato i contenuti in alcuni passaggi sopra,
però adesso abbiamo potuto vedere nelle sue testuali parole le aberrazioni: un
ammalato va curato con un vitto frugale e contenuto; un cristiano non deve
avere un vigore (fisico) eccessivo; stare a stomaco pieno è motivo di
oppressione per la mente. Qui non si sta censurando l’eccesso, qua si censura
il normale benessere della persona (cui ciascuno ha diritto), a vantaggio di un
misantropico e filotanatolatrico obiettivo: mortificare il corpo umano alla
volta della sua distruzione. Le torture e i roghi del Cristianesimo, a mio
avviso, possiedono radice sadica nei propositori, compiaciuti, a modo loro, di
eseguire la volontà e i desideri di un Dio che odia la corporeità umana (stando
ai proclami originari cristiani). D’altro lato troviamo i masochisti
digiunatori e autopunitori, posti sull’identica gamma dei precedenti, ma con
polarità invertita (inversione oggettiva). Ci sono stati, secondo il mio
modesto punto di vista, santi appartenenti a questa seconda categoria,
bisognosi, al pari dei primi, di assistenza qualificata allora inesistente. Chi
non ha voluto mangiare, chi ha rifiutato le cure, chi si è fatto del male
fisico da sé ha avuto purtroppo gravissimi problemi mentali. Questi soggetti
non costituiscono un modello da imitare. Girolamo, invece, ci fa l’apologia del
digiuno religioso, continuando il suo dire, attraverso un’articolata serie di
esempi biblici provenienti dall’Antico e dal Nuovo testamento. Alcuni mi
sembrano un po’ forzati. In ogni caso quest’idea di digiunare, non dietro
motivazioni sanitarie, non appare buona. In qualche maniera se ne rende conto
pure il Dottore della Chiesa, consapevole del fatto che, se si propagandasse
con successo una rinunzia più o meno assoluta all’alimentazione, in teoria, la
Cristianità terrena scomparirebbe in breve, trasferendosi stabilmente tuttavia
in paradiso. Preferendo cristiani che riescano a reggersi ancora in piedi, egli
disapprova gli eretici auspicanti un regime alimentare in pratica suicida. De facto
sembra ambire a simboli ambulanti di propaganda cristiana: «Maciem saginae,
abstinentiam luxuriae, jejunia praeferimus saturitati». L’uomo macilento è
stato il tipo ideale del Cristianesimo delle origini. Il mito del digiuno di Gesù
durato quaranta giorni contribuì non poco, in aggiunta al resto, a
suggestionare nel corso dei secoli, personalità di equilibrio mentale precario.
Non nutrirsi secondo una consona misura rappresenta un attentato alla propria
salute, e nelle circostanze in cui ciò si è verificato tra i fedeli cristiani
io reputo opportuno l’intervento dell’investigazione psicanalitica allo scopo
di comprendere la guisa in cui un essere umano possa andare “contro Natura” mettendo
a rischio il suo benessere col suo personale concorso. Già il Cristianesimo
paolino ha coscienza dell’impossibilità di imporre in maniera universale il
“macilento”, pertanto lascia un’ambigua libertà: chi mangia si sazia, chi
digiuna sprona gli altri a imitarlo. A tal proposito Girolamo ripete che
«Quomodo nuptiis virginitatem, ita saturitati et carnibus jejunium spiritumque
praeferimus. [...] Neque enim ventris esuries accepta est Deo». La seconda
opera presa in oggetto nella seconda metà della mia analisi è l’“Exhortatio
virginitatis” di Ambrogio vescovo di Milano, un testo il quale non risulta
l’unico di questo Padre della Chiesa dedicato al tema. L’“Exhortatio
virginitatis” è l’ultimo in ordine cronologico di vari altri. Quale premessa
generale alla specificità dell’argomento il Dottore della Chiesa non omette di puntualizzare
i confini del suo campo d’azione ideologico: «Nulla major est dignitas quam
servire Christo». E tutto quello che seguirà deriva da simile spirito di
servizio. Nel suo scritto Ambrogio inserisce una protagonista narrante: la
vedova di un martire cristiano e madre di quattro figli (tra cui un maschio).
Una sorta di Diotima sui generis, la quale pretende di insegnare i pregi della
sessuofobia, con spunti, fra l’altro, di misoginia, ai propri figli. In
apertura dell’esposizione si mostra significativo il richiamo
all’antifemminismo di Prv 31,1-3. Ma, mentre il Vecchio Testamento non si
mostra sessuofobico, invece misogino, l’“Exhortatio virginitatis” rappresenta
un manifesto sessuofobico patristico. Al pari dell’altro discorso
sull’alimentazione le primordiali istruzioni paoline sono analoghe e chiare:
non si può comandare l’astinenza sessuale universale, tuttavia si può
promuoverla in modo tale che gli exempla ambulanti attraggano gli altri restii.
Un esplicito comandamento di rinunzia erga omnes comporterebbe oltre
all’estensione dei cristiani la problematica di un teorico annientamento
globale dell’umanità con un Cristianesimo religio globalizzante. Perciò pure
qua si è lasciata ambigua libertà al fedele: qui coit coit, et qui non coit
multo melius. Tale il succo di un passaggio (la frase in latino è mia) dello
scritto in esame. In questa parte dell’“Exhortatio virginitatis” arriva un
suggerimento aberrante sulla scia di Mt 19,10-13. Nel Vangelo di Matteo davanti
alla sconvenienza del matrimonio per un uomo evidenziata dai suoi discepoli,
Gesù si è espresso un po’ cripticamente spiegando che ci sono tre tipi di
eunuchi (vale a dire di “evirati”: ευνοῦχοι): quelli per nascita; quelli che
hanno subito l’evirazione; e gli «εὐνοῦχοι οἵτινες εὐνούχισαν ἑαυτοὺς διὰ τὴν
βασιλείαν τῶν οὐρανῶν [nella Vulgata: “eunuchi qui se ipsos castraverunt propter regnum
caelorum”]». Il Messia fa intendere nelle sue parole, non
così tanto oscure, che un buon cristiano maschio è colui il quale si evira in
maniera volontaria. Che il senso del suo discorso sia questo viene confermato
da Ambrogio dal canto suo nella sua sconcertante opera dove stavolta in latino
questo pensiero viene ricalcato e riproposto. La madre narratrice prima dice:
«Hanc igitur tentationem tantarum necessitatum, si vultis, filii, vitare,
integritas corporis expetenda vobis est». Poi rammenta che «dixisse Dominum
spadonibus: [...] Meliorem, inquit, locum vobis dabo, spadonibus dicit; his
videlicet, qui se resecta genitali parte absciderint». L’“Exhortatio virginitatis”
lancia dunque un appello non molto velato ai volenterosi “illuminati” cristiani
(«quibus divina refulsit gratia») «ut castrare se possint, quo regnum coelorum
adipiscantur». Il termine latino “spado” (dal greco antico σπάδον), indica il
soggetto evirato, l’eunuco. Ambrogio appare chiarissimo nel riprendere le
parole di Gesù: senza membrum virile (“resecta genitalis pars”), tagliato con
convinzione all’uopo, si raggiunge (“adipisci”) più speditamente (in virtù di
ciò: «... quo...») il paradiso (“regnum coelorum”). Dal Vangelo alla Patristica
rileviamo un’aberrante proposizione e patologica “contro Natura”. Promuovere e
attuare simili gravi atti di autolesionismo possiedono nella fattispecie una
duplice radice. La prima è quella sessuofobico-paolina già messa in luce. Il
Dottore della Chiesa si è però qua riallacciato in funzione di un’apologia
dell’astinenza sessuale (praticata anche con metodi radicali) a parole del
Messia e non di Paolo di Tarso. Quantunque la sostanza finale in ambo le radici
sia la medesima (l’impossibilità del congresso carnale) in Gesù che parla di
eunuchi potrebbe mostrarsi l’ascendenza osiriaca. In passato ho ricordato le
somiglianze fra le figure del Messia e di Osiride5. Qui rammento che
dell’ultimo, ucciso e fatto a pezzi, non si ritrovò il membrum virile (il quale
nel Vangelo ritorna nella veste di stella dei Magi). Secondo me il perizoma del
Cristo crocifisso allude all’assenza osiriaca del membrum virile. Dal momento
che il risultare evirato sembra essere una condizione di optimum divino, non
escludo che nel discorso di Gesù la sessuofobia non sia il movente ideologico,
bensì il prodotto di un’altra impostazione di pensiero religioso, e che
l’evirazione non voglia in primis causare un impedimento stabile, ma produrre
una condizione di analogia col divino. Sono del parere che un tale
ragionamento, se effettivo nella realtà, sia sfuggito ai Padri della Chiesa, i
quali hanno invece puntato in modo diretto sulla sessuofobia, in funzione di
concezione basilare, e non in quanto conseguenza ideologica (nel primo campo
troviamo la teologia paolina, nel secondo quella cristico-osiriaca). Resta il
fatto comunque che il Cristianesimo alla fine elogi qualcosa di patologico, a
prescindere dalle matrici: evirarsi è roba da insani di mente e “contro
Natura”. Gesù e Ambrogio non hanno parlato in una forma figurata, né tanto meno
hanno disapprovato l’autolesionismo, rimasto fissato quale opzione a beneficio
degli “ottimi” cristiani (i modelli, da imitare). La madre narratrice
dell’“Exhortatio virginitatis” riprende il suo apologo chiarendo che in
paradiso gli angeli sono estranei al terreno regime coniugale: un fedele che
non si è voluto sposare si rivela simile a un angelo, giacché ha rifiutato le
inquietanti pulsioni libidiche allo scopo di concentrarsi del tutto sulle cose
divine. Il matrimonio costituisce un mondo di problemi, dove la donna riceve un
destino di subordinazione (ritenuto peraltro a lungo naturale nel
Cristianesimo): «conjugium vinculum est, quo alligatur viro nupta, et ei in
subjectionem astringitur». Il Dottore della Chiesa ha appena indicato la “donna
oggetto” del Cristianesimo: da tiranneggiare ad libitum, da poter torturare e
pure ammazzare (il femminicidio di Ipazia di Alessandria, ridotta a brandelli
bruciati, risale ai tempi di Ambrogio). Nella teologia paolina un coniuge
rappresenta un ostacolo tra sé e Cristo: la strada la quale porta a costui è
lastricata di astinenza sessuale. La Natura di solito insegna la riproduzione e
la cura della specie (l’omosessualità costituisce una via lecita, e quanto
puntualizzerò subito viene riferito solo al Cristianesimo), un ragionamento
contrario elevato a sommo ideale, a scapito del resto, mi pare nevrotico e
“contro Natura”6. L’ideale è una ordinata prosecuzione del genere
umano, non la sua laconizzazione. Questa madre esortante i figli a non unirsi
in matrimonio evoca il caso teologico della Vergine Maria madre del Redentore.
Di come sia stata distorta in merito la semantica ebraica nell’Antico
Testamento, passando dalla voltura in greco antico, ho detto e spiegato in una
mia monografia, cui rinvio7. Qua puntualizzo solo che l’Ebraismo non
ha mai prefigurato il miracoloso parto di una vergine per compenetrazione.
Trattasi di una pura invenzione teologica cristiana, a fini sessuofobici,
agevolata dalla traduzione del “Tanak” da parte dei Settanta. Tant’è che
Ambrogio si erge a difensore dell’imene: «Intemerata permaneant castitatis
signacula. Hunc hortum animae vestrae, hunc fontem servate puri liquoris, ut
eum in vobis nemo perturbet, nemo designet, quem genitalis in vobis origo
signavit. [...] Quid tam verum, quam intemerata virginitas, quae signaculum
pudoris et claustrum integritatis genitate custodit? At vero cum usu conjugii juvencula
defloratur, amittit quod suum est, quando ei miscetur alienum. Illud enim verum
quod nascimur, non in quod mutamur: quod a Creatore accepimus, non quod de
contubernio assumpsimus». Agli occhi del Padre della Chiesa una donna deflorata
perderebbe una sorta di sigillo di garanzia divino: niente di più assurdo sotto
qualsiasi profilo (la castità semmai costituisce una libera scelta individuale
de qua non est disputandum). L’esortatrice impazzita Diotima auspica che
«liquore gratiae spiritalis corporei vaporis incendia temperentur». Davanti ad
Ambrogio rimane valido qualcosa che lui chiama “bonum conjugium”: una unione
coniugale i cui congressi carnali, finalizzati alla procreazione, siano
compiuti col trasporto da mettersi nell’accendere la luce in una stanza. Ma
anche qui a causa di Adamo ed Eva c’è di che vergognarsi. Pure qua i cristiani
hanno distorto il “Tanak”, il quale si mostra sì misogino, però non
sessuofobico, al contrario della nuova religio8. In mezzo a questo
mosaico di nevrotiche esagerazioni del neonato Cristianesimo, nell’“Exhortatio
virginitatis” il Dottore della Chiesa trova l’occasione incidentale di inserire
una tessera antisemita, e rammenta coloro, «in populo Judaeorum, qui nolunt
Christum Jesum Deum Dei Filium confiteri». Perché gli Ebrei dovrebbero credere
nel Messia neotestamentario? Il Cristianesimo è sorto nevrotico, totalitario e
illiberale. Tutto questo obliato mondo dall’odierno Cattolicesimo connotato da
allegria festiva, seguente Pio XII e il Concilio Vaticano II, è stato in
mirabile guisa trasposto in “1984” di George Orwell: un romanzo distopico il
quale nella mia lettura weiliana si riconferma un monito universale molto
attinente a tutta la Storia dell’Occidente9. Non metto in dubbio che
il Cristianesimo ha fatto anche cose buone, tuttavia costituisce un limite il
non curare la diffusa conoscenza precisa dei suoi vecchi lati negativi, i quali
hanno promosso crimini (contro l’umanità, giacché estesi su ampie aree,
prolungati nel tempo, e rilevanti per qualità e quantità sui valori demografici
delle varie epoche: persecuzioni, torture, uccisioni di streghe, omosessuali,
eretici, Giudei, intellettuali non allineati, non cristiani vari).
L’apprendimento storico rappresenta una componente centrale nella crescita
dell’Umanità, affinché non si ripetano gli errori passati. Dobbiamo evitare di
concludere, con Aldous Huxley (scrittore di enorme spessore), che gli
insegnamenti della Storia insegnano che gli insegnamenti della Storia non
insegnano niente a nessuno. Forse, se studiamo bene, con serietà, onestà
intellettuale, attenzione, possiamo riuscire a trarre fuori e a imparare la
lezione giusta. L’ignoranza consente ai mostri di risorgere. Da qui la mia
attività di studioso, perché del mondo che lasceremo alle generazioni future si
faranno analisi, e i responsabili di una realtà la quale potrebbe andare allo
sbando non saranno apprezzati. La Storia ci giudicherà, come del resto noi
facciamo con i nostri predecessori. A mio avviso, dobbiamo riscoprire lo
spirito della filosofia greca antica, quella capacità critica incruenta di
dialettica e di crescita del pensiero che il violento Cristianesimo
preilluministico ha assai indebolita. Sulle orme di Simone Weil, e
parallelamente (nella mia lettura) di Orwell, concludo che la Patristica cristiana
ha edificato l’ideologia della Madre di tutti i totalitarismi moderni, vale a
dire della Chiesa. Che una Società occidentale oppressa o condizionata dalla
religio christiana in maniera molto nociva non esista più da tempo non
significa che dobbiamo ignorarla, poiché ciò che non abbiamo imparato a
riconoscere può tornare dalle oscurità del passato. Dobbiamo difendere la
Civiltà umana, in ogni suo singolo componente. Il benessere dell’Umanità passa
dallo Studio e dalle Scienze, con una guida razionale della Filosofia. Nel
consorzio sociale una parte la quale mira a imporre se stessa sull’intero
perpetra un illecito. Tale la colpa del Cristianesimo: aver distrutto un
pluralismo intellettuale e religioso incruento, aver introdotto nella cultura
occidentale un efficiente modello politico-religioso totalitario. Riprendo il
filo dell’“Exhortatio virginitatis” con brani dove si parla di vergini e
vedove: «Non solum virgo, sed etiam mulier innupta cogitat quae sunt Domini.
[...] Nupta enim quaerit viro suo placere, innupta autem Christo. Illa mundi,
haec Christi possessio». Notiamo sempre una radicale dicotomia
corporeità/spiritualità, dove la seconda annulla la prima e tutta la dimensione
fisiologica. Ambrogio dà a tutti coloro desiderosi di reprimere l’attrazione
sessuale questo consiglio: «Mortificate membra vestra tympani modo».
Autopunitevi come se foste un tamburo: questo l’aberrante suggerimento del
santo, istigante all’autolesionismo. Cosicché la pulsione libidica sarebbe
annichilita. La meta: «inter mortuas corporis voluptates solus spiritus
resultare». Morendo, in senso spirituale, figurato, al peccato si può
conseguirla: «Vivetis Deo [...] si non regnet in corpore vestro mortuo ulla
concupiscentia». Il problema del Cristianesimo, sia nei masochisti che nei
sadici, è stato però che il confine fra vita e morte, tra figurato e letterale,
si è mostrato molto sottile, ambiguo, e attraversato da una fascia di violenza
concreta. La mortificazione cristiana del corpo si è rivelata un fenomeno
patologico aberrante il quale non ha escluso gravi forme di autopunizione
(pensiamo ad esempio a tutti quei masochisti partecipanti alla Passione di
Cristo), torture e uccisioni (generalmente mediante quel rogo disintegrante il
corpo, la casa del peccato). L’impresentabile della Patristica, il quale è
organico al Cristianesimo, e non dottrina mal assimilata, non lascia spazio a
una lettura diversa da quella diretta e contestualizzante, non lascia spazio a
una lettura ammorbidente e dolcificante grazie al concetto di “figurato”.
L’“Exhortatio virginitatis” rimane un testo esplicito e chiaro. In esso si
elogia e si apprezza la figlia di Iefte la quale accetta di essere sacrificata
al Dio biblico dal padre in seguito a una di lui promessa mirante a ottenere il
favore divino: «Egregia sane femina, quae sibi nihil reliquit: totum quod
habuit, Deo obtulit; cujus vita institutio disciplinae est». Le donne, poi, per
il Dottore della Chiesa non dovrebbero badare molto, guardando gli uomini,
all’estetica esteriore bensì di più e meglio alla ricchezza interiore: «Non
implicatu capillorum, sicut Petrus docuit, neque in tortis crinibus, aut auro
et margaritis, vel veste pretiosa, ut Paulus asseruit: sed magis interioris
hominis ornamenta feminis requirenda; quoniam ille absconditus cordis homo, qui
est pauper saeculo, ipse est locuples Deo». Un pensiero che, estratto e
spogliato della sua valenza religiosa, trovo condivisibile: non rappresentano
abbigliamento e capelli alla moda valori di primo piano, ma serietà, saggezza,
conoscenza. L’esagerazione della vuota forma non fa l’homo e neanche il vir. Se
infine pensiamo che il Cristianesimo predilige gli evirati, capiamo che qua si
passa dalla padella alla brace. Il testo di Ambrogio in esame costituisce pure
un piccolo campionario di assurdità antifemministe: «Indecorum est virgines
loqui, et varios serere sermones!». Si chiede alle vergini di ridursi a
prefiche quotidiane allo scopo di scacciare il buonumore e l’allegria: «Ne
ipsam quidem liberiorem laetitiam in virginibus decet esse. Quae si non habent
quod fleant, fleant saeculum, fleant lapsus peccantium; etenim quae aliorum
lapsus fleverit, suos cavebit. Fleant postremo vel illa contemplatione, ut hic
flentes, illic accipiant consolationem». Se idee del genere possono lasciare
senza parole gli sprovveduti fedeli di oggi, abituati a una versione 3.0 del
Cristianesimo (la 2.0 nella mia visione storica, va dal Concilio Vaticano II al
canonizzato Paolo VI, esponente di una Chiesa avversa alle leggi su divorzio
civile e aborto sanitario), l’ultima parte dell’“Exhortatio virginitatis”
potrebbe in maniera ulteriore frastornare chi è abituato agli odierni aspetti
festaioli cristiani, ben venuti e graditi, dove tutti quei vecchi dettagli
dottrinali sono scomparsi a beneficio di altre piccole argomentazione di tono
sensato e accettabile (peccato che non sia sempre stato così, e difetto è che
simile “così” i più proiettano con ignoranza sul passato). Gravissima e
pericolosissima quest’affermazione del santo: «Nec infirmitatem ex jejunio et
abstinentia reformides; infirmitas enim gravis sobriam facit animam». Lui ha
proclamato che non si dovrebbero temere
le conseguenze invalidanti del digiuno dal momento che una pesante mancanza di
forze rende l’anima sobria. Ciò rappresenta la promozione della patologia anoressica,
un folle invito a rifiutare il cibo all’esplicito fine di stare male per
mortificare il corpo: irrazionalismo aberrante. Sulla stessa linea si colloca
l’esempio apologetico riportato dal Padre della Chiesa di santa Sotera, vergine
e martire. La quale, vissuta quasi un secolo prima di lui, fu uccisa dai Romani
(femminicidio ovviamente da disapprovare) poiché aveva rifiutato di osservare i
pubblici riti pagani: io penso che farsi ammazzare per questioni di aria fritta
non è da persone intelligenti, ed è “contro Natura”. Al di là del martirio in
sé Ambrogio si compiace del fatto che la giovane si sia fatta sfigurare a colpi
in viso (bisogna comunque valutare quanto nelle agiografie cristiane
corrisponda a verità: per me v’è di inventato a scopi propagandistici,
spronanti al proselitismo e all’imitazione): «[Ea] gaudebat enim dispendio
pulchritudinis periculum integritatis auferri». Reputo un simile exemplum
apologetico negativo nei riguardi soprattutto dei soggetti inclini a forme
nevrotiche e di autolesionismo (vedasi ad esempio santa Caterina da Siena, nel
1970 proclamata Dottore della Chiesa da Paolo VI, seconda donna in assoluto
dopo santa Teresa d’Avila insignita sempre lo stesso anno). È la teologia
evangelica paolina a discriminare le donne (ad esempio in 1 Tm 2,8-15), ed è
Ambrogio a continuare la cosa in un contesto di spiegazione religiosa. Non
possiamo condividere tutti questi insani pensieri, giacché viziati per
irrazionalismo nevrotico; non possiamo gettarli nel dimenticatoio dacché studiarli
ci insegna cosa non fare e come non sbagliare.
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato
“Studi illuministi”
1 Si veda nella
mia monografia Studi illuministi (2024)
la sezione recante il titolo Tanatolatria
del Cristianesimo in Ambrogio vescovo di Milano.
2 Per
approfondire suggerisco un mio scritto: La distopica e criptica nazimisoginia di
Katharine Burdekin, nel mio
saggio Ritorno critico (2024).
3 In vista di un
approfondimento indico una mia monografia: Oscurantismo
e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano (2023).
4 Si veda al
riguardo un mio studio: La Madonna
“pneumatica” e Lenina Crowne, contenuto dentro la mia pubblicazione
intitolata Note di studio (2016).
5 Vedasi il mio
scritto recante il titolo Iside e
Osiride, Cristo e la Madonna contenuto nel mio saggio Note di studio (2016).
[nel seguente link è il segmento 2.3]
6 Condanno con
fermezza l’omofobia. E a tal riguardo invito a leggere un mio studio: Eros e la libido junghiana nel “Simposio”,
nella mia pubblicazione intitolata Note
di critica (2017).
Non voglio essere frainteso neanche sulla questione
dei figli. Ribadisco che non mi sto riferendo ai gay, ma ai cristiani nel
parlare di nevrosi “contro Natura”. Tengo a sottolinearlo perché non sono tanto
favorevole a maternità surrogate e a adozioni di bambini nelle coppie omosex.
Chiarisco in un mio scritto il punto di vista: Ragionamento sopra le adozioni gay, presente nella mia opera Note umanistiche (2020).
Mi dispiacerebbe moltissimo se si prendesse questo
schema analitico applicato al vecchio Cristianesimo per applicarlo agli
omosessuali e attribuirmi idee le quali né possiedo né ho mai sostenuto. Chi
leggerà i due miei testi suggeriti potrà vedere che giudico l’omosessualità
così normale e accettabile da ritenerla una prova dell’esistenza pregressa
dell’anima, e che per una motivazione filosofico-biologica valuto maternità
surrogate e adozioni su citate non conformi al diritto naturale. Tuttavia, nel
momento in cui una Legge dello Stato le consentisse non me ne farei affatto un
problema, dacché prendersi cura di qualcuno non rappresenta un crimen. Crimina
sono altre cose. Da junghiano credo che in materia di prole il modello
biologico di famiglia abbia una “predilezione naturale”, però non giudico
criminale il modello di famiglia omogenitoriale. Il mio orientamento è
liberal-progressista, non sono un oscurantista.
7 Oscurantismo e irrazionalismo del
Cristianesimo in Tertulliano, alle pagg. 20-21.
8 Per
approfondire sopra la vicenda dell’Eden consiglio di leggere questo mio studio
all’interno del mio saggio Considerazioni
letterarie (2014): Antropogonia e
androginia nel Simposio e nella Genesi.
9 In vista
dell’approfondimento suggerisco due mie monografie: Il Medioevo futuro di George Orwell (2015), Da Robert Hugh Benson a George Orwell (2024).