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lunedì 23 giugno 2025

I PROFILI SADISTI DI LUCIA E GELTRUDE MANZONIANE NEL “FERMO E LUCIA”

di DANILO CARUSO


Il n’y a de délicieux au monde
 que les jouissances despotiques; 
il faut violenter l’objet que l’on désire.

D. A. F. de Sade, “La nouvelle Justine”


Il “Fermo e Lucia” di Alessandro Manzoni (1785-1873) è un romanzo che costituisce il primo stadio (1823) da cui si evolverà la versione ufficiale de “I promessi sposi” (1827), poi di nuovo rivista sotto il profilo linguistico a beneficio della lingua italiana toscaneggiante (1840). Il manoscritto del 1821-23 fu integralmente pubblicato nel 1916 a cura di Giuseppe Lesca dalla Società anonima editrice Francesco Perrella a Napoli. Da tale edizione provengono i pochi brani citati. A me della prima originaria opera qua interessano solo gli aspetti concettuali in quanto la mia analisi predilige i dettagli che più si prestano alla lettura psicanalitica e ideologica. Nel primo tomo del “Fermo e Lucia” si avverte subito un’aria misogina giacché l’autore definisce Lucia Zarella «donnicciuola» e «di una modesta bellezza», lei e la madre «due donnicciuole», definisce inoltre la donna in generale «persona di quel sesso terribile». Io giudico riguardo a «modesta bellezza» che il Manzoni abbia voluto dire proprio che Lucia non fosse molto attraente, e non che fosse dotata di un «ornamento [...] quotidiano» di bellezza disadorna. Lui la sta descrivendo mentre ella indossa l’abito nuziale, e mi pare che abbia affermato che senza di quello (e tutto il correlato matrimoniale) non fosse gran che sotto il profilo estetico. Nelle maniere retoriche della lingua italiana l’aggettivo preposto al sostantivo assolve a un compito assoluto di descrizione (la bellezza di Lucia è modesta), quello posposto circoscrive, differenzia crea un’opposizione di unità (sarebbe stata “la bellezza modesta di Lucia” antitetica alla “bellezza immodesta”: Lucia sarebbe stata bella, ma semplice). L’aggettivo preposto si comporta come un moltiplicatore: rende positivo o negativo in assoluto, in astratto, il moltiplicando senza andare a fare paragoni, confronti. Nel merito strettamente semantico dell’aggettivo usato dal Manzoni va ricordato che questo deriva dal latino “modestus”, a sua volta proveniente dalla radice di “modus” (misura, moderazione, maniera). In italiano “modesto” allorché non funge da predicato di persone, bensì di qualità, possiede il comune significato di “mediocre”. Il Manzoni avrebbe detto di Lucia parafrasando: di una mediocre bellezza. Rimane ovvio che non si può escludere una predicazione aggettivale sopra qualità astratte o fisiche espresse in un sostantivo cui si voglia attribuire “l’esercizio della modestia (traslata coscienza della personale limitata altezza)”. Però se volessimo parlare di un’intelligenza che fa professione di modestia pare meglio dire: un’intelligenza modesta. E non dire: una modesta intelligenza. Perché nell’ultimo caso l’impressione, con l’aggettivo preposto sembra tutta concentrata sulla “mediocrità assoluta in sé”, senza procedere a distinzioni puntuali. Est modus in rebus, ma nel caso di Lucia non est modus in beauty. Costei si mostra una ragazza molto legata alla religione cattolica, ha assorbito il nevrotizzante indottrinamento di base. Agisce e parla consapevole, rassegnata, contenta (?) di stare in serie B nel mondo cristianizzato. Il Manzoni apprezza simile modestia (virtù) e proclama: «Noi amiamo Lucia come cosa rara non dirò nel suo sesso, ma nella specie». Il che si rivela una rinnovata perla di antifemminismo. Ci ha detto che non sembra attraente, ha definito le donne terribili, l’ha chiamata (assieme alla madre) donnicciuola. Quest’ultimo termine è spregiativo: indica in senso lato soggetti volti al pettegolezzo e/o imbelli. Ecco cosa sono le donne agli occhi dell’autore de “I promessi sposi”. Il secondo tomo del “Fermo e Lucia si apre con un ragionamento manzoniano preciso. L’autore disapprova le descrizioni vive e particolareggiate degli amori nelle narrazioni giacché potrebbero stimolare la fantasia e l’interesse non appropriati di uomini di Chiesa. Le disapprova in generale ritenendole fuori luogo nel contesto di una morale comune la quale in queste passaggi letterari vuole attenta alla censura di contenuti apertamente sentimentali ed erotici. Fin qui niente di strano nelle postulazioni di uno scrittore cattolico (di qualsiasi epoca). La stranezza emerge quando incomincia a parlare della Monaca di Monza presso il cui monastero è andata a finire la povera Lucia. Abbiamo già capito che il non essere attraente di costei si addica alle pie donne cattoliche. Mostrarsi donne attraenti costituisce un problema davanti alla dottrina cristiana, in aggiunta alla già più semplice questione di rappresentare porte dell’inferno. Un cappuccino ha accompagnato Lucia e la madre dalla Monaca di Monza e gli ha chiesto di stare nel tragitto a distanza di sicurezza da lui, preoccupato che «si vedesse il padre guardiano con una bella giovane [subito correggendosi;...] con donne per la via». Lucia non si è convertita in bella di colpo, è diventata porta del Diavolo tosto associata alla madre nel «sesso terribile». Nella mente di questo cappuccino l’aggettivo «bella» rimanda al piano semantico di “pericolosa”, non possiede una valenza estetica bensì etica. Simile meccanismo di significanza viene avvalorato dalla condotta narrativa manzoniana che si spende meglio a fondo nella descrizione dell’aspetto della Monaca di Monza. Cito, tralasciando il resto un piccolissimo brano il quale trasuda misoginia: «L’aspetto della Signora, d’una bellezza sbattuta, sfiorita alquanto, e direi quasi un po’ conturbata, ma singolare, poteva mostrare venticinque anni». Il Manzoni ci racconta il cammino di monacazione della Signora costretta dal padre, un Marchese (una eco sadiana?), a seguire un destino religioso. Nella narrazione della giovinezza di lei, contravvenendo in maniera plateale al principio della censura enunciato poco prima, addirittura ci presenta, in guisa che sinceramente disorienta, una Lolita: «A misura ch’ella si avanzava nella puerizia, le sue forme si svolgevano in modo che prometteva una avvenenza non comune agli anni della giovanezza». C’è anche alla vigilia della presa definitiva dei voti il tentativo da parte di costei, dipinta orgogliosa e passionale dal Manzoni, di un approccio amoroso verso un paggio di casa. Meno male che lo scrittore milanese si prefiggeva di non suscitare pensieri inopportuni. Nella dicotomia esistente tra Lucia e la Monaca di Monza l’autore del “Fermo e Lucia” riprende quella sadiana fra Justine e Juliette. Tuttavia inverte alla luce della sua gabbia mentale religiosa l’esito in rapporto al successo. La storia della monacazione di Geltrude costituisce una vicenda di violenza psichica perpetrata dal padre a scapito della figlia: uno scenario sadico celato dietro gli interessi patrimoniali familiari. L’andare-dentro-una-struttura-religiosa accomuna Lucia, Geltrude, Justine. Con la seconda che, facendo da contraltare alla prima, rammenta Juliette. Geltrude è entrata in monastero malvolentieri, forzata, violentata nell’animo. Chi è vittima di abusi porta seco un trauma che può trasformare questa in un soggetto abusatore. Così è accaduto alla Monaca di Monza, di cui il Manzoni ci informa che fosse cosciente di una sua superiore avvenenza rispetto alle altre che la circondavano. Il cruccio di tale privilegio estetico inutile in un luogo di isolamento religioso femminile ha contribuito a inasprirne lo spirito. Perciò, divenuta docente delle fanciulle ospitate per ricevere una formazione educativa, si accanisce sulla loro naturale spontanea giovialità, volendo (a sua volta) praticare una sadica azione. Ma questo tiaso di Geltrude non viene unicamente a vivere nell’oppressione psicologica, e può rovesciarsi, in un meccanismo governato dal bipolarismo, in uno spazio di discussione salottiero dove lei s’immerge e nuota nei discorsi riversati. Simile oscillazione di comportamento di Geltrude appare di evidente natura patologica, e derivante da un mancato equilibrio interiore pregiudicato abbondantemente prima durante la sua vita familiare, la quale contribuì a imprimere in lei la potenza di una psiche tirannica che avrebbe sotterrato quella dell’indifesa e debole fanciulla sconfitta dalle circostanze. Una psiche tirannica venuta fuori in monastero e legittimata dalle sue prerogative di classe sociale alta. Il Manzoni ha affermato di non voler turbare nessuno, però con la Signora ha aperto un romanzo psicologico molto profondo, molto lontano dalle sue declamate direttive. Il convento, il monastero, quali luoghi di trasgressione sono topoi sadiani: la Geltrude manzoniana non vi risulta estranea. Diviene ella infatti l’amante di Egidio, farabutto donnaiolo, abitante attiguo al monastero della Signora. Costei ha accanto a sé due suore al suo servizio, le quali saranno inglobate nel sistema della tresca. Una di loro prima di aderire a suddetto circuito aveva esternato suoi sospetti in merito a carico della Monaca di Monza all’orecchio di una compagna, la quale, sebbene poi rassicurata con la scusa di un presunto errore di valutazione da parte della servitrice, ebbe l’ardire di mal reagire all’incostante tirannica Geltrude minacciando di rivelare quei sospetti all’autorità religiosa. La serva della Signora, secondo il piano convenuto dai quattro con a guida Egidio, uccide la suora che rappresentava un pericolo per loro, e il cadavere dal monastero viene trasportato e seppellito nella confinante proprietà di e da Egidio. La storia di questi scellerati organizzatori di un assassinio, con occultamento del corpo, tinge di tinte oscure e forti questa sezione del romanzo, il quale predilige il dilungarsi in ricche descrizioni dei caratteri negativi. La caccia a Lucia e il suo rapimento, prima fallito dai bravi del nobile spagnolo, poi riuscito sotto l’egida del Conte del Sagrato, cui l’altro si è rivolto ad hoc, a me ricorda un po’ quegli inseguimenti di sadico svago messi in atto in “The sound of his horn” di Sarban1. La povera Lucia in simili momenti del romanzo pare proprio una di quelle vittime travestite da animali alle quali viene data la caccia quasi fossero volpi. Il sadismo velato e soft del “Fermo e Lucia” convive con la misoginia. È lampante la guisa in cui Lucia e Geltrude (Justine e Juliette) vengano indicate quali cause di mali. Le donne sia che si sposino, sia che si facciano monache, sono, in tale quadro manzoniano, possibile origine di sviamento per gli uomini. Fermo vuol unirsi in matrimonio a Lucia, però costei muove l’interesse di Don Rodrigo. Qualcosa di analogo accade col personaggio di Geltrude. Se la Signora non avesse avuto un amante, Lucia sarebbe rimasta nel di lei monastero poiché Egidio, amico del Conte del Sagrato, da questo messo in azione alla volta del rapimento della ragazza, non avrebbe potuto persuadere la Monaca di Monza a farla uscire dalla struttura con l’obiettivo di catturarla. Come si vede le donne sono ianua Diaboli. Le uniche buone sul serio devono navigare nel medesimo canale della Zarella. Il Manzoni ci dice che Lucia mena sempre seco il rosario, e che, prigioniera, calandosi nei panni di una martire cristiana la quale non ha voluto cedere al suo pagano amoroso pretendente, ha rivolto voto alla Madonna di castità purché questa la faccia uscire salva da quella circostanza. Tale si rivela la donna comune ideale del Cattolicesimo manzoniano: colei che rinunzia alla contaminazione sessuale. E, al pari di una rivestita di santità, Lucia riuscirà a mettere in crisi l’animo del suo carceriere, il quale attraverso di ella prenderà miracolosa coscienza delle sue scelleratezze: percorso surreale, acrobatico, alquanto fantastico. Vedo nella giovane promessa sposa il simbolo dell’“anima junghiana” dello scrittore milanese. Il trattamento riservato alla nubenda nei frangenti del rapimento, della prigionia e della liberazione, sotto un profilo psicanalitico dinamico mi ha rievocato l’eutanasia di Mabel Brand in “Lord of the world”. Là, ho spiegato, nel mio pertinente saggio bensoniano2, essere costei il simbolo dell’“anima junghiana” di Monsignor Robert Hugh Benson. Questa in punto di morte riceve la grazia dell’illuminazione divina, e di una conseguente conversione in extremis vitae. Io ho meglio chiarito che si maschera invece il complesso nevrotico il quale assediava l’Io dell’autore inglese. Parallelamente qua col Manzoni notiamo un imbrigliamento psichico della parte di contraltare sessuale, ma senza che si persegua un cammino estremo e irrimediabile. Al Manzoni le donne interessavano, a Benson no: il primo ha potuto frequentarle e sposarsi due volte, il secondo era congelato dentro un voto di castità. Pertanto a differenza di Mabel, Lucia sopravvive. Però lo fa imprigionata nel binario nevrotico manzoniano. Quel voto di castità della sposa promessa sta per un tentativo di “suicidio bensoniano” (mi riferisco alla vicenda della moglie di Oliver Brand, non sto parlando di azione dell’autore inglese). Lucia, anima junghiana manzoniana, si pone sotto scacco (nevrotico) in attesa che un agente nevrotico eviti il matto in maniera inequivocabile: Manzoni non vuol perdere la donna a fine sessuale, Benson non poteva e dunque ha eliminato Mabel. Il voto di castità di Lucia, sentitasi in pericolo, si mostra il frutto di una mente masochista oppressa da un dominante sadico. Fermo, che il Manzoni ha definito «minchione», ritrova in conclusione colei, la sua promessa sposa, la quale io ho ritenuto masochista. Ella oppone alla rinnovata prospettiva nuziale di lui il proprio voto di castità rivolto alla Madonna, di cui sopra. Sarà Padre Cristoforo a scioglierlo e a restituire ai due sposi promessi la strada del matrimonio. Uno sguardo ingenuo direbbe: tutto a posto. Per me, no. Il frate ha compiuto un atto gravemente dissacratorio nel cancellare un impegno (positivo) di peso superiore nei confronti della Vergine, un impegno seguito il quale aveva rimosso quello nei riguardi di Fermo. Il voto di castità di Lucia correlato a ottenimento di miracolo non può essere sciolto senza sacrilegio. V’è più di un motivo teologico per dire che Padre Cristoforo abbia compiuto un atto sacrilego paragonabile alla celebrazione eucaristica tenuta da Padre Jérôme sopra πυγή di Justine. Posso aggiungere, a proposito della maniera in cui il cappuccino ha liberato la masochista Lucia dal suo voto di castità, che così operando l’ha riconsegnata alla sua dimensione di porta del Diavolo. Voglio riportare la chiusura del manoscritto del “Fermo e Lucia”, dove la masochista protagonista ci spiega “le sventure della sua virtù” (culminante, schiacciante analogia Justine/Lucia): «Fermo pigliava sovente piacere a contare le sue avventure, e aggiungeva sempre: “d’allora in poi ho imparato a non mischiarmi a quei che gridano in piazza, a non fare la tal cosa, a guardarmi dalla tal altra”. Lucia però non si trovava appagata di questa morale: le pareva confusamente che qualche cosa le mancasse. A forza di sentir ripetere la stessa canzone, e di pensarvi ad ogni volta, ella disse un giorno a Fermo: “Ed io, che debbo io avere imparato? io non sono andata a cercare i guaj, e i guai sono venuti a cercarmi. Quando tu non volessi dire”, aggiunse ella soavemente sorridendo, “che il mio sproposito sia stato quello di volerti bene e di promettermi a te”. Fermo quella volta rimase impacciato, e Lucia pensandovi ancor meglio conchiuse che le scappate attirano bensì ordinariamente de’ guai: ma che la condotta la più cauta, la più innocente non assicura da quelli; e che quando essi vengono, o per colpa, o senza colpa, la fiducia in Dio gli raddolcisce, e gli rende utili per una vita migliore. Questa conclusione benché trovata da una donnicciuola ci è sembrata così opportuna che abbiamo pensato di proporla come il costrutto morale di tutti gli avvenimenti che abbiamo narrati, e di terminare con essa la nostra storia». Notiamo che sino alla conclusione la bassa opinione patristica sulle donne non abbandoni il Manzoni. Ma poi guardando il destino della sua Lucia (anima junghiana) non posso in extremis sottolineare altra analogia sadiana: le donne servono soprattutto per scopi sessuali, ecco perché Lucia non è finita col farsi suora (o restare nubile).


NOTE

Questo scritto è un estratto del mio saggio intitolato “Sadismo e oscurantismo religioso in Alessandro Manzoni”
 
1 Una mia analisi di questo romanzo, Il nazisadismo di Sarban fra spirito del tempo e spirito del profondo, nella mia pubblicazione Studi illuministi (2024).
https://danilocaruso.blogspot.com/2024/07/il-nazisadismo-di-sarban-fra-spirito.html
 
2 L’apologia dell’irragionevole di Robert Hugh Benson, uscito nel 2017.
https://www.academia.edu/33666516/L_apologia_dell_irragionevole_di_Robert_Hugh_Benson

giovedì 13 marzo 2025

IL XXIX SECOLO DI WALTER BROWNE

di DANILO CARUSO
 
 
People learn in time to love even fossils.
 
Walter Browne, “2894”
 
 
Incuriosito dal titolo di un romanzo di Walter Browne (1856-1911; Inglese, cantante d’opera, autore e critico teatrale, romanziere), ho voluto esaminare il testo: ‘“2894” or The fossil man (A mid-winter night’s dream)’. Mi appassionano le visioni narrative del futuro che altri intellettuali, anche di età passate, e geograficamente in tanti casi lontani da me, hanno formulato sia in forma utopica che distopica. Nel tempo sono divenuto un cultore delle distopie. Nella nostra era, in cui la gente ha molta difficoltà a comprendere gli eventi, la nottola di Minerva non vola forse neanche all’alba. È già immaginario, fantasioso e fantastico il presente di chi non va oltre l’unidimensionalità marcusiana. Mi pare che una parte di esseri umani vivano in una sorta di medioevo tecnologico senza spirito critico, senza approfondire, senza documentarsi sul serio, in balia di imbonitori, a volte non più raffinati dei primi. “2894”, uscito nel 1894 negli USA, immagina un mondo a un millennio di distanza dall’autore. Tale romanzo non è né utopico né distopico. Raffigura un futuro con pregi e difetti. È la scelta dello scrittore di farlo torbido, magmatico, senza puro idealismo, negativo o positivo. Una simile opzione mi ha fatto pensare all’Inconscio collettivo e alla sua attività che mescola insieme tutte le esperienze di coscienza umana. Io sono junghiano, perciò, la mia analisi sarà secondo questo indirizzo. Walter Browne in questo romanzo intravede un sovvertimento del tradizionale avito ruolo dei generi sessuali: nel futuro le donne prenderanno il sopravvento grazie a una superiore intelligenza sopra gli uomini connotati dalla vis. Ma non bisogna andare molto avanti nel tempo per osservare un’ampia fetta di popolazione maschile poco riflessiva e alquanto bestiale. In “2894” il protagonista, Lord Ammonite, mira a sposare una donna di cui è innamorato. Costei nella mia decriptazione analitica testuale rappresenta l’“anima” junghiana ossia la parte psichica interiore di un soggetto maschile contrapposta al proprio complesso dell’Io. Tutta l’esperienza fantascientifica che Lord Ammonite vivrà si scoprirà alla fine del romanzo essere stata un sogno. Questo rappresenta un dettaglio molto importante nella mia ottica, confermante il piano di un’esperienza più legata ai canali della psiche che non alla semplice fantasia creativa. Arthur Schopenhauer già in una sezione di “Parerga und paralipomena” aveva spiegato come la via onirica portasse a qualcosa di misterioso: in parole povere aveva intuito l’esistenza dell’Inconscio assoluto. In “2894” quel mondo a venire descritto proviene da una proiezione dell’Inconscio impersonale rivolta all’Io di chi lo esperisce attraverso l’apertura del canale dell’“anima”. Il protagonista in virtù di ciò raggiunge l’“individuazione” junghiana. In conclusione del testo di Browne si risveglia in possesso di una coscienza spirituale più matura e meglio posata. Quell’unione matrimoniale finale ambita non costituisce nient’altro che la sizigia. Adesso diamo un’occhiata a quella società del 2894, la quale in assoluto, non è né buona né cattiva, giacché l’Inconscio collettivo elabora senza forma morale; per così dire, fa una media, produce un estratto sintetico (in particolar modo l’archetipo). Tocca poi agli esseri umani più saggi rendere quei messaggi giovevoli, quegli avvertimenti efficaci, a beneficio dell’intero consorzio umano (da qui tutte quelle figure istituzionali dell’antichità preposte a interpretare e decodificare i segni del numifico). Sono rimasto un po’ deluso a non vedere nel XXIX secolo diverse tecnologie ormai diffuse ora quali televisori, smartphone, computer. C’è comunque una telefonia la quale assomiglia alla messaggistica istantanea. Nel romanzo Lord Ammonite sogna di essere morto a causa di una globale catastrofe naturale, e che il suo corpo fossilizzato sia scoperto e rianimato da una scienziata discendente della sua amata e identica a lei. Potremmo dire che ciò metta in scena l’uscita dalla “nigredo”. L’umanità del 2894 usufruisce di un’ingegneria genetica che precorre le incubatrici del Brave New World: da componenti animali è possibile produrre esseri umani, viventi però un arco cronologico collegato alla specificità di esistenza media della bestia che ha fornito il materiale biologico. Uno scenario più inquietante dell’universo huxleyano parallelo celebrante l’edonismo prolungato1. Notiamo che Browne associ aspetti distopici a inclinazioni utopiche in un miscuglio che relativizza la bontà di una singola cosa all’uso che se ne fa. Cosicché: il femminismo appare buono laddove elimina la misoginia, ma non dove fa diventare gli uomini il sesso debole; la scienza si rivela positiva nella misura in cui migliora la vita, con ad esempio sistemi di viaggio più efficace, tuttavia si mostra distopica nella suddetta aberrazione biogenetica. Nel 2894 il lavoro manuale è altresì diminuito, a scapito del corpo umano, adeguatosi a una forma di lassismo: non è bene non coltivare le abilità pratiche e manuali; se la società libererà gli uomini dal lavoro manuale, rimarrà comunque utile sapere usare con raffinatezza le mani dedicandosi a un’arte, a un hobby, a un orto, a qualcosa che non renda praticamente inutili. Non si vive di sola teoria: si mostra buono e utile muoversi, e con perizia. Il romanzo di Browne nel suo immaginare il futuro riporta il recupero di un esemplare di indigeno africano allo stadio ottocentesco dell’autore: la regressione procedurale dall’evolutosi del 2894 e la descrizione narrativa di ciò non sono esenti da un’atmosfera di suprematismo bianco, il quale sembra aver indicato la via biologica dominante nel XXIX secolo. Presentare i bianchi quale specie espressione dell’optimum costituisce razzismo, in qualunque epoca e in qualunque posto. Gli Africani deportati nelle Americhe e schiavizzati per secoli rappresentano una pagina di indelebile vergogna per la Società occidentale e per i colonizzatori europei. Le discriminazioni a detrimento dei neri sono perdurate molto a lungo, e pure oggi assistiamo a inauditi gesti di sopraffazione. Tutta questa fenomenologia non ha ricevuto e non riceve il risalto di cui altre godono. Per i crimini contro l’umanità a scapito degli indigeni africani e americani non c’è stata nessuna Norimberga, ma solo presunta esportazione del progresso. Il testo di Walter Browne riesce a risvegliare queste problematiche, di cui fa affiorare la punta dell’iceberg. Le vocazioni quasi transumanistiche del 2894 si manifestano di nuovo nella capacità di estrapolare «the ethereal essence» di un corpo umano, e di imprigionare quest’anima in un supporto materiale. Continuano i discutibili orizzonti distopici della scienza del XXIX secolo, la quale ha conseguito, come visto, il potere di trasferire la coscienza umana dalla sua sede corporea (il che costituisce un sogno transumanistico della nostra epoca del XXI secolo2). La distopia scientista di questo nuovo mondo di Browne si rende evidente allorché tale cosmo, in aggiunta ai peli corporei, ha fatto scomparire l’attività onirica umana non più attiva: qui il segno del transumanesimo si rivela tangibile. Il sogno da funzione di collegamento con l’Inconscio assoluto si è trasferito nella realtà (narrata, narrativa), la quale in ultimo si scoprirà essere un sogno del protagonista letterario del romanzo (esistente a fine dell’Ottocento). Simile esperienza onirica rappresenta un monito dell’Inconscio impersonale a Lord Ammonite stesso, e di riflesso al lettore del libro. Vediamo allora che in “2894” La guerra non è scomparsa, però si combatte alla maniera di una partita a scacchi, dove le unità militari si catturano, ma non si uccidono. Inoltre sulla falsariga del “terzo tempo” del nostro rugby, i contendenti si riuniscono a pranzare in modo conviviale. Anche qui siamo su livelli distopici oscillanti con la dimensione utopica. Nella visione onirica di Lord Ammonite nulla è ben definito in un senso o nell’altro: utopia e distopia si compenetrano. Esiste ancora la pena capitale, tuttavia se una donna sposa il reo riesce a salvarlo dall’esecuzione. Simili assurdità, davanti a un giudizio razionale, interessano da vicino l’umanità. A volte la guerra e gli armamenti vengono dipinti nella veste di strumenti di civiltà, di ordine, di sicurezza. Certamente la Storia insegna che un sufficiente apparato militare può rivelarsi utile nei momenti di crisi, interna o internazionale, però una corsa al riarmo frenetico e irragionevole non è mai stata foriera di prospettive benefiche. Nel nostro tempo, dove le armi di distruzione possiedono un potere infernale, incentivare gare agli armamenti non costituisce saggia decisione. E sebbene “2894” non abbia cancellato la guerra, l’ha resa incruenta. Nel 1894 non esistevano armi nucleari; oggigiorno l’idea di attuare un conflitto con tali moderni mezzi di morte risulta la più infelice di tutte: oltre ai pezzi degli scacchi non resterebbe nemmeno la scacchiera. L’elogio degli armamenti, la corsa all’acquisizione esagerata, non producono la crescita della pacifica convivenza umana. In qualche maniera il XXIX secolo ha disinnescato in toto l’urto violento delle parti, pur mantenendo uno spazio dialettico. Il romanzo di Browne vive nel magmatico equilibrio di un qualcosa che abbisogna di essere raddrizzato meglio. Vi notiamo la possibilità delle transazioni di denaro istantanee su scala globale, il che, forse, più che una intuizione del futuro costituiva un’ambizione della società capitalistica ottocentesca cui appartenne l’autore di “2894”. Il testo in esame rispecchia la forma mentis occidentale della sua epoca di redazione. Ho analizzato questo contraddittorio sistema sociale del XXIX secolo col metro junghiano sino alla fine rintracciando nelle tensioni strutturali un input di sprone da parte dell’Inconscio impersonale alla volta dell’“individuazione” e della crescita interiore. Il popolo degli adoratori del Sole che Lord Ammonite si reca a visitare, nella sua paradossale origine da un gruppo di naufraghi civilizzati del passato, rimasto per generazioni isolato, sembra fare l’encomio dell’armonia con la Natura, un’armonia scevra di sovrastrutture sociali tipiche quali le leggi e la proprietà privata. L’anarchia beata raggiunta da quegli isolani, descritta da quella modernità quale il frutto di un processo degenerativo, al cospetto del protagonista appare invece ottima meta. Gli spunti di riflessione offerti dal testo non mancano: non ultimo il fatto che nel 2894 la Gran Bretagna rischia di essere affondata e sostituita da un’area per la coltivazione di ostriche. Sibilline velate allusioni sembrano aggregarsi a tutto il resto. Qui merita una menzione, in conclusione di analisi, la possibilità che si possano evitare condanne giudiziarie comprando degli alibi ad hoc. Alla fine di tale interessante romanzo, il quale nel suo 2894 trova piacevole ancora (purtroppo) la caccia alla volpe, è il risvegliato Lord Ammonite a riconoscere quella società del XXIX secolo «confounded chimerical Utopia». Quel mondo aveva il medesimo inquietante nome dell’isola descritta da Thomas More nella sua notissima opera cinquecentesca3.
 
 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Novità e ripresentazione”
 
1 Su Brave New World ho scritto un saggio: Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (2015).
 
2 A proposito di transumanesimo segnalo due miei testi di riflessione: Intelligenza artificiale e stupidità naturale e Teologia transumanistica e transgenderista, rispettivamente nelle mie opere Ritorno critico (2024) e Novità e ripresentazione (2025).

https://danilocaruso.blogspot.com/2024/05/intelligenza-artificiale-e-stupidita.html

 
3 A chi volesse proseguire lungo tale filo, indico un mio studio dedicato alla suddetta opera di More pubblicato nella mia monografia Teologia analitica (2020) e intitolato Cristianesimo razionale e nazional-socialismo in Thomas More.

IL PIANETA DELLE SCIMMIE?

di DANILO CARUSO
 
Personalmente non do credito alla teoria evolutiva darwiniana: ma lasciamo per ora da parte i motivi e ammettiamo per ipotesi che sia “vera”. Nella Natura esisterebbe dunque un “meccanismo di adattamento” florofaunistico ai diversi possibili scenari. Una simile generalizzata potenziale dinamica non potrebbe porsi ogni singola volta come frutto del “caso”: l’evoluzione implicherebbe una “legge” formale valida erga omnia. La tendenza al cambiamento richiederebbe il perseguimento di un “fine” secondo presupposti “intelligenti”: modificare qualcosa “in vista di” uno status migliore rispetta un progetto logico-metafisico, viceversa ciò non accadrebbe a livello di specie. Dov’è quel minimo comun denominatore modificatore se non in qualcosa di paragonabile a un archetipo astratto? Del resto, ad esempio, nessuna legge fisica è incorporata essenzialmente del tutto nel particolare (sarebbe da considerarsi “sostanza seconda”). Anche il concetto di estinzione richiede una considerazione non accidentale: innanzitutto l’evoluzione non avrebbe sempre successo; non sempre tutto si adeguerebbe, e in quanto legge non sarebbe così costante, rapida ed efficace. D’altro canto se volessimo vedere tale cosa da una prospettiva opposta al difetto, potremmo ammettere che l’estinzione sia ancora un “processo intelligente” previsto dal corso delle cose: chi non si adatta perisce; ma questa sarebbe l’altra facciata di una legge quadro super omnia. Alla fine si potrebbe concludere che se ci fosse un principio evoluzionistico sarebbe stabilito da un’intelligenza metafisica in un’ottica teleologica: e per rendere il concetto richiamo l’idealismo assoluto hegeliano, il quale dal momento tetico astratto passa al negativo razionale, dall’Idea alla Natura; ma si potrebbero altresì ricordare le platoniche Idee col loro rapporto di mimesi e metessi nei confronti del mondo materiale. La teoria di Darwin impone alla Natura un fondo di metafisica razionalità introducendovi una “teleologia”: la sopravvivenza del migliore. Se sul serio alcuni si estinguessero, allora altri apparirebbero “predestinati”, e tutto ciò non per caso: dal “caso” non si potrebbe astrarre una legge formale stabilente i criteri dell’evoluzionismo darwiniano giacché la confusione non è traducibile in base a una norma chiave. Perciò Darwin avrebbe costruito una teoria contraddittoria, che farebbe a pugni con se stessa, cercando di spiegare la Natura e la materia prescindendo in maniera corretta da un progetto logico a priori: in parole povere ha messo in secondo piano il tetico-logico deducendolo dal concreto (presunto a suo modo), ritornando concettualmente alle difficoltà del materialismo antico. L’“intelligenza” e l’“ordine naturale” non sono in maniera facile spiegabili attraverso l’anarchia degli atomi. Infine voglio sottolineare un dettaglio: se gli esseri umani derivano dalle scimmie, perché queste non si sono estinte? Dovrebbero costituire l’umano di partenza, mentre sarebbero scomparsi solo ominidi intermedi: a stretto rigore evolutivo darwiniano non dovrebbero esserci più scimmie. Invece ce ne sono specie “in teoria” sopravvissute: quindi o l’evoluzione alla volta della forma umana non sarebbe stata necessaria (gli uomini potevano tranquillamente rimanere a quello stadio animale), o la teoria evoluzionistica non riguarderebbe l’umanità, oppure sarebbe una teoria in toto sbagliata (non esisterebbero vistosi e diffusi cambiamenti in generale nell’ambito del la Natura).
 
 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Novità e ripresentazione”

martedì 4 marzo 2025

OMBRE DISTOPICHE E LUCI DI REALTÀ NEL “MANIFESTO SCUM”

di DANILO CARUSO

La mia lettura del “Manifesto SCUM” (1967) di Valerie Solanas (1936-1988), discussa intellettuale femminista americana, ha prospettato l’occasione di rilevare aspetti di pensiero prossimi ai miei, e di poter dunque formulare considerazioni critiche in tal direzione, al fine di evidenziare meglio e con precisione tangenze e differenze. L’autrice di questo testo analizzato è una sostenitrice del femminismo, come me. Questo non vuol dire però che io mi allinei in maniera automatica, senza esprimere, allorché reputi giusto, obiezioni, alla posizione di ciascuna pensatrice femminista. Sebbene giudichi di enorme spessore alcune spiegazioni del “Manifesto SCUM”, non posso di certo condividere l’aspirazione al genocidio degli uomini espresso proprio nell’incipit, dove si auspica una gilmaniana herland in salsa transumanistica. Bocciata con fermezza l’innaturale ambizione di soppressione del sesso maschile, posso cominciare a indicare contenuti dello scritto in esame i quali mi sono più che vicini nel momento in cui si scartano come una caramella buttando via quel rivestimento protettivo così astioso ed estremista. Una cosa che ho notato subito proviene dal ribaltamento della cristiana valutazione patristico-scolastica a proposito della donna. Tommaso d’Aquino dice nella “Summa theologiae”: «Quod sexus masculinus est nobilior quam femineus, ideo humanam naturam in masculino sexu assumpsit [filius Dei]»1. Valerie Solanas nega la superiorità del sexus masculinus, e afferma: «Essere maschio equivale a essere difettoso, emotivamente limitato; la mascolinità è affetta da deficit e i maschi sono emotivi zoppi». Io sono junghiano e comprendo che ciò possa essere possibile, diffuso, anche se non accetto la sottolineatura della scrittrice americana in funzione di rilevamento ontologico. Lei ci fa notare dei gravissimi difetti degli uomini, ma non significa che questi siano strutturali. Per me sono indotti dal sistema sociale e familiare di crescita e formazione. Agli occhi di Valerie Solanas indubbiamente simile concorso c’è, però più come ritorno di un riflesso naturale. Io voglio credere che la Natura dia a ciascun essere umano alla nascita capacità di base uguali, poi magari non sviluppate a causa di un motivo o di un altro. Che siano di più i maschi a perdere la retta via, potrei dirlo pure io vedendo l’andamento del mondo. La guerra a me sembra un prodotto quasi del tutto maschile. Comunque riprendiamo il filo del “Manifesto SCUM” perché vorrei fare osservare il modo in cui sin da subito Valerie Solanas si è mostrata vicinissima alle mie idee psicanalitiche2. Io in passato ho diviso, sotto un profilo categoriale, gli esseri umani in due tipi in relazione al grado di maturità libidica. Ho denominato il primo gruppo i “freudiani”, poiché costoro agiscono sulla spinta pulsionale più animale, dove le pulsioni elementari e basilari sono fari spettrali arginati dal “principio di realtà”: per comprendere le problematiche di costoro basta la concezione psicanalitica della libido di Freud. Tuttavia i “freudiani” non sono gli unici tipi umani, ve ne sono di più maturi. Questi io chiamo “junghiani”, e a loro bisogna applicare la psicologia analitica di Jung. Non che questa non valga pure per gli altri su menzionati, però ogni tipologia umana – nella mia visione – possiede quel livello di evoluzione spirituale, libidica, il quale pone ogni individuo (uomo e donna) su uno scalino più in alto o più in basso a seconda del suo essere in atto. A mio avviso l’autrice del “Manifesto SCUM” ha colto la presenza nella maggioranza degli uomini di una libido freudiana, e ha generalizzato in assoluto, in direzione estremistica. Non aver colto la possibilità di tipi “junghiani” maschili, secondo me, è stato un errore nevralgico di Valerie Solanas: esistono, sebbene in minoranza, uomini non del tutto presi dalle pulsioni freudiane, i quali hanno raggiunto un orizzonte libidico logico-creativo. Allo scopo di rendere meglio l’idea di opposizione tra “freudiani” e “junghiani” richiamo la dicotomia frommiana “avere/essere”. La pensatrice americana ha ragione a dire che gli uomini “freudiani” non sono razionali e sono sudditi delle pulsioni libidiche primordiali. Non le si può muovere nessun appunto in merito a ciò. Persino quando li definisce – nel migliore dei casi – «una noia totale». Me ne sono accorto – con grande rammarico – pure io. Se l’amicizia, come dice Cicerone, risulta una sorta di solidarietà di specie, passare tempo coi “freudiani”, connotati dal diffuso attributo della chiusura mentale (non è affatto una questione di acculturazione), si rivela fra le più sgradevoli perdite di tempo3. Tra me e me pensavo, a proposito della mia dicotomia tipologica libidica, parafrasando un po’ Aristotele, un po’ Orwell, che gli esseri umani sono animali razionali, tuttavia alcuni sono più animali degli altri. La mia elegante ironia intellettuale viene superata dalla crudezza di Valerie Solanas. Davanti a lei gli uomini, concettualmente equivalenti alla mia più lucida categoria dei “freudiani”, si mostrano essere qualcosa di intermedio «tra la creatura umana e la scimmia». Se da un lato non posso e non voglio sostenere lo sterminio fisico di simili persone, in seguito a ovvie ragioni umanitarie, dall’altro non mi è possibile replicare che l’autrice del “Manifesto SCUM” abbia asserito qualcosa senza né capo né coda. Io rispetto l’umanità nei miei simili, in qualunque grado libidico. L’impegno di una coscienza filosofica dev’essere quello di spronare gli altri a crescere, non di abbattere i diversi. Il mondo si rivela vario; mi sembra il caso di dargli un ordine più sano, più giusto, più buono. E fra le cose che non vanno v’è un maschilismo più o meno femminicida, un maschilismo il quale a mio modo di valutare si è tramandato sin a oggi all’interno della società occidentale, silenziosamente, grazie alla sedimentazione inconscia della misoginia cristiana4. Quanto ho appena detto pare non essere poi neanche un mistero per Valerie Solanas, la quale, forse in maniera inconsapevole, polemizza con Kierkegaard5. Al cospetto del teologo danese gli uomini hanno il loro baricentro mentale dentro la propria persona, mentre le donne lo proiettano sull’esterno. Per la mentalità kierkegaardiana la prima cosa si rivela un pregio, la seconda un deficit. L’autrice del “Manifesto SCUM” ripropone il quadro del Danese, ma ne ribalta i valori: l’egocentrismo maschile si mostra il difetto, la proiezione (agapica) femminile il merito. Personalmente non sento di dover difendere la convinzione del pensatore religioso protestante. Allorché Valerie Solanas sostiene, da un punto di vista biologico, che «il maschio è una femmina incompleta» sovverte una lunga linea temporale misogina che attraversa punti quali Aristotele (il campione filosofico del Cattolicesimo) e Freud (teorizzatore del femminile “complesso di castrazione”). La pensatrice americana inverte i ruoli tramandati e sostiene che «definire animale un uomo vuol dire adularlo; lui è una macchina, un walking dildo. [...] Le donne, in altre parole, non hanno penis envy; gli uomini hanno pussy envy». A seguire fa rilevare alcuni aspetti meritevoli di un consono approfondimento. Ricorda che gli uomini (i “freudiani”) sono kierkegaardiani seduttori in pectore, e che tale vocazione sia l’espressione di una inconscia voglia transgenderista. La manchevolezza ontologica del femminile posseduta dal maschio lo spingerebbe a erigere un firewall: «Scopare [«screwing», variante di “fucking”] rappresenta, in relazione a un uomo, una difesa contro il suo desiderio di essere una femmina». Valerie Solanas ha altresì chiarito che l’uomo nel suo essere deficitario cerca comunque di imitare le donne nella di queste proiezione interpersonale esteriore dove abitano i più nobili valori contrapposti all’egoismo. Le donne sarebbero peraltro vittime dell’effetto di ritorno di suddetto colpo di mano, il quale rovescerebbe su di queste la negatività di condotte maschili riadattate in un misogino immaginario al femminile. In simili osservazioni dell’autrice c’è un fondo di verità, il quale io miro a ispezionare con una lente di ingrandimento junghiana. Valerie Solanas ha affermato che all’uomo manca la dimensione femminile. Secondo me ella ha avuto una forte intuizione junghiana, solo che si è fermata alla superficie della questione non oltrepassando lo stretto schema biologico naturale. Io vedo questa carenza negli uomini “freudiani” nella veste di mancato collegamento da parte dell’Io con la controparte psichica junghiana dell’“anima”. Ecco l’origine di tutti gli squilibri maschili evidenziati dall’autrice del “Manifesto SCUM”: il blocco del “processo di individuazione”. Nel caso contrario viene fuori un’armonia interiore. Il che, quantunque non la cosa comune, testimonia la guisa in cui la scrittrice americana sbaglia a generalizzare il suo anatema a scapito di ogni uomo. Lei ha ampi tratti di ragione, però esistono imprecisioni estensive e intensive non trascurabili, le quali sono foriere di un estremismo non condivisibile. La mia analisi non si prefigge di ripercorrere punto per punto le enunciazioni del “Manifesto SCUM”, bensì di indicare ombre e luci in rapporto ai miei interessi di studio e al mio pensiero. Così, ad esempio, trovo molto degno di nota il richiamo di Valerie Solanas a una liberazione del tempo umano dal lavoro produttivo e industriale attraverso l’uso di tecnologie sostitutive della massa dei lavoratori6. Una cosa di cui ella però non ignora le conseguenze immediate: gli uomini (i “freudiani” puntualizzo io) piomberebbero prigionieri della loro aridità interiore, improduttiva e sterile, da cui distrazione era il compito professionale, lavorativo, in precedenza svolto. Questo deserto dello spirito ingabbiato dal potere della retribuzione pecuniaria e dalla sottrazione di tempo libero causerebbe una catastrofe mentale in simili vuoti individui (incapaci da sé di una elevazione “junghiana”). Aggiungo io quello che per me farebbe la libido freudiana non sottoposta alla servitù del lavoro. E per renderlo evidente ricordo l’esperimento condotto dall’etologo John Calhoun, denominato UNIVERSO 25, dove gruppi di topi messi nelle migliori condizioni di sopravvivenza culminano dopo fasi degenerative in un destino di estinzione7. In parole povere i “freudiani” possiedono una natura autodistruttiva, e Valerie Solanas lo ha capito. A beneficio delle donne chiede la soppressione del modello sociale fondato sul lavoro retribuito, giacché l’uguaglianza di trattamento all’interno di questo protrarrebbe la condizione del disagio femminile (ossia degli “junghiani” capaci di gestire al meglio il loro tempo libero). Inoltre la scrittrice sottolinea come i soldi siano uno strumento maschilistico di potere. Anch’io ho parlato, in generale, anni addietro della facoltà del denaro di tramutare in una specie di divinità il capitalista in quanto i soldi sono certificati di tempo condensato nel senso che consentono di ottenere ciò che si vuole in maniera più rapida quanti più se ne hanno in luogo di dover lavorare a lungo al fine di ottenerli in previsione di una determinata acquisizione8. La vita espropriata del lavoratore così dura un giorno, mentre chi ha accumulato denaro potrebbe vivere, nel paragone, mille anni di libertà. Valerie Solanas ha chiara questa situazione, perciò non accetta la par condicio lavorativa fra i sessi, dacché aggiunge schiavitù a schiavitù. Nel “Manifesto SCUM” il rilevamento che la “famiglia borghese”, di stampo maschilista, abbia ridotto l’essenza femminile alla sua funzione materna contesta qualcosa di ormai accertato che i nuovi tempi hanno criticato in vario modo: l’uomo eterosessuale borghese donnaiolo e padre di famiglia era un’icona antiLGBT. Oggigiorno quell’appiattimento di matrice veteroreligiosa cristiana è stato cancellato di parecchio. L’ortodossia borghese stessa si è aperta verso qualcosa ancora di non ben definito. Non è priva di sale la seguente affermazione di Valerie Solanas: «Non v’è ragione perché una società composta di esseri razionali in grado di empatizzare inter se, completi e privi di un naturale motivo di competere, dovrebbe avere un governo, leggi o leader». Non sono mai stato simpatizzante di aspirazioni anarchiche, però, d’altro canto, non me la sento di scartare l’ipotesi in virtù di cui una società senza “freudiani”, composta di soli “junghiani” individuati, possa sopravvivere con una rete organizzativa ridottissima, funzionale al soddisfacimento dei bisogni naturali e non alla repressione di crimini. Potrebbe, per me, darsi che la disonestà, la brama, l’invidia, la violenza, siano tendenzialmente e soprattutto “freudiane”. Uno stato razionale di Natura non dovrebbe avere, altresì, nevrosi di alcun tipo, poiché ognuno vivrebbe in armonia, libero e soddisfatto, con tutto il resto. Il “Manifesto SCUM” prospetta qualcosa del genere, che superi le sovrastrutture maschilistiche di potere e di pensiero. Abbiamo visto che la dicotomia radicale del testo analizzato risulta essere “maschile/femminile”. Ho detto che la considero valida se sviluppata in direzione archetipica junghiana, operazione non compiuta da Valerie Solanas, cui riconosco grandi capacità di analisi accanto a questi da me considerati limiti non da poco. Quella coppia oppositiva “maschile/femminile” in tal modo può concettualmente riversarsi nella mia dicotomia “freudiani/junghiani”. Alla luce di quanto ribadito si potrà leggere questi brani del “Manifesto SCUM”, interpretandoli mediante la chiave di lettura del mio pensiero allo scopo di capire la guisa in cui essi dicano delle verità eclatanti, inossidabili, cristalline: «L’amore non è dipendenza o sesso, ma amicizia, e perciò, l’amore non può esistere tra due maschi, tra un maschio e una femmina o tra due femmine, uno o ambo di chi è un irragionevole, insicuro, fa il mezzano al maschio; come la conversazione, l’amore può esistere soltanto tra due soggetti femminili sicuri, autonomi, indipendenti, dacché l’amicizia è basata sopra il rispetto, non sul disprezzo. [...] L’amore non può fiorire dentro una società fondata sui soldi e sul lavoro senza motivo: esso richiede completa libertà economica così come personale, tempo a disposizione e l’opportunità di impegnarsi in attività intensamente coinvolgenti, emotivamente soddisfacenti le quali, nel momento in cui condivise con quelli che ti rispettano, conducono all’amicizia profonda. La nostra “società” non fornisce in pratica nessuna opportunità di impegnarsi in tali attività». L’errore di Valerie Solanas – ripeto – è stato quello di rimanere impantanata sopra una superficie fisiologica dei sessi: non tutti gli uomini sono da buttare, non tutte le donne sono esenti da pecche. Se ci sono nel mondo elementi umani negativi non si deve però affatto procedere alla loro soppressione, come suggerito dalla pensatrice americana. Bisogna correggere e educare meglio, mirando a conseguire la scomparsa di discriminazioni e reati, non la disintegrazione dei loro artefici. Al di là di questi limiti concettuali, molto distorcenti secondo me nell’obiettivo di ottenere la più nitida comprensione, il “Manifesto SCUM”, nella mia emendante lettura filojunghiana, continua a proporre contenuti e osservazioni molto significativi e profondi. I “maschi (Solanas) / freudiani (Caruso)” sono «insipid [insipidi, sciocchi, insulsi]»; chi appartiene a questa categoria «non avendo niente in interiore non ha niente da dire». Si rivela osservabile che, come rimarca la pensatrice americana, certe pseudoculture e pseudoacculturazioni producano amorfi pupazzi e figuri, i quali sono vuoti ripetitori di un’ortodossia ideologica la quale piega una massa di soggetti acritici ad assorbire e rispecchiare la sua vulgata. Sono d’accordo con Valerie Solanas sul fatto che Arte e Cultura debbano configurarsi quali divertimenti e non come strumenti manipolatori. E non trascuriamo che ciò è un’affermazione perfettamente junghiana: la libido non è solo pulsione sessuale o pulsione di soddisfacimento di altri fisiologici bisogni. La stessa violenza, ci dice il “Manifesto SCUM”, si mostra ingiustificata e ingiustificabile da parte dell’essere umano perché rappresenta un risvolto di frustrazione, una manifestazione libidica inaccettabile in un soggetto razionale che non sia regredito all’animalità pervadente. L’esercizio della sessualità, dal canto suo, non costituisce il top offerto dalla libido: è tipico del regno animale non umano, ma nessuna bestia ha mai scritto un libro o creato un’opera d’arte. Nei maschi (freudiani) Valerie Solanas sostiene, in maniera corretta, che ci sia un’opinione bestiale predominante, e infatti parla del «maschio il cui ego consiste nel suo cock» (nulla di più esatto – credo – si potrebbe dire dei freudiani uomini). Non che si debba abbandonare naturalmente il congresso carnale, tuttavia la più elevata manifestazione libidica si rintraccia nella creatività intellettuale. I “freudiani” vivono soltanto la parte bassa della libido; la dimensione animale direbbe l’autrice del “Manifesto SCUM”, in un travaglio interno il quale sul serio opera sacrifici e fatica alla volta di tenere in piedi il “principio di realtà”. Da qui nevrosi, violenza, etc. Gli “junghiani” (le donne in Solanas) patiscono la dittatura dei primi, una tirannia della maggioranza (Alexis de Tocqueville, John Stuart Mill). Il congresso carnale assume un compito essenziale nella riproduzione della specie umana e nella costruzione della famiglia (la quale, assieme allo Stato, costituisce ai miei occhi una società naturale), eppure, al di là di ciò, nella considerazione biologica, in sé non rappresenta qualcosa di molto spirituale; da un punto di vista umano, differente da una valutazione formulata all’interno di un’area che raccoglie tutto il resto del genere animale naturale, esso rimane in generale un’apprezzabile attività ricreativa. Il “Manifesto SCUM” evidenzia una gerarchia libidica di stampo junghiano, però smarrendosi in herland: mi sono preso l’incarico di tirarlo fuori da simile selva correggendone i ritenuti distorsivi sbagli concettuali di fondo (sempre ovviamente operando dalla mia ottica). In ogni caso non posso far a meno di dare ragione ancora una volta a Valerie Solanas quando rammenta il modello maschile dell’infido cagnolino delle donne, testimoniante l’insensatezza logica di chi vive la dimensione libidica maschile in maniera parziale. L’ultimo segmento presentato nel “Manifesto SCUM” espone un progetto distopico già in precedenza proclamato: cancellare il genere maschile dalla faccia della Terra. Esso costituisce un proposito irrazionale, innaturale, non avallabile. Se Valerie Solanas ha esposto altre idee, le quali in qualche modo sono riuscito a salvare, qua debbo esternare la mia netta contrarietà, ma non in quanto uomo eterosessuale cisgender, ma in quanto ζῷον λόγον ἔχων. Non posso per niente simpatizzare a favore di una involuzione in direzione della distopia quantunque femminista. Nel momento in cui qualsiasi buon motivo perde la bussola del Logos e si spinge a reclamare le sue ragioni patrocinando l’uso della violenza, di pratiche discriminatorie, di forme totalitarie, non è ammissibile accodarsi ai sostenitori di catastrofi. Simile aggressivo estremismo è da bocciare e stigmatizzare. Valerie Solanas, purtroppo, lo ha perseguito in concreto in un per fortuna tentato, in quanto fallito, omicidio plurimo: Andy Warhol e Mario Amaya feriti da colpi di pistola nel 1968 riuscirono a salvarsi. Quell’atto lesivo sembra essere stato animato da misandria e paranoia. Allorché si toccano simili punte di deviazione dal lecito uso della volontà ogni rivendicazione legittima si macchia in maniera indelebile. Non possiamo omettere di rilevare diversi tratti distopici nel “Manifesto SCUM”. Se in un Vangelo apocrifo il Messia dichiarò che in Cielo non sarebbero entrate le donne se non trasformate in uomini, Valerie Solanas afferma il contrario in relazione alla fase di transizione verso herland: alla volta di un orizzonte transumanistico i maschi dovrebbero assumere una integrale vocazione transgender. La pensatrice americana inoltre prospetta, nel contesto dell’eliminazione del genere maschile, di far proseguire l’esclusiva specie umana femminile con inseminazioni mirate delle donne: qualcosa in stile Brave New World9. Simili distopici auspici non possono che farmi esprimere una netta disapprovazione di tali desideri. Il “Manifesto SCUM” nella mia visione critica, rappresenta il nodo che unisce due fili provenienti da “Herland” di Charlotte Perkins Gilman e “The power” di Naomi Alderman10. Si tratta di due romanzi, per me entrambi distopici, i quali, in virtù da parte del primo dell’essere stato concepito quale una utopia, stanno fra di loro come una sorta di tesi e antitesi, momento hegeliano che trova una sua sintesi nel “Manifesto SCUM”. La distopia di Naomi Alderman disinnesca questo femminismo deviato, eversivo, violento. Valerie Solanas ha studiato psicologia, e ha avuto fortissime intuizioni le quali, purtroppo, secondo la mia impostazione analitica, ha spinto in una direzione sbagliata. Se ripartiamo dalla sua stazione e non abbandoniamo il binario della Ratio, giudico che quel pensiero possa esprimere un prodotto meritevole di scientifica attenzione e non di esclusiva censura. Le traversie esistenziali di Valerie Solanas hanno avuto un indubbio peso, e a esse addebito il demerito di aver alimentato l’estremismo della pensatrice americana.

 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Novità e ripresentazione”
 
1 Nella mia monografia Teologia analitica (2020) si trova un segmento intitolato L’irrazionale misoginia tomista che consiglio di leggere a chi vuol approfondire.
 
2 Riguardo a esse indico, sulla strada dell’approfondimento, un mio testo: Le implicazioni filosofico-politiche del mio schema psicanalitico, nella mia opera Storia e pensiero (2023).
 
3 Piuttosto senechiana la mia valutazione. Pertanto colgo l’occasione di segnalare un pertinente mio studio a chi volesse andare oltre: Il severo monito di Seneca, nella mia pubblicazione Critica letteraria (2017).
 
4 Indico, in rapporto al tema, una mia analisi, la quale riporta nelle note ulteriori rimandi ad altri miei scritti in merito. Detto studio è una sezione della mia monografia Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano (2023), una parte dedicata al De cultu feminarum (pagg. 8-17).
 
5 Del pensiero kierkegaardiano ho discusso in un esame critico all’interno del quale ho pure trattato della mia dicotomia “freudiani/junghiani”. Si trova nel mio saggio Filosofie sadiche (2021) e reca il titolo L’irrazionalismo nevrotico di Kierkegaard.
 
6 Questo tema è stato toccato da un romanzo utopico americano il quale è stato oggetto di una mia analisi. Non reputo fuori luogo indicarla a chi volesse condurre approfondimenti tematici: La libertaria critica al capitalismo selvaggio di Robert Anson Heinlein, nella mia pubblicazione intitolata Distopie occidentali (2023).
 
7 UNIVERSO 25 è stato un esperimento significativo rivelante un’affinità con la mia filosofia della distopica storia futura, in particolar modo presso gli ultimi tre gradini temporali (“Brave New World”, “sadismo” e “mondo di Eloi e Morlock”) dove alcuni aspetti dell’esperienza registrata dall’americano Calhoun si mostrano confacenti: disgregazione degli schemi relazionali canonici, pansessualità, violenza, cannibalismo. Per chi volesse saperne di più sulla mia psicostoria riporto il prospetto sinottico e l’elenco dei miei pertinenti scritti.
 

 
1) Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (saggio del 2015);
 
2) La terribile distopia di H. G. Wells in Critica letteraria (2017);
 
3) La tanatolatria di de Sade in Filosofie sadiche (2021);
 
4) Una distopica ginoide contro la mantide religiosa, Sex doll prima del Brave New World, Tra Primavera Bobinski e la sadista Justine, Attacco all’inconscio collettivo in Letteratura e psicostoria (2022);
 
5) Induismo e Occidente in Partita a scacchi (2022);
 
6) La distopia della sciocchezza dei fratelli Strugatzky in Distopie occidentali (2023);
 
7) Intelligenza artificiale e stupidità naturale in Ritorno critico (2024).
 
8 Per approfondire il discorso suggerisco la lettura dentro la mia opera Critica dell’irrazionalismo occidentale (2016) della parte recante il titolo Il gioco capitalista degli Elohiym falsi e bugiardi.
 
9 Al celeberrimo romanzo huxleyano ho dedicato una monografia: Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (2015).
 
10 Tali testi sono stati materie di miei studi. Ne sono scaturiti due scritti: Il femminismo distopico di “Herland” e La complessa distopia di Naomi Alderman, rispettivamente nelle mie opere Letteratura e psicostoria (2022) e Prospettive rinnovate (2023).

https://danilocaruso.blogspot.com/2022/01/il-femminismo-distopico-di-herland.html

https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/la-complessa-distopia-di-naomi-alderman.html

venerdì 14 febbraio 2025

TEOLOGIA TRANSUMANISTICA E TRANSGENDERISTA

di DANILO CARUSO
 
Talvolta mi è capitato qua e là di ascoltare o leggere dei richiami fondati sulla dottrina cristiana messa in contrapposizione alle ideologie e alle teorie transumanistiche e transgenderiste. Dopo anni di studio e analisi dell’universo giudaicocristiano ruotante attorno alla “Bibbia” non ho più molta difficoltà a cogliere al volo delle per me stonature di cui i sostenitori religiosi giudico non si rendano conto giacché rimasti, a quanto mi sembra, ancorati a un asciutto piano catechistico. Io ho esaminato negli originali ebraici e greci brani biblici cui alle volte qualcuno si appella. Un exemplum che mi pare clamoroso deriva dall’anteposizione operata dai fautori della fede (ritenuta da loro qualcosa di solido) della credenza che il Dio biblico abbia creato esclusivamente due generi sessuali (il maschile e il femminile). Non è così. Nel relativo testo in lingua ebraica si può leggere (e quindi tradurre in maniera migliore) che quando Dio produsse gli esseri umani li fece androgini e non maschio e femmina separati. In un secondo tempo tagliò l’androgino Adamo isolandone la “fiancata” femminile in Eva1. La “Bibbia” racconta, più in breve, il parallelo ragionamento platonico nel “Simposio”2. Come se questo non bastasse già a introdurre un orizzonte teologico transgenerista nella Sacra Scrittura postulante tre generi, il canonico evangelico Gesù Cristo fa l’apologia degli evirati di loro iniziativa a religioso scopo salvifico3. Mentre in quest’ultima circostanza il genere sessuale maschile patisce nel quadro teologico la sua cancellazione in seguito a motivazione generante una specie di privilegiato, in ottica paradisiaca, genere 0, il Messia in un Vangelo apocrifo proclama che le donne non entreranno in cielo a meno che non siano trasformate in maschi. La materia transumanistica/transgenderista si mostra, come vedremo meglio, religiosa. Tant’è che io reputo possibile la derivazione di posizioni moderne dall’humus della religione, una base di cui forse s’è smarrita consapevolezza. Le avveniristiche tendenze del GNR (genetica, nanotecnologia, robotica) disvelano una sorta di tensione fideistico-scientifica, dove non è la scienza da sé a elevarsi a religione, bensì il contrario: la scienza viene invasa da ideali religiosi (in primis quello supremo dell’immortalità). Il discorso biblico inerente ai generi sessuali umani torna ancora attuale nelle mie sottolineature laddove in ebraico si afferma che l’uomo e la donna nel congresso carnale diverranno non una sola carne, ma la carne primigenia, ossia quell’androgino che poco sopra rammentavo4. Perciò nella “Bibbia” in un modo o nell’altro, il “maschile” e il “femminile” sembrano transitori, appesi tra estremi i quali non ne indicano affatto una dimensione di eccellenza ontologica. Tutt’altro. Noè maledisse il figlio che lo vide nudo, cioè difettoso, in quanto non più essere integro androgino. L’androginia, vale a dire il ricongiungimento dei due distinti generi, è l’ideale antropologico perduto nel Vecchio Testamento. L’asessualità (la cancellazione di una puntualizzazione di identità sessuale) costituisce la meta neotestamentaria (disprezzato il genere femminile, un po’ meno quello maschile; ritengo che Gesù abbia detto di non dare le cose sante alle cagne; molto probabilmente quel dativo in greco, «τοῖς κυσίν», è femminile5). In generale nei due Testamenti notiamo proprio una propensione transgenerista (verso l’androgino; o il genere 0, che sarebbe quello degli angeli), un tendere verso un piano trans (il quale viene riproposto nella modernità in forme più legate alla specificità individuale e non proiettate alla volta di una riparazione ideale superiore). Stando al mio punto di vista razionalista spiritualista, superficialmente si vorrebbe criticare da parte di alcuni (in ogni caso valentissimi intellettuali), in negativo, un’ideologia odierna facendo perno sulle Sacre Scritture cristiane. Un altro aspetto che a me sembra contraddittorio in pectoribus di tali critici riguarda la figura di Gesù Cristo. Il Messia è nato, nella spiegazione della teologia dogmatica, per via di concepimento dovuto allo Spirito Santo, nel contesto di una partenogenesi, venendo al mondo grazie a compenetrazione mariana. A me, nella mia modesta semplicità, con tutto il rispetto che i credenti meritano, che riconosco e che tributo sinceramente, una simile cosa si mostra apparire una situazione transumanistica. E lo dico proprio nel merito della mia analisi, scevro da intenzioni diverse che non siano quelle di esprimermi sempre in modo scientifico, obiettivo e circostanziato. Tale è il mio leale rispetto nei confronti di chi parla appoggiandosi a qualsiasi contenuto cristiano (rivolgendolo a qualunque altro argomento) che colgo l’occasione di prolungare il mio ragionamento spiegando come la figura del Messia evangelico sia da connettere e confrontare con meccanismi mitologici, anche Egizi, da quel che vedo tutti perlopiù ignorati da molti. Nei miei studi ho preso in esame le radici stoiche e mitologiche greche nella costruzione dell’immagine esteriore letteraria di Gesù, ho in parte rilevato alcuni aspetti derivanti dai miti provenienti dall’Antico Egitto. La circostanza mi è propizia al fine di spendermi nell’illustrare nuovi dettagli analitici, rispetto ai miei precedenti espositivi, in merito alla nascita e alla resurrezione di Cristo6. Un’argomentazione che rivelerà la guisa in cui la sorgente creatrice di mattoni religiosi sia fantasiosa e come simili temi mitici possano collocarsi all’esterno di scienza e rigore conoscitivo più avanzati. Non addebito una colpa, un motivo di demerito, a chi nell’Antichità egizia formulò ipotesi, credenze fantastiche, cercando di capire il mondo. Quella era la gittata massima della Ragione di allora. I miti ci indicano limiti razionali, e se dentro di questi ci sono elementi fantastici, fantascientifici, transumanistici, dobbiamo prenderli per quello che sono e capirli nella loro sostanza. Se la nascita del Messia cristiano assomiglia a quella transumanistica tipica del Brave New World huxleyano, reputo non si possa non prenderne atto, e perciò deduco in generale, alla luce anche di quanto già detto, che contrapporre la religione al transumanesimo e al transgenderismo non rappresenta, a mio avviso, un’operazione intellettuale molto appropriata7. Il fantasioso della mitologia potrebbe essersi convertito nella mira della scienza che ha indossato l’abito del transumanesimo. Se guardiamo bene talune teologiche affermazioni dogmatiche e certi aspetti biblici, scopriremo che al di sotto di essi sta un sostrato di architettura dinamica invalidante la pretesa origine divina di una rivelazione di fede. Intendo perciò proseguire nell’exemplum, al fine di riscontro, cui sopra avevo fatto cenno: nascita e resurrezione di Gesù al di là delle loro apparenze transumanistiche cristiane (le quali rimangono nel loro significato simbolico, proiettato sul Brave New World e sopra una scienza che punta all’immortalità: un desiderio espresso dentro un cerchio religioso si è trasferito, secondo me, alle ricerche medica e tecnologica animanti il transumanesimo). Nella religione egizia antica l’arco vitale, caratterizzato dai suoi estremi di genesi e di morte, entro i quali si svolgeva una lotta per la vita (uno scontro esistenziale fra ordine sostenitore e disordine distruttore), riceveva una significativa trasposizione figurata nelle immagini della sequenza solare giornaliera visibile dalla terra. Il sorgere e il tramontare erano trasposti nella veste simbolica dei due estremi menzionati. Il Sole assumeva il primo posto nel culto religioso, in quanto icona della divinità reggitrice della Natura. Il mito di Osiride rielaborava il ciclo vita-morte attraverso uno schema proseguente nella ripresa dialettica per mezzo di una risurrezione, una ricomposizione del cadavere smembrato osiriaco. Questo Dio solare torna dunque a vivere, sconfiggendo la morte e il di essa disordine. Capire cosa fa il Sole dunque (puntualizzato pure in Ra) è nevralgico allo scopo di comprendere il pensiero egizio. Partiamo dal tramonto, allorché il Sole scompare alla vista umana. In quella mitologia antica entrava nel Duat, il quale sarebbe un contenitore posto nel cielo, una scatola invasa dalle tenebrose acque primordiali da cui si è separata la illuminata realtà naturale. Il Sole quotidianamente entra ed esce dal Duat, dove combatte il disordine proprio dell’acqua in quanto archè, per dare radiante appoggio durante il giorno alla vita. In simile cosmologia il cielo viene immaginato come una volta separante le acque di sopra dal mondo sottostante; sopra si sta al buio, sotto grazie all’azione solare v’è luce, calore, e quindi una Natura vivente e ordinata. Al di là dell’analogia cosmogonica con la biblica origine del cosmo8, mi preme far notare in questa sede il legame con la figura di Gesù Cristo. Il cielo per gli antichi egizi era una manifestazione della Dea Nut, i cui connotati di gestante notturna del Sole sono passati alla Madonna cristiana, non per niente definita “Regina del cielo” (titolo di quella Dea uranica e di Iside). Nut al tramonto ingoiava il Sole e lo partoriva all’alba: concepimento per virtù dello Spirito Santo (entrato dall’orecchio della Vergine Maria, nel parere di Anselmo d’Aosta) del Logos incarnato e sua nascita per compenetrazione. La nascita del Messia simboleggia il sorgere del Sole, la venuta di un principio ontologico portatore di ordine (Logos = via, verità, vita). La sua morte e la sua resurrezione sono ancora legate al ciclo del Duat (il quale era pure il luogo ospitante le anime dei dipartiti), giacché questo oltre a essere concepito come una specie di celeste contenitore era altresì ubicato da altra visione religiosa egizia in un luogo sotterraneo: gli inferi in cui discese il Messia defunto, risorgendo alla fine («descendit ad inferos, [...] resurrexit a mortuis»). Il quadro si chiude con l’individuazione di tutti gli elementi essenziali dell’architettura dinamica fondante trasferiti in quella statica dell’elaborazione cristiana. Ho già in passato fatto osservare che il perizoma del Cristo nei crocifissi alluda nella mia interpretazione all’assenza osiriaca del membrum virile, assorto a corpo celeste luminoso: la stella cometa a guida dei magi (=maghi) annunziante la nascita di un re (del Mondo). La progressione del Sole nel Duat ci mostra un Osiride che muore al tramonto e che risorge all’alba nel figlio Horus. La risurrezione del Messia evangelico vuole riproporre simili contenuti mitici. D’altro canto non dobbiamo dimenticare in rapporto alla cosmogonia veterotestamentaria la presenza nel Duat di Apep, il serpente simbolo delle tenebre e del disordine, con cui il Sole si misura ogni notte nel suo compito di sostegno all’ordine naturale. In più, tornando al recinto neotestamentario, voglio ricordare ancora una volta il mio stupore quando, parecchio tempo fa, nelle mie ricerche mi imbattei in una foto di Iside seduta con Horus tra le braccia sulle gambe percependoli all’impatto visivo come un gruppo scultoreo mariano: la differenza rispetto alla dimensione estetica originaria era stata impercettibile (non tutte quelle antiche sculture si prestano comunque a quest’inganno ottico: mi è capitato solo una, tuttavia molto significativa, volta). Mi riaggancio adesso al tema transumanistico, e faccio notare che in materia di nascita il Duat (grembo di Nut) celeste è simile a una incubatrice huxleyana e che la vocazione a superare la morte, espressa dagli Egizi con la tecnica della mummificazione si mostra sui generis transumanistica. Del resto la massima offerta del Cristianesimo ai suoi fedeli rimane l’immortalità. Il transumanesimo, a mio modesto valutare, esprime desideri dettati dalla sfera religiosa, e nel nostro caso quella prossima è la cristiana (rielaborante dunque aspirazioni e impalcature concettuali pregresse). Abbiamo visto un Jesus Christ superstar, non mi stupirei di vedere proposto un Jesus Christ cyberpunk. Trasferire la coscienza in un androide asessuato, poiché non ci sarebbe più bisogno di riproduzione biologica organica, costituisce un’idea esplicita dove l’essere umano sarebbe eterno: sarebbe ossia come un angelo in paradiso, con il superamento dei generi sessuali. Osserviamo il modo in cui la scienza assomiglia alla religione assumendone i sogni. Il Brave New World di Aldous Huxley costituisce un sistema che ho inserito assieme al GNR nella mia distopica ipotizzata cronistoria del tempo futuro9. Naturalmente non contesto i benefici della ricerca scientifica nel momento in cui essa migliora l’esistenza, a cominciare dai disabili e dagli ammalati. L’interfacciamento neurale, ad esempio, in sé e per sé, non è giudicabile buono o cattivo. Però se degenerasse al livello di “The feed” (romanzo di Nick Clark Windo) riterrei di trovarci davanti a cosa non buona, mentre utilissimo rimarrebbe a vantaggio di chi avesse difficoltà. Qualcosa di più definito stimo di dover qua in breve aggiungere a proposito dei generi sessuali quando si discute di transgenderismo. Sto argomentando da cisgender eterosessuale esclusivo, e per me la categoria LGBT non rappresenta un problema sociale. Il Cristianesimo ha perseguitato, torturato e ucciso queste persone per secoli e nei modi più sadici, finché l’Occidente ha voltato pagina sul piano repressivo cancellando la previsione di reato a loro danno. Questi soggetti nella mia visione filosofico-giuridica non rientrerebbero in quanto tali nella sfera pubblica: l’orientamento e l’identità sessuali costituiscono a mio modo di vedere un fatto “privato”, a meno che non emerga un reato penale (violenza, pedofilia, etc.). Parimenti qualsiasi forma di educazione scolastica mirante alla “maturazione personale” di un orientamento omosessuale/transgender dovrebbe essere scartata; lecito a scuola fare “spiegazione”. L’orientamento e l’identità sessuali di un soggetto minore resterebbero materia sotto il controllo di chi ne detiene la potestà genitoriale o la tutela; i genitori e il tutore sarebbero i responsabili della cura di figli minori e di minori in tutela (entro i limiti della legalità costituita). Lo Stato potrebbe fornire strutture assistenziali distinte e separate dalla scuola accompagnandosi alla famiglia o al tutore ufficiale. Considero omosessuali e transgender persone normali: ciascuno sia lasciato libero nella sua individualità, senza ricevere condizionamenti pro o contro, ma ricevendo invece, se opportuna, adeguata assistenza. Ripeto che, secondo me, l’omosessualità è una prova dell’esistenza dell’anima, giacché dimostrerebbe la traccia di un’impronta fisiologica sessuale pregressa10. Se il transgender scopre qualcosa del genere, a sua insaputa, e vuol cambiare la sua identità sessuale, in ogni caso, trattasi di affari “privati”. Alla scuola rimarrebbe, sempre nell’orizzonte del mio pensiero, il compito di illustrare la “famiglia biologica” quale unica produttrice di figli, dacché il modello fisiologico è quello: dato di fatto naturale, universale, esclusivo. Dove c’è impotentia ad filios a causa di un accoppiamento omosessuale non si dovrebbe intervenire in maniera surrogata o comunque alternativa: la Natura dà i figli solo alle coppie formate da un uomo e una donna, e chiede che questi crescano in una famiglia biologica11. Per quanto riguarda il resto, tutti i maggiorenni potrebbero aggregarsi nel modo in cui vogliono, nel rispetto della Legge. Una coppia omosessuale è lecita, e sulla base del legame affettivo le si potrebbero riconoscere dei pertinenti diritti riconosciuti già alla coppia etero. Secoli di persecuzioni degli appartenenti alla categoria LGBT rivendicano una pacificazione sociale. Demonizzare il transgenerismo e non studiarlo senza pregiudizi appaiono a me difetti ideologici ereditati da mentalità religiosa cristiana, difetti che osservo nel novero cattolico; mentre sul versante protestante, in quest’altra parte dell’Occidente, quel che io noto più saliente si mostra il fatto che antiche suggestioni potrebbero essere state riprese, rielaborate e ricalibrate in direzione di riproposizioni in versione GNR.
 
 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Novità e ripresentazione”
 
1 A dimostrazione segnalo un mio studio: Antropogonia e androginia nel Simposio e nella Genesi, dentro la mia pubblicazione Considerazioni letterarie (2014).
Nel 1978 Papa Luciani dichiarò che Dio è Padre e Madre (Papa Bergoglio ha poi lontanamente riecheggiato qualcosa del genere). L’affermazione di Giovanni Paolo I ci induce a sovrapporre il concetto di androginia sul Dio biblico, il che spinge in un secondo ulteriore momento – ricordo che secondo me l’Ebraismo è sorto dall’Atonismo – a riscoprire gli aspetti androginici di Aton (definito dagli atonisti “madre e padre dell’umanità”), aspetti riflessi in rappresentazioni di Akhenaton dove il faraone riformatore religioso appare con fattezze femminilizzate creanti l’immagine dell’androgino. Non trascuriamo in ultimo che il Dio veterotestamentario produsse l’Adamo originario androgino a somiglianza della divinità.
 
2 In direzione di ulteriore approfondimento altro mio scritto: Eros e la libido junghiana nel “Simposio”, all’interno del mio saggio Note di critica (2017).
 
3 Ne ho parlato a pag. 10 della mia opera Studi illuministi (2024).
 
4 V. nota 1.
 
5 V. a pag 19 della mia pubblicazione Partita a scacchi (2022).
 
6 Rammento due miei lavori di analisi: Gesù stoico e dionisiaco nel saggio indicato nella nota precedente; Iside e Osiride, Cristo e la Madonna nell’altra mia opera intitolata Note di studio (2016).
https://danilocaruso.blogspot.com/2022/06/gesu-stoico-e-dionisiaco.html
 
7 Ho destinato una mia monografia al celeberrimo romanzo di Aldous Huxley, testo dove chiarisco quel sistema sociale distopico essere nato da una degenerazione concettuale del capitalismo attivistico protestante: Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (2015).
 
8 Mi sono dilungato nelle analisi miranti a decifrare i significati concettuali del brano ebraico veterotestamentario dedicato alla cosmogonia. Le indico (tutte in mie pubblicazioni): Radici egizie in Ermeneutica religiosa weiliana (2013), Radici sumere di Ebraismo e capitalismo in Note di critica (2017). L’acqua e il Dio biblico in Teologia analitica (2020), Sul biblico “Cantico dei cantici” e su Gn 1,1 in Radici occidentali (2021).

https://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/radici-egizie-nella-cosmogonia-ebraica.html

https://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html

https://danilocaruso.blogspot.com/2020/03/lacqua-e-il-dio-biblico.html

 
9 Articolata questa esposizione di filosofia della storia ventura, i cui segmenti si trovano analizzati in differenti mie pubblicazioni. Qui sotto la tavola sinottica. Appresso l’elenco non soltanto delle mie singole trattazioni delle “figure”. Questi miei scritti nascono come analisi autonome (letterarie, filosofiche) le quali parallelamente si prestano a spiegare l’intreccio storico-distopico ipotizzato e illustrato da me in una cornice contenente una sua interna logica evolutiva d’insieme. Tutti i testi suddetti compaiono dentro miei saggi (l’ordine è cronologico di pubblicazione).


1) Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (saggio del 2015);
 
2) La terribile distopia di H. G. Wells in Critica letteraria (2017);
 
3) La tanatolatria di de Sade in Filosofie sadiche (2021);
 
4) Una distopica ginoide contro la mantide religiosa, Sex doll prima del Brave New World, Tra Primavera Bobinski e la sadista Justine, Attacco all’inconscio collettivo in Letteratura e psicostoria (2022);
 
5) Induismo e Occidente in Partita a scacchi (2022);
 
6) La distopia della sciocchezza dei fratelli Strugatzky in Distopie occidentali (2023);
 
7) Intelligenza artificiale e stupidità naturale in Ritorno critico (2024).
 
10 Junghiano in fatto di psicanalisi, a suo tempo sviluppai simile idea percorrendo un iter di stampo logico-deduttivo, tant’è che vi riconosco venature platoniche. Nel periodo di redazione di questa presente analisi ho avuto, nel corso dei miei poliedrici studi, il piacere di rintracciare un libro scritto dallo psichiatra Ian Stevenson, eminente studioso del fenomeno della rincarnazione, pubblicato in Italia nel 1991 da “Edizioni Mediterranee”: “Bambini che ricordano altre vite / una conferma della reincarnazione”. L’ho letto con interesse e ho notato che la mia semplice e modesta idea era già stata meglio e più articolatamente esposta prima in passato. Ho sempre puntualizzato, in generale, nei miei discorsi, di non fare professione di originalità. L’eccellente intellettuale americano, autore di varie monografie, è comunque giunto alla medesima conclusione per via induttiva empirico-investigativa. Io avevo a disposizione solo contenuti di pensiero approdanti genericamente alla realtà concreta, mentre lui è partito da un considerevole concreto numero di casi analizzati pervenendo a un’astrazione concettuale dimostrativa. A prescindere da tali impostazioni metodologiche, le quali mi è parso utile esplicitare, a sostegno della mia posizione a favore della teoria reincarnazionistica e del suo coinvolgimento nel tema inerente a omosessuali e transgender voglio riportare pochissimi piccolissimi brani, in conformità al diritto di citazione, estratti dal detto lungo apprezzabile testo di Stevenson (tradotto in italiano da Mara Grillini e Eduardo Hess). Premetto che lo scrittore e uomo di scienza americano ha, nel merito discusso di metempsicosi da soggetto con differente sesso, mostrato diversi exempla e ragionamenti chiarificatori.
 
estratto 1
Uno dei più interessanti ed importanti tipi di comportamento insolito manifestato da un soggetto è quello che si verifica nei bambini che ricordano la vita di una persona appartenente all’opposto sesso. (Trattasi di quei casi che precedentemente ho denominato casi di cambiamento di sesso). La maggior parte di questi soggetti rivela (a vari gradi) modi di vestire, di parlare, di giocare ed altri comportamenti che si adattano alle tendenze del sesso opposto.
[...]
Durante il corso delle mie ricerche ho avuto modo di notare che, fra i soggetti appartenenti a casi che presentano un cambiamento di sesso da una vita all’altra, la disforia sessuale è un fenomeno molto comune. Ciò mi permette di dire che, probabilmente, la condizione di molte altre persone afflitte da tale problema (o anche da omosessualità), possa derivare da vite precedenti in qualità di membri del sesso opposto. Come ho detto all’inizio di questo capitolo, ciò può avvenire anche quando la persona in questione non presenta alcuna reminiscenza di una vita precedente.
 
estratto 2
Perseverando nella sua convinzione di essere stata un ragazzo, Erin desiderava vestirsi in modo maschile ed impegnarsi in attività consone a questa condizione. Appena crebbe a tal punto da notare le differenze di abbigliamento fra i ragazzi e le ragazze, insistette nel volersi vestire con abiti maschili. [...] Quando sua madre si ostinava affinché indossasse un vestito da donna Erin si sentiva umiliata, avrebbe di gran lunga preferito dei jeans o dei pantaloni larghi. [...] Voleva anche che i capelli le rimanessero corti e permise che le crescessero solo all’età di nove anni. Erin non mostrava alcun interesse per bambole dalle fattezze umane [..]. [...] Le piaceva nuotare, scalare gli alberi e pescare. Espresse poi un forte desiderio di imparare il baseball e di diventare un «lupetto» degli Scout. Quando venne a sapere che poiché era una ragazza non poteva aspirare a diventare un «lupetto» degli Scout, arrossì dalla rabbia. La Sig.ra Jackson mi scrisse che a volte Erin sospirando diceva: «Avrei desiderato essere un ragazzo. Perché mai non avrei potuto essere un ragazzo?».
[...]
Ampan Petcherat, il soggetto di un altro caso di cambiamento di sesso, quand’era una bambina rivelava dei comportamenti tipicamente maschili che poi perse del tutto durante l’adolescenza. Il differente corso dello sviluppo di questi soggetti potrebbe essere dovuto alle diverse età che avevano le loro precedenti personalità all’epoca in cui morirono. Jagdish Chandra e Ampan Petcherat ricordavano la vita di due bambini che, probabilmente, non vissero così a lungo da consolidare i tratti ed i comportamenti tipici di un Bramino e di un uomo, laddove invece ciò può essere accaduto per ciò che riguarda le precedenti personalità adulte che figurano nei casi di Jasbir Singh, Ma Tíng Aung Myo, Paulo Lorenz e Rani Saxena.
[...]
Una persona che, ad esempio, si sia incarnata per sei volte in un corpo maschile prima di rinascere in uno femminile, potrebbe avere maggiori difficoltà ad adattarsi a vivere come una donna di quanto non accadrebbe se, soltanto nella vita precedente, fosse stata un uomo.
 
11 Ne avevo già parlato, spiegando a fondo il mio punto di vista laico, nella mia opera Note umanistiche (2020): Ragionamento sopra le adozioni gay. E come avevo là affermato, se una legge dello Stato democratico desse il diritto ad avere figli alle coppie omosessuali, per me non sarebbe un problema. Le mie idee in merito costituiscono una mia visione filosofico-giuridica razionalista la quale potrebbe essere superata dai fatti. Al Parlamento la facoltà di legiferare, a tutti il diritto di esprimere lecite, sensate, argomentate riflessioni nel rispetto di posizioni alternative (art. 21 della Costituzione italiana).