di DANILO CARUSO
“The sound of his horn” è un romanzo
distopico di John William Wall (1910-1989) autore inglese meglio noto come
Sàrban (in lingua parsi il termine indica il conduttore-di-una-carovana). Uscì
nel 1952, quindi subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale e del
Processo di Norimberga, e ha al suo centro narrativo un inquietante quadro
storico immaginario del futuro in cui la Germania nazista ha vinto la guerra. Si
tratta di un testo non lungo, bensì contenuto, tuttavia, specialmente
all’inizio degli anni Cinquanta, dall’enorme potere disturbante. Sarban infatti
mette in evidenza un’esplicita radice sadica dell’ideologia nazista,
responsabile attraverso i suoi attori storici, di gravissimi crimini contro
l’umanità. È chiaro che l’onda emozionale all’epoca della redazione abbia
guidato lo scrittore inglese in un compito di scrittura impegnativo. “The sound
of his horn” lega il tema del sadismo al nazionalsocialismo in maniera diretta,
e ci pone il dominio del suprematismo germanico-ariano in una guisa generale
senza far richiamo preciso alla magna pars dell’antisemitismo (tragica causa
della Shoah). Simile astrazione, sebbene lecita al suo autore in campo narrativo,
distacca dalla concretezza di un fatto storico nevralgico. Comprendo la messa
in evidenza in assoluto di una vocazione sadica, le cui radici a mio avviso
possiedono canali i quali a ritroso nel tempo portano al volontarismo luterano
(poi diventato nietzschiano wille zur macht), all’antisemitismo cristiano in
generale (evolutosi nel razzismo biologico laico), al sadismo specifico di
forme inquisitoriali (protestanti e cattoliche)1. Però come cerco di
dire Sarban ha tralasciato di inserire qualche riferimento all’Olocausto, il
quale secondo me avrebbe reso il romanzo più opportunamente ancorato alla
realtà. Una tale omissione non pregiudica affatto quanto evidenziato da Sarban.
Ma la sua potenza-distopia, a mio modesto avviso, avrebbe avuto bisogno di una
migliore (pasoliniana) connessione storica nel tramutarsi in atto-monito. “The
sound of his horn” mantiene una astrattezza analitica che alla fine mette a
rischio la solidità della facciata statica nel suo costituirsi quale
nazisploitation. Sottolineo e ribadisco che in assoluto la denuncia dal sadismo
operata da Sarban si rivela valida, tuttavia l’architettura dinamica del
romanzo viene fuori con strutture e simboli indifferenziati, i quali così come
si calano ad hoc nel caso del distopico nazismo sarbaniano si potrebbero
altresì calare con pari efficacia in altri contesti sostanziali. I gerarchi
nazisti del romanzo all’esame godono del «diritto al piacere di uccidere»,
organizzano cacce in foresta dove le prede sono esseri umani travestiti da
animali, e si tratta perlopiù di donne. A differenza di Catherine Burdekin2,
Sarban coglie il valore della distinzione tra misoginia e sadismo, però non
calibra con tenuta salda questo sul nazionalsocialismo. Non che ciò che egli
dica sia falso, tutt’altro. “The sound of his horn” mostra il nefando spirito
di un campo di concentramento tedesco, il quale nell’architettura statica
rimane suscettibile di sostituzione. Questa è per me la pecca di simile comunque
pregevole testo. L’abito nazista dei cacciatori e quello delle prede può essere
sostituito facilmente, comportando lo smarrimento dell’apprezzabile iniziativa
letteraria antinazista. A questi sadici cacciatori possiamo per esempio
sostituire i persecutori di streghe e omosessuali, e d’altro canto alla caccia
nazista le sadiche torture e uccisioni dei suddetti. Restiamo sempre nella
cornice di una disturbante e distopica celebrazione del sadismo. Il corno che
suona rappresenta un simbolo profondo, e non suona soltanto in mano nazista. È
il caso qui di ricordare la junghiana distinzione “spirito del tempo / spirito
del profondo”. Nel testo di Sarban a questi due orizzonti corrispondono
l’architettura statica e l’architettura dinamica: qui facciata del caso e
sostanza ideale non formano un sinolo perfetto, bensì indebolito. E torno
indicando un’altra dimostrazione esemplificativa. Lo scrittore inglese Kingsley
Amis nella sua introduzione a un’edizione di “The sound of his horn” dichiara:
«Se i nazisti avessero vinto la guerra ci saremmo attesi di osservare [...] lo
sviluppo metodico del concetto di razza superiore in un’organizzazione feudale,
con una limitata oligarchia di signori enormemente potenti e capricciosi [...]
e un ampio proletariato di schiavi interamente subordinato ai capricci dei loro
padroni». Ciò nell’apprezzamento, cui mi unisco, di Sarban. Però, sulla scia
del mio ragionamento di sopra, mi pare opportuno far notare che una simile
descrizione possa adattarsi altresì alla situazione schiavistica americana
perdurata sino alla guerra civile, o alla successiva fase di costruzione
capitalistica così come ad esempio analizzata da Marcuse. Non è solo Sarban
come vediamo a manifestare la leggerezza dell’astrattezza. Anche il suo
connazionale indulge nel formulario dell’ambiguità statica. Hanno entrambi
perfettamente ragione nelle loro critiche. Tuttavia la nazisploitation di “The
sound of his horn”, a mio modestissimo sentire, avrebbe meritato (perché il
testo è meritevole) un approfondimento sarbaniano in fase creativa, e dunque di
beneficiare di un rafforzamento ideale mediante alcuni innesti di cui ho
segnalato la lacuna. A proposito di assenze e presenze tengo a segnalare la
vistosa eco dei wellsiani time traveller e di “The time machine” in “The sound
of his horn”. Il protagonista di quest’ultimo (Alan Querdilion) si trova a una
serata in compagnia al pari del time traveller, dopo la quale entrambi compiono
un viaggio nel futuro. Al posto dei Morlock ci sono i nazisti. E al posto di
Weena c’è Kit, la quale nel finale rimarrà vittima. Il cannibalismo dei Morlock
rappresenta una forma di sadismo, e sadici sono i cacciatori nazisti. Le prede
di questi ultimi stanno in luogo degli Eloi. Lo schema di sadismo
“preda/predatore”, non dettato da una logica biologica animale istintiva, è lo
stesso in ambedue i contesti accostati: l’umanità si è degradata secondo un
modello (patologico) di de Sade.
NOTE
Questo
scritto fa parte del mio saggio intitolato “Studi illuministi”
1 Simile
mole di argomenti trova una prima sostanza al fine di approfondire in una mia
monografia, la quale fornisce altresì una ricca mappa per poter procedere ad
altre suggerite letture di miei studi sempre alla volta di approfondimenti: Oscurantismo e irrazionalismo del
Cristianesimo in Tertulliano (2023).
2 Si
veda il mio scritto La distopica e
criptica nazimisoginia di Katharine Burdekin contenuto nella mia opera Ritorno
critico (2024).