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martedì 4 marzo 2025

OMBRE DISTOPICHE E LUCI DI REALTÀ NEL “MANIFESTO SCUM”

di DANILO CARUSO

La mia lettura del “Manifesto SCUM” (1967) di Valerie Solanas (1936-1988), discussa intellettuale femminista americana, ha prospettato l’occasione di rilevare aspetti di pensiero prossimi ai miei, e di poter dunque formulare considerazioni critiche in tal direzione, al fine di evidenziare meglio e con precisione tangenze e differenze. L’autrice di questo testo analizzato è una sostenitrice del femminismo, come me. Questo non vuol dire però che io mi allinei in maniera automatica, senza esprimere, allorché reputi giusto, obiezioni, alla posizione di ciascuna pensatrice femminista. Sebbene giudichi di enorme spessore alcune spiegazioni del “Manifesto SCUM”, non posso di certo condividere l’aspirazione al genocidio degli uomini espresso proprio nell’incipit, dove si auspica una gilmaniana herland in salsa transumanistica. Bocciata con fermezza l’innaturale ambizione di soppressione del sesso maschile, posso cominciare a indicare contenuti dello scritto in esame i quali mi sono più che vicini nel momento in cui si scartano come una caramella buttando via quel rivestimento protettivo così astioso ed estremista. Una cosa che ho notato subito proviene dal ribaltamento della cristiana valutazione patristico-scolastica a proposito della donna. Tommaso d’Aquino dice nella “Summa theologiae”: «Quod sexus masculinus est nobilior quam femineus, ideo humanam naturam in masculino sexu assumpsit [filius Dei]»1. Valerie Solanas nega la superiorità del sexus masculinus, e afferma: «Essere maschio equivale a essere difettoso, emotivamente limitato; la mascolinità è affetta da deficit e i maschi sono emotivi zoppi». Io sono junghiano e comprendo che ciò possa essere possibile, diffuso, anche se non accetto la sottolineatura della scrittrice americana in funzione di rilevamento ontologico. Lei ci fa notare dei gravissimi difetti degli uomini, ma non significa che questi siano strutturali. Per me sono indotti dal sistema sociale e familiare di crescita e formazione. Agli occhi di Valerie Solanas indubbiamente simile concorso c’è, però più come ritorno di un riflesso naturale. Io voglio credere che la Natura dia a ciascun essere umano alla nascita capacità di base uguali, poi magari non sviluppate a causa di un motivo o di un altro. Che siano di più i maschi a perdere la retta via, potrei dirlo pure io vedendo l’andamento del mondo. La guerra a me sembra un prodotto quasi del tutto maschile. Comunque riprendiamo il filo del “Manifesto SCUM” perché vorrei fare osservare il modo in cui sin da subito Valerie Solanas si è mostrata vicinissima alle mie idee psicanalitiche2. Io in passato ho diviso, sotto un profilo categoriale, gli esseri umani in due tipi in relazione al grado di maturità libidica. Ho denominato il primo gruppo i “freudiani”, poiché costoro agiscono sulla spinta pulsionale più animale, dove le pulsioni elementari e basilari sono fari spettrali arginati dal “principio di realtà”: per comprendere le problematiche di costoro basta la concezione psicanalitica della libido di Freud. Tuttavia i “freudiani” non sono gli unici tipi umani, ve ne sono di più maturi. Questi io chiamo “junghiani”, e a loro bisogna applicare la psicologia analitica di Jung. Non che questa non valga pure per gli altri su menzionati, però ogni tipologia umana – nella mia visione – possiede quel livello di evoluzione spirituale, libidica, il quale pone ogni individuo (uomo e donna) su uno scalino più in alto o più in basso a seconda del suo essere in atto. A mio avviso l’autrice del “Manifesto SCUM” ha colto la presenza nella maggioranza degli uomini di una libido freudiana, e ha generalizzato in assoluto, in direzione estremistica. Non aver colto la possibilità di tipi “junghiani” maschili, secondo me, è stato un errore nevralgico di Valerie Solanas: esistono, sebbene in minoranza, uomini non del tutto presi dalle pulsioni freudiane, i quali hanno raggiunto un orizzonte libidico logico-creativo. Allo scopo di rendere meglio l’idea di opposizione tra “freudiani” e “junghiani” richiamo la dicotomia frommiana “avere/essere”. La pensatrice americana ha ragione a dire che gli uomini “freudiani” non sono razionali e sono sudditi delle pulsioni libidiche primordiali. Non le si può muovere nessun appunto in merito a ciò. Persino quando li definisce – nel migliore dei casi – «una noia totale». Me ne sono accorto – con grande rammarico – pure io. Se l’amicizia, come dice Cicerone, risulta una sorta di solidarietà di specie, passare tempo coi “freudiani”, connotati dal diffuso attributo della chiusura mentale (non è affatto una questione di acculturazione), si rivela fra le più sgradevoli perdite di tempo3. Tra me e me pensavo, a proposito della mia dicotomia tipologica libidica, parafrasando un po’ Aristotele, un po’ Orwell, che gli esseri umani sono animali razionali, tuttavia alcuni sono più animali degli altri. La mia elegante ironia intellettuale viene superata dalla crudezza di Valerie Solanas. Davanti a lei gli uomini, concettualmente equivalenti alla mia più lucida categoria dei “freudiani”, si mostrano essere qualcosa di intermedio «tra la creatura umana e la scimmia». Se da un lato non posso e non voglio sostenere lo sterminio fisico di simili persone, in seguito a ovvie ragioni umanitarie, dall’altro non mi è possibile replicare che l’autrice del “Manifesto SCUM” abbia asserito qualcosa senza né capo né coda. Io rispetto l’umanità nei miei simili, in qualunque grado libidico. L’impegno di una coscienza filosofica dev’essere quello di spronare gli altri a crescere, non di abbattere i diversi. Il mondo si rivela vario; mi sembra il caso di dargli un ordine più sano, più giusto, più buono. E fra le cose che non vanno v’è un maschilismo più o meno femminicida, un maschilismo il quale a mio modo di valutare si è tramandato sin a oggi all’interno della società occidentale, silenziosamente, grazie alla sedimentazione inconscia della misoginia cristiana4. Quanto ho appena detto pare non essere poi neanche un mistero per Valerie Solanas, la quale, forse in maniera inconsapevole, polemizza con Kierkegaard5. Al cospetto del teologo danese gli uomini hanno il loro baricentro mentale dentro la propria persona, mentre le donne lo proiettano sull’esterno. Per la mentalità kierkegaardiana la prima cosa si rivela un pregio, la seconda un deficit. L’autrice del “Manifesto SCUM” ripropone il quadro del Danese, ma ne ribalta i valori: l’egocentrismo maschile si mostra il difetto, la proiezione (agapica) femminile il merito. Personalmente non sento di dover difendere la convinzione del pensatore religioso protestante. Allorché Valerie Solanas sostiene, da un punto di vista biologico, che «il maschio è una femmina incompleta» sovverte una lunga linea temporale misogina che attraversa punti quali Aristotele (il campione filosofico del Cattolicesimo) e Freud (teorizzatore del femminile “complesso di castrazione”). La pensatrice americana inverte i ruoli tramandati e sostiene che «definire animale un uomo vuol dire adularlo; lui è una macchina, un walking dildo. [...] Le donne, in altre parole, non hanno penis envy; gli uomini hanno pussy envy». A seguire fa rilevare alcuni aspetti meritevoli di un consono approfondimento. Ricorda che gli uomini (i “freudiani”) sono kierkegaardiani seduttori in pectore, e che tale vocazione sia l’espressione di una inconscia voglia transgenderista. La manchevolezza ontologica del femminile posseduta dal maschio lo spingerebbe a erigere un firewall: «Scopare [«screwing», variante di “fucking”] rappresenta, in relazione a un uomo, una difesa contro il suo desiderio di essere una femmina». Valerie Solanas ha altresì chiarito che l’uomo nel suo essere deficitario cerca comunque di imitare le donne nella di queste proiezione interpersonale esteriore dove abitano i più nobili valori contrapposti all’egoismo. Le donne sarebbero peraltro vittime dell’effetto di ritorno di suddetto colpo di mano, il quale rovescerebbe su di queste la negatività di condotte maschili riadattate in un misogino immaginario al femminile. In simili osservazioni dell’autrice c’è un fondo di verità, il quale io miro a ispezionare con una lente di ingrandimento junghiana. Valerie Solanas ha affermato che all’uomo manca la dimensione femminile. Secondo me ella ha avuto una forte intuizione junghiana, solo che si è fermata alla superficie della questione non oltrepassando lo stretto schema biologico naturale. Io vedo questa carenza negli uomini “freudiani” nella veste di mancato collegamento da parte dell’Io con la controparte psichica junghiana dell’“anima”. Ecco l’origine di tutti gli squilibri maschili evidenziati dall’autrice del “Manifesto SCUM”: il blocco del “processo di individuazione”. Nel caso contrario viene fuori un’armonia interiore. Il che, quantunque non la cosa comune, testimonia la guisa in cui la scrittrice americana sbaglia a generalizzare il suo anatema a scapito di ogni uomo. Lei ha ampi tratti di ragione, però esistono imprecisioni estensive e intensive non trascurabili, le quali sono foriere di un estremismo non condivisibile. La mia analisi non si prefigge di ripercorrere punto per punto le enunciazioni del “Manifesto SCUM”, bensì di indicare ombre e luci in rapporto ai miei interessi di studio e al mio pensiero. Così, ad esempio, trovo molto degno di nota il richiamo di Valerie Solanas a una liberazione del tempo umano dal lavoro produttivo e industriale attraverso l’uso di tecnologie sostitutive della massa dei lavoratori6. Una cosa di cui ella però non ignora le conseguenze immediate: gli uomini (i “freudiani” puntualizzo io) piomberebbero prigionieri della loro aridità interiore, improduttiva e sterile, da cui distrazione era il compito professionale, lavorativo, in precedenza svolto. Questo deserto dello spirito ingabbiato dal potere della retribuzione pecuniaria e dalla sottrazione di tempo libero causerebbe una catastrofe mentale in simili vuoti individui (incapaci da sé di una elevazione “junghiana”). Aggiungo io quello che per me farebbe la libido freudiana non sottoposta alla servitù del lavoro. E per renderlo evidente ricordo l’esperimento condotto dall’etologo John Calhoun, denominato UNIVERSO 25, dove gruppi di topi messi nelle migliori condizioni di sopravvivenza culminano dopo fasi degenerative in un destino di estinzione7. In parole povere i “freudiani” possiedono una natura autodistruttiva, e Valerie Solanas lo ha capito. A beneficio delle donne chiede la soppressione del modello sociale fondato sul lavoro retribuito, giacché l’uguaglianza di trattamento all’interno di questo protrarrebbe la condizione del disagio femminile (ossia degli “junghiani” capaci di gestire al meglio il loro tempo libero). Inoltre la scrittrice sottolinea come i soldi siano uno strumento maschilistico di potere. Anch’io ho parlato, in generale, anni addietro della facoltà del denaro di tramutare in una specie di divinità il capitalista in quanto i soldi sono certificati di tempo condensato nel senso che consentono di ottenere ciò che si vuole in maniera più rapida quanti più se ne hanno in luogo di dover lavorare a lungo al fine di ottenerli in previsione di una determinata acquisizione8. La vita espropriata del lavoratore così dura un giorno, mentre chi ha accumulato denaro potrebbe vivere, nel paragone, mille anni di libertà. Valerie Solanas ha chiara questa situazione, perciò non accetta la par condicio lavorativa fra i sessi, dacché aggiunge schiavitù a schiavitù. Nel “Manifesto SCUM” il rilevamento che la “famiglia borghese”, di stampo maschilista, abbia ridotto l’essenza femminile alla sua funzione materna contesta qualcosa di ormai accertato che i nuovi tempi hanno criticato in vario modo: l’uomo eterosessuale borghese donnaiolo e padre di famiglia era un’icona antiLGBT. Oggigiorno quell’appiattimento di matrice veteroreligiosa cristiana è stato cancellato di parecchio. L’ortodossia borghese stessa si è aperta verso qualcosa ancora di non ben definito. Non è priva di sale la seguente affermazione di Valerie Solanas: «Non v’è ragione perché una società composta di esseri razionali in grado di empatizzare inter se, completi e privi di un naturale motivo di competere, dovrebbe avere un governo, leggi o leader». Non sono mai stato simpatizzante di aspirazioni anarchiche, però, d’altro canto, non me la sento di scartare l’ipotesi in virtù di cui una società senza “freudiani”, composta di soli “junghiani” individuati, possa sopravvivere con una rete organizzativa ridottissima, funzionale al soddisfacimento dei bisogni naturali e non alla repressione di crimini. Potrebbe, per me, darsi che la disonestà, la brama, l’invidia, la violenza, siano tendenzialmente e soprattutto “freudiane”. Uno stato razionale di Natura non dovrebbe avere, altresì, nevrosi di alcun tipo, poiché ognuno vivrebbe in armonia, libero e soddisfatto, con tutto il resto. Il “Manifesto SCUM” prospetta qualcosa del genere, che superi le sovrastrutture maschilistiche di potere e di pensiero. Abbiamo visto che la dicotomia radicale del testo analizzato risulta essere “maschile/femminile”. Ho detto che la considero valida se sviluppata in direzione archetipica junghiana, operazione non compiuta da Valerie Solanas, cui riconosco grandi capacità di analisi accanto a questi da me considerati limiti non da poco. Quella coppia oppositiva “maschile/femminile” in tal modo può concettualmente riversarsi nella mia dicotomia “freudiani/junghiani”. Alla luce di quanto ribadito si potrà leggere questi brani del “Manifesto SCUM”, interpretandoli mediante la chiave di lettura del mio pensiero allo scopo di capire la guisa in cui essi dicano delle verità eclatanti, inossidabili, cristalline: «L’amore non è dipendenza o sesso, ma amicizia, e perciò, l’amore non può esistere tra due maschi, tra un maschio e una femmina o tra due femmine, uno o ambo di chi è un irragionevole, insicuro, fa il mezzano al maschio; come la conversazione, l’amore può esistere soltanto tra due soggetti femminili sicuri, autonomi, indipendenti, dacché l’amicizia è basata sopra il rispetto, non sul disprezzo. [...] L’amore non può fiorire dentro una società fondata sui soldi e sul lavoro senza motivo: esso richiede completa libertà economica così come personale, tempo a disposizione e l’opportunità di impegnarsi in attività intensamente coinvolgenti, emotivamente soddisfacenti le quali, nel momento in cui condivise con quelli che ti rispettano, conducono all’amicizia profonda. La nostra “società” non fornisce in pratica nessuna opportunità di impegnarsi in tali attività». L’errore di Valerie Solanas – ripeto – è stato quello di rimanere impantanata sopra una superficie fisiologica dei sessi: non tutti gli uomini sono da buttare, non tutte le donne sono esenti da pecche. Se ci sono nel mondo elementi umani negativi non si deve però affatto procedere alla loro soppressione, come suggerito dalla pensatrice americana. Bisogna correggere e educare meglio, mirando a conseguire la scomparsa di discriminazioni e reati, non la disintegrazione dei loro artefici. Al di là di questi limiti concettuali, molto distorcenti secondo me nell’obiettivo di ottenere la più nitida comprensione, il “Manifesto SCUM”, nella mia emendante lettura filojunghiana, continua a proporre contenuti e osservazioni molto significativi e profondi. I “maschi (Solanas) / freudiani (Caruso)” sono «insipid [insipidi, sciocchi, insulsi]»; chi appartiene a questa categoria «non avendo niente in interiore non ha niente da dire». Si rivela osservabile che, come rimarca la pensatrice americana, certe pseudoculture e pseudoacculturazioni producano amorfi pupazzi e figuri, i quali sono vuoti ripetitori di un’ortodossia ideologica la quale piega una massa di soggetti acritici ad assorbire e rispecchiare la sua vulgata. Sono d’accordo con Valerie Solanas sul fatto che Arte e Cultura debbano configurarsi quali divertimenti e non come strumenti manipolatori. E non trascuriamo che ciò è un’affermazione perfettamente junghiana: la libido non è solo pulsione sessuale o pulsione di soddisfacimento di altri fisiologici bisogni. La stessa violenza, ci dice il “Manifesto SCUM”, si mostra ingiustificata e ingiustificabile da parte dell’essere umano perché rappresenta un risvolto di frustrazione, una manifestazione libidica inaccettabile in un soggetto razionale che non sia regredito all’animalità pervadente. L’esercizio della sessualità, dal canto suo, non costituisce il top offerto dalla libido: è tipico del regno animale non umano, ma nessuna bestia ha mai scritto un libro o creato un’opera d’arte. Nei maschi (freudiani) Valerie Solanas sostiene, in maniera corretta, che ci sia un’opinione bestiale predominante, e infatti parla del «maschio il cui ego consiste nel suo cock» (nulla di più esatto – credo – si potrebbe dire dei freudiani uomini). Non che si debba abbandonare naturalmente il congresso carnale, tuttavia la più elevata manifestazione libidica si rintraccia nella creatività intellettuale. I “freudiani” vivono soltanto la parte bassa della libido; la dimensione animale direbbe l’autrice del “Manifesto SCUM”, in un travaglio interno il quale sul serio opera sacrifici e fatica alla volta di tenere in piedi il “principio di realtà”. Da qui nevrosi, violenza, etc. Gli “junghiani” (le donne in Solanas) patiscono la dittatura dei primi, una tirannia della maggioranza (Alexis de Tocqueville, John Stuart Mill). Il congresso carnale assume un compito essenziale nella riproduzione della specie umana e nella costruzione della famiglia (la quale, assieme allo Stato, costituisce ai miei occhi una società naturale), eppure, al di là di ciò, nella considerazione biologica, in sé non rappresenta qualcosa di molto spirituale; da un punto di vista umano, differente da una valutazione formulata all’interno di un’area che raccoglie tutto il resto del genere animale naturale, esso rimane in generale un’apprezzabile attività ricreativa. Il “Manifesto SCUM” evidenzia una gerarchia libidica di stampo junghiano, però smarrendosi in herland: mi sono preso l’incarico di tirarlo fuori da simile selva correggendone i ritenuti distorsivi sbagli concettuali di fondo (sempre ovviamente operando dalla mia ottica). In ogni caso non posso far a meno di dare ragione ancora una volta a Valerie Solanas quando rammenta il modello maschile dell’infido cagnolino delle donne, testimoniante l’insensatezza logica di chi vive la dimensione libidica maschile in maniera parziale. L’ultimo segmento presentato nel “Manifesto SCUM” espone un progetto distopico già in precedenza proclamato: cancellare il genere maschile dalla faccia della Terra. Esso costituisce un proposito irrazionale, innaturale, non avallabile. Se Valerie Solanas ha esposto altre idee, le quali in qualche modo sono riuscito a salvare, qua debbo esternare la mia netta contrarietà, ma non in quanto uomo eterosessuale cisgender, ma in quanto ζῷον λόγον ἔχων. Non posso per niente simpatizzare a favore di una involuzione in direzione della distopia quantunque femminista. Nel momento in cui qualsiasi buon motivo perde la bussola del Logos e si spinge a reclamare le sue ragioni patrocinando l’uso della violenza, di pratiche discriminatorie, di forme totalitarie, non è ammissibile accodarsi ai sostenitori di catastrofi. Simile aggressivo estremismo è da bocciare e stigmatizzare. Valerie Solanas, purtroppo, lo ha perseguito in concreto in un per fortuna tentato, in quanto fallito, omicidio plurimo: Andy Warhol e Mario Amaya feriti da colpi di pistola nel 1968 riuscirono a salvarsi. Quell’atto lesivo sembra essere stato animato da misandria e paranoia. Allorché si toccano simili punte di deviazione dal lecito uso della volontà ogni rivendicazione legittima si macchia in maniera indelebile. Non possiamo omettere di rilevare diversi tratti distopici nel “Manifesto SCUM”. Se in un Vangelo apocrifo il Messia dichiarò che in Cielo non sarebbero entrate le donne se non trasformate in uomini, Valerie Solanas afferma il contrario in relazione alla fase di transizione verso herland: alla volta di un orizzonte transumanistico i maschi dovrebbero assumere una integrale vocazione transgender. La pensatrice americana inoltre prospetta, nel contesto dell’eliminazione del genere maschile, di far proseguire l’esclusiva specie umana femminile con inseminazioni mirate delle donne: qualcosa in stile Brave New World9. Simili distopici auspici non possono che farmi esprimere una netta disapprovazione di tali desideri. Il “Manifesto SCUM” nella mia visione critica, rappresenta il nodo che unisce due fili provenienti da “Herland” di Charlotte Perkins Gilman e “The power” di Naomi Alderman10. Si tratta di due romanzi, per me entrambi distopici, i quali, in virtù da parte del primo dell’essere stato concepito quale una utopia, stanno fra di loro come una sorta di tesi e antitesi, momento hegeliano che trova una sua sintesi nel “Manifesto SCUM”. La distopia di Naomi Alderman disinnesca questo femminismo deviato, eversivo, violento. Valerie Solanas ha studiato psicologia, e ha avuto fortissime intuizioni le quali, purtroppo, secondo la mia impostazione analitica, ha spinto in una direzione sbagliata. Se ripartiamo dalla sua stazione e non abbandoniamo il binario della Ratio, giudico che quel pensiero possa esprimere un prodotto meritevole di scientifica attenzione e non di esclusiva censura. Le traversie esistenziali di Valerie Solanas hanno avuto un indubbio peso, e a esse addebito il demerito di aver alimentato l’estremismo della pensatrice americana.

 
NOTE
 
Questo testo sarà inserito in un prossimo saggio critico a stampa.
 
1 Nella mia monografia Teologia analitica (2020) si trova un segmento intitolato L’irrazionale misoginia tomista che consiglio di leggere a chi vuol approfondire.
 
2 Riguardo a esse indico, sulla strada dell’approfondimento, un mio testo: Le implicazioni filosofico-politiche del mio schema psicanalitico, nella mia opera Storia e pensiero (2023).
 
3 Piuttosto senechiana la mia valutazione. Pertanto colgo l’occasione di segnalare un pertinente mio studio a chi volesse andare oltre: Il severo monito di Seneca, nella mia pubblicazione Critica letteraria (2017).
 
4 Indico, in rapporto al tema, una mia analisi, la quale riporta nelle note ulteriori rimandi ad altri miei scritti in merito. Detto studio è una sezione della mia monografia Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano (2023), una parte dedicata al De cultu feminarum (pagg. 8-17).
 
5 Del pensiero kierkegaardiano ho discusso in un esame critico all’interno del quale ho pure trattato della mia dicotomia “freudiani/junghiani”. Si trova nel mio saggio Filosofie sadiche (2021) e reca il titolo L’irrazionalismo nevrotico di Kierkegaard.
 
6 Questo tema è stato toccato da un romanzo utopico americano il quale è stato oggetto di una mia analisi. Non reputo fuori luogo indicarla a chi volesse condurre approfondimenti tematici: La libertaria critica al capitalismo selvaggio di Robert Anson Heinlein, nella mia pubblicazione intitolata Distopie occidentali (2023).
 
7 UNIVERSO 25 è stato un esperimento significativo rivelante un’affinità con la mia filosofia della distopica storia futura, in particolar modo presso gli ultimi tre gradini temporali (“Brave New World”, “sadismo” e “mondo di Eloi e Morlock”) dove alcuni aspetti dell’esperienza registrata dall’americano Calhoun si mostrano confacenti: disgregazione degli schemi relazionali canonici, pansessualità, violenza, cannibalismo. Per chi volesse saperne di più sulla mia psicostoria riporto il prospetto sinottico e l’elenco dei miei pertinenti scritti.
 

 
1) Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (saggio del 2015);
 
2) La terribile distopia di H. G. Wells dentro in Critica letteraria (2017);
 
3) La tanatolatria di de Sade in Filosofie sadiche (2021);
 
4) Una distopica ginoide contro la mantide religiosa, Sex doll prima del Brave New World, Tra Primavera Bobinski e la sadista Justine, Attacco all’inconscio collettivo in Letteratura e psicostoria (2022);
 
5) Induismo e Occidente in Partita a scacchi (2022);
 
6) La distopia della sciocchezza dei fratelli Strugatzky in Distopie occidentali (2023);
 
7) Intelligenza artificiale e stupidità naturale in Ritorno critico (2024).
 
8 Per approfondire il discorso suggerisco la lettura dentro la mia opera Critica dell’irrazionalismo occidentale (2016) della parte recante il titolo Il gioco capitalista degli Elohiym falsi e bugiardi.
 
9 Al celeberrimo romanzo huxleyano ho dedicato una monografia: Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (2015).
 
10 Tali testi sono stati materie di miei studi. Ne sono scaturiti due scritti: Il femminismo distopico di “Herland” e La complessa distopia di Naomi Alderman, rispettivamente nelle mie opere Letteratura e psicostoria (2022) e Prospettive rinnovate (2023).

https://danilocaruso.blogspot.com/2022/01/il-femminismo-distopico-di-herland.html

https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/la-complessa-distopia-di-naomi-alderman.html

venerdì 14 febbraio 2025

TEOLOGIA TRANSUMANISTICA E TRANSGENDERISTA

di DANILO CARUSO
 
Talvolta mi è capitato qua e là di ascoltare o leggere dei richiami fondati sulla dottrina cristiana messa in contrapposizione alle ideologie e alle teorie transumanistiche e transgenderiste. Dopo anni di studio e analisi dell’universo giudaicocristiano ruotante attorno alla “Bibbia” non ho più molta difficoltà a cogliere al volo delle per me stonature di cui i sostenitori religiosi giudico non si rendano conto giacché rimasti, a quanto mi sembra, ancorati a un asciutto piano catechistico. Io ho esaminato negli originali ebraici e greci brani biblici cui alle volte qualcuno si appella. Un exemplum che mi pare clamoroso deriva dall’anteposizione operata dai fautori della fede (ritenuta da loro qualcosa di solido) della credenza che il Dio biblico abbia creato esclusivamente due generi sessuali (il maschile e il femminile). Non è così. Nel relativo testo in lingua ebraica si può leggere (e quindi tradurre in maniera migliore) che quando Dio produsse gli esseri umani li fece androgini e non maschio e femmina separati. In un secondo tempo tagliò l’androgino Adamo isolandone la “fiancata” femminile in Eva1. La “Bibbia” racconta, più in breve, il parallelo ragionamento platonico nel “Simposio”2. Come se questo non bastasse già a introdurre un orizzonte teologico transgenerista nella Sacra Scrittura postulante tre generi, il canonico evangelico Gesù Cristo fa l’apologia degli evirati di loro iniziativa a religioso scopo salvifico3. Mentre in quest’ultima circostanza il genere sessuale maschile patisce nel quadro teologico la sua cancellazione in seguito a motivazione generante una specie di privilegiato, in ottica paradisiaca, genere 0, il Messia in un Vangelo apocrifo proclama che le donne non entreranno in cielo a meno che non siano trasformate in maschi. La materia transumanistica/transgenderista si mostra, come vedremo meglio, religiosa. Tant’è che io reputo possibile la derivazione di posizioni moderne dall’humus della religione, una base di cui forse s’è smarrita consapevolezza. Le avveniristiche tendenze del GNR (genetica, nanotecnologia, robotica) disvelano una sorta di tensione fideistico-scientifica, dove non è la scienza da sé a elevarsi a religione, bensì il contrario: la scienza viene invasa da ideali religiosi (in primis quello supremo dell’immortalità). Il discorso biblico inerente ai generi sessuali umani torna ancora attuale nelle mie sottolineature laddove in ebraico si afferma che l’uomo e la donna nel congresso carnale diverranno non una sola carne, ma la carne primigenia, ossia quell’androgino che poco sopra rammentavo4. Perciò nella “Bibbia” in un modo o nell’altro, il “maschile” e il “femminile” sembrano transitori, appesi tra estremi i quali non ne indicano affatto una dimensione di eccellenza ontologica. Tutt’altro. Noè maledisse il figlio che lo vide nudo, cioè difettoso, in quanto non più essere integro androgino. L’androginia, vale a dire il ricongiungimento dei due distinti generi, è l’ideale antropologico perduto nel Vecchio Testamento. L’asessualità (la cancellazione di una puntualizzazione di identità sessuale) costituisce la meta neotestamentaria (disprezzato il genere femminile, un po’ meno quello maschile; ritengo che Gesù abbia detto di non dare le cose sante alle cagne; molto probabilmente quel dativo in greco, «τοῖς κυσίν», è femminile5). In generale nei due Testamenti notiamo proprio una propensione transgenerista (verso l’androgino; o il genere 0, che sarebbe quello degli angeli), un tendere verso un piano trans (il quale viene riproposto nella modernità in forme più legate alla specificità individuale e non proiettate alla volta di una riparazione ideale superiore). Stando al mio punto di vista razionalista spiritualista, superficialmente si vorrebbe criticare da parte di alcuni (in ogni caso valentissimi intellettuali), in negativo, un’ideologia odierna facendo perno sulle Sacre Scritture cristiane. Un altro aspetto che a me sembra contraddittorio in pectoribus di tali critici riguarda la figura di Gesù Cristo. Il Messia è nato, nella spiegazione della teologia dogmatica, per via di concepimento dovuto allo Spirito Santo, nel contesto di una partenogenesi, venendo al mondo grazie a compenetrazione mariana. A me, nella mia modesta semplicità, con tutto il rispetto che i credenti meritano, che riconosco e che tributo sinceramente, una simile cosa si mostra apparire una situazione transumanistica. E lo dico proprio nel merito della mia analisi, scevro da intenzioni diverse che non siano quelle di esprimermi sempre in modo scientifico, obiettivo e circostanziato. Tale è il mio leale rispetto nei confronti di chi parla appoggiandosi a qualsiasi contenuto cristiano (rivolgendolo a qualunque altro argomento) che colgo l’occasione di prolungare il mio ragionamento spiegando come la figura del Messia evangelico sia da connettere e confrontare con meccanismi mitologici, anche Egizi, da quel che vedo tutti perlopiù ignorati da molti. Nei miei studi ho preso in esame le radici stoiche e mitologiche greche nella costruzione dell’immagine esteriore letteraria di Gesù, ho in parte rilevato alcuni aspetti derivanti dai miti provenienti dall’Antico Egitto. La circostanza mi è propizia al fine di spendermi nell’illustrare nuovi dettagli analitici, rispetto ai miei precedenti espositivi, in merito alla nascita e alla resurrezione di Cristo6. Un’argomentazione che rivelerà la guisa in cui la sorgente creatrice di mattoni religiosi sia fantasiosa e come simili temi mitici possano collocarsi all’esterno di scienza e rigore conoscitivo più avanzati. Non addebito una colpa, un motivo di demerito, a chi nell’Antichità egizia formulò ipotesi, credenze fantastiche, cercando di capire il mondo. Quella era la gittata massima della Ragione di allora. I miti ci indicano limiti razionali, e se dentro di questi ci sono elementi fantastici, fantascientifici, transumanistici, dobbiamo prenderli per quello che sono e capirli nella loro sostanza. Se la nascita del Messia cristiano assomiglia a quella transumanistica tipica del Brave New World huxleyano, reputo non si possa non prenderne atto, e perciò deduco in generale, alla luce anche di quanto già detto, che contrapporre la religione al transumanesimo e al transgenderismo non rappresenta, a mio avviso, un’operazione intellettuale molto appropriata7. Il fantasioso della mitologia potrebbe essersi convertito nella mira della scienza che ha indossato l’abito del transumanesimo. Se guardiamo bene talune teologiche affermazioni dogmatiche e certi aspetti biblici, scopriremo che al di sotto di essi sta un sostrato di architettura dinamica invalidante la pretesa origine divina di una rivelazione di fede. Intendo perciò proseguire nell’exemplum, al fine di riscontro, cui sopra avevo fatto cenno: nascita e resurrezione di Gesù al di là delle loro apparenze transumanistiche cristiane (le quali rimangono nel loro significato simbolico, proiettato sul Brave New World e sopra una scienza che punta all’immortalità: un desiderio espresso dentro un cerchio religioso si è trasferito, secondo me, alle ricerche medica e tecnologica animanti il transumanesimo). Nella religione egizia antica l’arco vitale, caratterizzato dai suoi estremi di genesi e di morte, entro i quali si svolgeva una lotta per la vita (uno scontro esistenziale fra ordine sostenitore e disordine distruttore), riceveva una significativa trasposizione figurata nelle immagini della sequenza solare giornaliera visibile dalla terra. Il sorgere e il tramontare erano trasposti nella veste simbolica dei due estremi menzionati. Il Sole assumeva il primo posto nel culto religioso, in quanto icona della divinità reggitrice della Natura. Il mito di Osiride rielaborava il ciclo vita-morte attraverso uno schema proseguente nella ripresa dialettica per mezzo di una risurrezione, una ricomposizione del cadavere smembrato osiriaco. Questo Dio solare torna dunque a vivere, sconfiggendo la morte e il di essa disordine. Capire cosa fa il Sole dunque (puntualizzato pure in Ra) è nevralgico allo scopo di comprendere il pensiero egizio. Partiamo dal tramonto, allorché il Sole scompare alla vista umana. In quella mitologia antica entrava nel Duat, il quale sarebbe un contenitore posto nel cielo, una scatola invasa dalle tenebrose acque primordiali da cui si è separata la illuminata realtà naturale. Il Sole quotidianamente entra ed esce dal Duat, dove combatte il disordine proprio dell’acqua in quanto archè, per dare radiante appoggio durante il giorno alla vita. In simile cosmologia il cielo viene immaginato come una volta separante le acque di sopra dal mondo sottostante; sopra si sta al buio, sotto grazie all’azione solare v’è luce, calore, e quindi una Natura vivente e ordinata. Al di là dell’analogia cosmogonica con la biblica origine del cosmo8, mi preme far notare in questa sede il legame con la figura di Gesù Cristo. Il cielo per gli antichi egizi era una manifestazione della Dea Nut, i cui connotati di gestante notturna del Sole sono passati alla Madonna cristiana, non per niente definita “Regina del cielo” (titolo di quella Dea uranica e di Iside). Nut al tramonto ingoiava il Sole e lo partoriva all’alba: concepimento per virtù dello Spirito Santo (entrato dall’orecchio della Vergine Maria, nel parere di Anselmo d’Aosta) del Logos incarnato e sua nascita per compenetrazione. La nascita del Messia simboleggia il sorgere del Sole, la venuta di un principio ontologico portatore di ordine (Logos = via, verità, vita). La sua morte e la sua resurrezione sono ancora legate al ciclo del Duat (il quale era pure il luogo ospitante le anime dei dipartiti), giacché questo oltre a essere concepito come una specie di celeste contenitore era altresì ubicato da altra visione religiosa egizia in un luogo sotterraneo: gli inferi in cui discese il Messia defunto, risorgendo alla fine («descendit ad inferos, [...] resurrexit a mortuis»). Il quadro si chiude con l’individuazione di tutti gli elementi essenziali dell’architettura dinamica fondante trasferiti in quella statica dell’elaborazione cristiana. Ho già in passato fatto osservare che il perizoma del Cristo nei crocifissi alluda nella mia interpretazione all’assenza osiriaca del membrum virile, assorto a corpo celeste luminoso: la stella cometa a guida dei magi (=maghi) annunziante la nascita di un re (del Mondo). La progressione del Sole nel Duat ci mostra un Osiride che muore al tramonto e che risorge all’alba nel figlio Horus. La risurrezione del Messia evangelico vuole riproporre simili contenuti mitici. D’altro canto non dobbiamo dimenticare in rapporto alla cosmogonia veterotestamentaria la presenza nel Duat di Apep, il serpente simbolo delle tenebre e del disordine, con cui il Sole si misura ogni notte nel suo compito di sostegno all’ordine naturale. In più, tornando al recinto neotestamentario, voglio ricordare ancora una volta il mio stupore quando, parecchio tempo fa, nelle mie ricerche mi imbattei in una foto di Iside seduta con Horus tra le braccia sulle gambe percependoli all’impatto visivo come un gruppo scultoreo mariano: la differenza rispetto alla dimensione estetica originaria era stata impercettibile (non tutte quelle antiche sculture si prestano comunque a quest’inganno ottico: mi è capitato solo una, tuttavia molto significativa, volta). Mi riaggancio adesso al tema transumanistico, e faccio notare che in materia di nascita il Duat (grembo di Nut) celeste è simile a una incubatrice huxleyana e che la vocazione a superare la morte, espressa dagli Egizi con la tecnica della mummificazione si mostra sui generis transumanistica. Del resto la massima offerta del Cristianesimo ai suoi fedeli rimane l’immortalità. Il transumanesimo, a mio modesto valutare, esprime desideri dettati dalla sfera religiosa, e nel nostro caso quella prossima è la cristiana (rielaborante dunque aspirazioni e impalcature concettuali pregresse). Abbiamo visto un Jesus Christ superstar, non mi stupirei di vedere proposto un Jesus Christ cyberpunk. Trasferire la coscienza in un androide asessuato, poiché non ci sarebbe più bisogno di riproduzione biologica organica, costituisce un’idea esplicita dove l’essere umano sarebbe eterno: sarebbe ossia come un angelo in paradiso, con il superamento dei generi sessuali. Osserviamo il modo in cui la scienza assomiglia alla religione assumendone i sogni. Il Brave New World di Aldous Huxley costituisce un sistema che ho inserito assieme al GNR nella mia distopica ipotizzata cronistoria del tempo futuro9. Naturalmente non contesto i benefici della ricerca scientifica nel momento in cui essa migliora l’esistenza, a cominciare dai disabili e dagli ammalati. L’interfacciamento neurale, ad esempio, in sé e per sé, non è giudicabile buono o cattivo. Però se degenerasse al livello di “The feed” (romanzo di Nick Clark Windo) riterrei di trovarci davanti a cosa non buona, mentre utilissimo rimarrebbe a vantaggio di chi avesse difficoltà. Qualcosa di più definito stimo di dover qua in breve aggiungere a proposito dei generi sessuali quando si discute di transgenderismo. Sto argomentando da cisgender eterosessuale esclusivo, e per me la categoria LGBT non rappresenta un problema sociale. Il Cristianesimo ha perseguitato, torturato e ucciso queste persone per secoli e nei modi più sadici, finché l’Occidente ha voltato pagina sul piano repressivo cancellando la previsione di reato a loro danno. Questi soggetti nella mia visione filosofico-giuridica non rientrerebbero in quanto tali nella sfera pubblica: l’orientamento e l’identità sessuali costituiscono a mio modo di vedere un fatto “privato”, a meno che non emerga un reato penale (violenza, pedofilia, etc.). Parimenti qualsiasi forma di educazione scolastica mirante alla “maturazione personale” di un orientamento omosessuale/transgender dovrebbe essere scartata; lecito a scuola fare “spiegazione”. L’orientamento e l’identità sessuali di un soggetto minore resterebbero materia sotto il controllo di chi ne detiene la potestà genitoriale o la tutela; i genitori e il tutore sarebbero i responsabili della cura di figli minori e di minori in tutela (entro i limiti della legalità costituita). Lo Stato potrebbe fornire strutture assistenziali distinte e separate dalla scuola accompagnandosi alla famiglia o al tutore ufficiale. Considero omosessuali e transgender persone normali: ciascuno sia lasciato libero nella sua individualità, senza ricevere condizionamenti pro o contro, ma ricevendo invece, se opportuna, adeguata assistenza. Ripeto che, secondo me, l’omosessualità è una prova dell’esistenza dell’anima, giacché dimostrerebbe la traccia di un’impronta fisiologica sessuale pregressa10. Se il transgender scopre qualcosa del genere, a sua insaputa, e vuol cambiare la sua identità sessuale, in ogni caso, trattasi di affari “privati”. Alla scuola rimarrebbe, sempre nell’orizzonte del mio pensiero, il compito di illustrare la “famiglia biologica” quale unica produttrice di figli, dacché il modello fisiologico è quello: dato di fatto naturale, universale, esclusivo. Dove c’è impotentia ad filios a causa di un accoppiamento omosessuale non si dovrebbe intervenire in maniera surrogata o comunque alternativa: la Natura dà i figli solo alle coppie formate da un uomo e una donna, e chiede che questi crescano in una famiglia biologica11. Per quanto riguarda il resto, tutti i maggiorenni potrebbero aggregarsi nel modo in cui vogliono, nel rispetto della Legge. Una coppia omosessuale è lecita, e sulla base del legame affettivo le si potrebbero riconoscere dei pertinenti diritti riconosciuti già alla coppia etero. Secoli di persecuzioni degli appartenenti alla categoria LGBT rivendicano una pacificazione sociale. Demonizzare il transgenerismo e non studiarlo senza pregiudizi appaiono a me difetti ideologici ereditati da mentalità religiosa cristiana, difetti che osservo nel novero cattolico; mentre sul versante protestante, in quest’altra parte dell’Occidente, quel che io noto più saliente si mostra il fatto che antiche suggestioni potrebbero essere state riprese, rielaborate e ricalibrate in direzione di riproposizioni in versione GNR.
 
 
NOTE
 
Questo testo sarà inserito in un prossimo saggio critico a stampa.
 
1 A dimostrazione segnalo un mio studio: Antropogonia e androginia nel Simposio e nella Genesi, dentro la mia pubblicazione Considerazioni letterarie (2014).
Nel 1978 Papa Luciani dichiarò che Dio è Padre e Madre (Papa Bergoglio ha poi lontanamente riecheggiato qualcosa del genere). L’affermazione di Giovanni Paolo I ci induce a sovrapporre il concetto di androginia sul Dio biblico, il che spinge in un secondo ulteriore momento – ricordo che secondo me l’Ebraismo è sorto dall’Atonismo – a riscoprire gli aspetti androginici di Aton (definito dagli atonisti “madre e padre dell’umanità”), aspetti riflessi in rappresentazioni di Akhenaton dove il faraone riformatore religioso appare con fattezze femminilizzate creanti l’immagine dell’androgino. Non trascuriamo in ultimo che il Dio veterotestamentario produsse l’Adamo originario androgino a somiglianza della divinità.
 
2 In direzione di ulteriore approfondimento altro mio scritto: Eros e la libido junghiana nel “Simposio”, all’interno del mio saggio Note di critica (2017).
 
3 Ne ho parlato a pag. 10 della mia opera Studi illuministi (2024).
 
4 V. nota 1.
 
5 V. a pag 19 della mia pubblicazione Partita a scacchi (2022).
 
6 Rammento due miei lavori di analisi: Gesù stoico e dionisiaco nel saggio indicato nella nota precedente; Iside e Osiride, Cristo e la Madonna nell’altra mia opera intitolata Note di studio (2016).
https://danilocaruso.blogspot.com/2022/06/gesu-stoico-e-dionisiaco.html
 
7 Ho destinato una mia monografia al celeberrimo romanzo di Aldous Huxley, testo dove chiarisco quel sistema sociale distopico essere nato da una degenerazione concettuale del capitalismo attivistico protestante: Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (2015).
 
8 Mi sono dilungato nelle analisi miranti a decifrare i significati concettuali del brano ebraico veterotestamentario dedicato alla cosmogonia. Le indico (tutte in mie pubblicazioni): Radici egizie in Ermeneutica religiosa weiliana (2013), Radici sumere di Ebraismo e capitalismo in Note di critica (2017). L’acqua e il Dio biblico in Teologia analitica (2020), Sul biblico “Cantico dei cantici” e su Gn 1,1 in Radici occidentali (2021).

https://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/radici-egizie-nella-cosmogonia-ebraica.html

https://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html

https://danilocaruso.blogspot.com/2020/03/lacqua-e-il-dio-biblico.html

 
9 Articolata questa esposizione di filosofia della storia ventura, i cui segmenti si trovano analizzati in differenti mie pubblicazioni. Qui sotto la tavola sinottica. Appresso l’elenco non soltanto delle mie singole trattazioni delle “figure”. Questi miei scritti nascono come analisi autonome (letterarie, filosofiche) le quali parallelamente si prestano a spiegare l’intreccio storico-distopico ipotizzato e illustrato da me in una cornice contenente una sua interna logica evolutiva d’insieme. Tutti i testi suddetti compaiono dentro miei saggi (l’ordine è cronologico di pubblicazione).


1) Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (saggio del 2015);
 
2) La terribile distopia di H. G. Wells dentro in Critica letteraria (2017);
 
3) La tanatolatria di de Sade in Filosofie sadiche (2021);
 
4) Una distopica ginoide contro la mantide religiosa, Sex doll prima del Brave New World, Tra Primavera Bobinski e la sadista Justine, Attacco all’inconscio collettivo in Letteratura e psicostoria (2022);
 
5) Induismo e Occidente in Partita a scacchi (2022);
 
6) La distopia della sciocchezza dei fratelli Strugatzky in Distopie occidentali (2023);
 
7) Intelligenza artificiale e stupidità naturale in Ritorno critico (2024).
 
10 Junghiano in fatto di psicanalisi, a suo tempo sviluppai simile idea percorrendo un iter di stampo logico-deduttivo, tant’è che vi riconosco venature platoniche. Nel periodo di redazione di questa presente analisi ho avuto, nel corso dei miei poliedrici studi, il piacere di rintracciare un libro scritto dallo psichiatra Ian Stevenson, eminente studioso del fenomeno della rincarnazione, pubblicato in Italia nel 1991 da “Edizioni Mediterranee”: “Bambini che ricordano altre vite / una conferma della reincarnazione”. L’ho letto con interesse e ho notato che la mia semplice e modesta idea era già stata meglio e più articolatamente esposta prima in passato. Ho sempre puntualizzato, in generale, nei miei discorsi, di non fare professione di originalità. L’eccellente intellettuale americano, autore di varie monografie, è comunque giunto alla medesima conclusione per via induttiva empirico-investigativa. Io avevo a disposizione solo contenuti di pensiero approdanti genericamente alla realtà concreta, mentre lui è partito da un considerevole concreto numero di casi analizzati pervenendo a un’astrazione concettuale dimostrativa. A prescindere da tali impostazioni metodologiche, le quali mi è parso utile esplicitare, a sostegno della mia posizione a favore della teoria reincarnazionistica e del suo coinvolgimento nel tema inerente a omosessuali e transgender voglio riportare pochissimi piccolissimi brani, in conformità al diritto di citazione, estratti dal detto lungo apprezzabile testo di Stevenson (tradotto in italiano da Mara Grillini e Eduardo Hess). Premetto che lo scrittore e uomo di scienza americano ha, nel merito discusso di metempsicosi da soggetto con differente sesso, mostrato diversi exempla e ragionamenti chiarificatori.
 
estratto 1
Uno dei più interessanti ed importanti tipi di comportamento insolito manifestato da un soggetto è quello che si verifica nei bambini che ricordano la vita di una persona appartenente all’opposto sesso. (Trattasi di quei casi che precedentemente ho denominato casi di cambiamento di sesso). La maggior parte di questi soggetti rivela (a vari gradi) modi di vestire, di parlare, di giocare ed altri comportamenti che si adattano alle tendenze del sesso opposto.
[...]
Durante il corso delle mie ricerche ho avuto modo di notare che, fra i soggetti appartenenti a casi che presentano un cambiamento di sesso da una vita all’altra, la disforia sessuale è un fenomeno molto comune. Ciò mi permette di dire che, probabilmente, la condizione di molte altre persone afflitte da tale problema (o anche da omosessualità), possa derivare da vite precedenti in qualità di membri del sesso opposto. Come ho detto all’inizio di questo capitolo, ciò può avvenire anche quando la persona in questione non presenta alcuna reminiscenza di una vita precedente.
 
estratto 2
Perseverando nella sua convinzione di essere stata un ragazzo, Erin desiderava vestirsi in modo maschile ed impegnarsi in attività consone a questa condizione. Appena crebbe a tal punto da notare le differenze di abbigliamento fra i ragazzi e le ragazze, insistette nel volersi vestire con abiti maschili. [...] Quando sua madre si ostinava affinché indossasse un vestito da donna Erin si sentiva umiliata, avrebbe di gran lunga preferito dei jeans o dei pantaloni larghi. [...] Voleva anche che i capelli le rimanessero corti e permise che le crescessero solo all’età di nove anni. Erin non mostrava alcun interesse per bambole dalle fattezze umane [..]. [...] Le piaceva nuotare, scalare gli alberi e pescare. Espresse poi un forte desiderio di imparare il baseball e di diventare un «lupetto» degli Scout. Quando venne a sapere che poiché era una ragazza non poteva aspirare a diventare un «lupetto» degli Scout, arrossì dalla rabbia. La Sig.ra Jackson mi scrisse che a volte Erin sospirando diceva: «Avrei desiderato essere un ragazzo. Perché mai non avrei potuto essere un ragazzo?».
[...]
Ampan Petcherat, il soggetto di un altro caso di cambiamento di sesso, quand’era una bambina rivelava dei comportamenti tipicamente maschili che poi perse del tutto durante l’adolescenza. Il differente corso dello sviluppo di questi soggetti potrebbe essere dovuto alle diverse età che avevano le loro precedenti personalità all’epoca in cui morirono. Jagdish Chandra e Ampan Petcherat ricordavano la vita di due bambini che, probabilmente, non vissero così a lungo da consolidare i tratti ed i comportamenti tipici di un Bramino e di un uomo, laddove invece ciò può essere accaduto per ciò che riguarda le precedenti personalità adulte che figurano nei casi di Jasbir Singh, Ma Tíng Aung Myo, Paulo Lorenz e Rani Saxena.
[...]
Una persona che, ad esempio, si sia incarnata per sei volte in un corpo maschile prima di rinascere in uno femminile, potrebbe avere maggiori difficoltà ad adattarsi a vivere come una donna di quanto non accadrebbe se, soltanto nella vita precedente, fosse stata un uomo.
 
11 Ne avevo già parlato, spiegando a fondo il mio punto di vista laico, nella mia opera Note umanistiche (2020): Ragionamento sopra le adozioni gay. E come avevo là affermato, se una legge dello Stato democratico desse il diritto ad avere figli alle coppie omosessuali, per me non sarebbe un problema. Le mie idee in merito costituiscono una mia visione filosofico-giuridica razionalista la quale potrebbe essere superata dai fatti. Al Parlamento la facoltà di legiferare, a tutti il diritto di esprimere lecite, sensate, argomentate riflessioni nel rispetto di posizioni alternative (art. 21 della Costituzione italiana).

lunedì 27 gennaio 2025

IL “DE PROVIDENTIA” DI SENECA E IL CRISTIANESIMO

di DANILO CARUSO

Il “De providentia” di Lucio Anneo Seneca1 (4 a.C. – 65 d.C.) è una monografia scritta l’anno precedente la morte dell’autore, rappresenta ormai un’opera del periodo di caduta in disgrazia finale del filosofo stoico presso il suo ex allievo Nerone. Sebbene sia facile immaginare che risenta degli umori personali di quel clima, d’altro canto non possiamo omettere un carattere standard per una simile redazione la quale riflette a prescindere contenuti strutturali di impronta riconducibile allo stoicismo romano. La filosofia della Stoà, più in generale, compare nella trattazione del saggio senechiano in forma inequivocabile, sicché, semmai, l’atmosfera vissuta da Seneca fu di sprone a mettere per iscritto pensieri già nella sostanza avita stoici. E quanto appena detto si rivela veritiero nel momento in cui si notano nel testo in esame le analogie con l’ottica cristiano-patristica. Non è il maestro di Nerone a mostrare simpatie verso la nuova religione. I fatti hanno voluto che due filoni di pensiero semitico (uno filosofico iniziato con Zenone di Cizio e l’altro più schiettamente religioso legato al Giudaismo) s’incontrassero in maniera fertile (ma secondo me negativa, alla luce di quello che sarà il Cristianesimo per parecchi secoli2) proprio attorno all’epoca di Seneca. La comunanza di matrice semitica delle due suddette emanazioni, mediante l’esperienza dell’Ebraismo alessandrino3, fece sì che queste venissero fuse alla volta di una nuova teologia, con l’obiettivo di costruire una religione-per-tutti (cattolica). Non dobbiamo pensare che Seneca avesse delle propensioni in tal senso. Io credo che lui sia rimasto uno stoico integro, e che spunti di questa etica siano confluiti nella Patristica con altri mattoni filosofico-teologici. I Padri della Chiesa erano grecoromani in un sistema educativo ancora classico-pagano e non cristiano-medievale. Non poco dal pensiero antico è transitato nella nuova religio4. E tra ciò possiamo rilevare l’impianto concettuale del “De providentia”, trattato stoico, ma che pare scritto con la testa di un novello teorico del Cristianesimo. Ho constatato come, al di là delle righe personali stoiche e romane, tale opera sia, per così dire, ante litteram, patristica. Ovviamente non dobbiamo vederla al modo weiliano di prefigurazioni, bensì nella guisa poco sopra chiarita. Analizzando il “De providentia” rileveremo elementi di etica stoica riversatisi nella religione di Cristo con un nuovo abito, però al di sotto del quale puntualizzata una provenienza filosofica. Nell’Ebraismo paralleli atteggiamenti in generale esistevano dietro altra forma. La radice semitica consentì di legarli alla luce di nuova teologica spiegazione, impastata di filosofia perlopiù stoica e tradizione religiosa soprattutto giudaica. Il Cristianesimo è rimasto un culto solare neoatonista5 (con radici altresì egizie dunque). Comunque, vediamo meglio i perni concettuali del “De providentia” sulla via analitica prefigurata. Il problema centrale di questo scritto senecano si mostra uno di quelli nevralgici nella teologia cristiana, vale a dire la tematica del male nel mondo, soprattutto a danno di persone incolpevoli, nel momento in cui l’universo viene considerato il prodotto di una divinità rappresentante altresì un principio di giustizia e di equità. Tale è il porsi del filosofo stoico all’inizio della sua riflessione, la quale, al pari della visione cristiana, riconosce una “providentia” divina universale. Seneca rifiuta un’origine casuale del cosmo, sostenuta d’altro canto dall’atomismo democriteo. Pertanto il tema del perché avvenimenti negativi colpiscano chi non se li merita in un’ottica di premiazioni/punizioni da parte della divinità rende l’argomento del “De providentia” di non facile, snella, lineare soluzione. Se stoici e cristiani giudicano esistente una regia provvidenziale all’interno del contesto del reale, v’era d’altro lato un versante di pensiero epicureo e aristotelico propenso a giudicare la divinità (per vari motivi) disinteressata delle sorti umane e della contingenza6. Lo sforzo di Seneca nel cercare di dare una risposta alla sua problematica stoica, ereditata poi dal Cristianesimo, si abbandona ad argomentazioni non molto razionali. Queste ritorneranno tali e quali nella nuova religio. La divinità, a dire del filosofo stoico, metterebbe-alla-prova e corroborerebbe i migliori attraverso esperienze traumatiche, dolorose, tragiche. Mi chiedo, personalmente, se simile agire non sia da considerarsi più sadico che appropriato e giusto. Resta dunque a Seneca un iter impegnativo nel suo impegno a convincere il lettore circa la bontà della “providentia”. La difficoltà di aggrapparsi a una prima risposta paradossale, emozionale e fideistica lo induce a teorizzare nella funzione di miglior approccio al male, laddove possibile, una reazione attivistica. Cioè: quanto non va bene dovrebbe essere corretto dall’agire umano mosso da quello sprone. Un tale primato dell’attivismo non sarà vivo nell’etica cattolica, lo ritroveremo nel Cristianesimo protestante (poi ben esaminato da Weber). Seneca delinea un modello analogo al tipo delle Giobbe veterotestamentario (amor fati). A questo momento passivo dell’esperienza del male rimarrà legato il Cattolicesimo. Il Protestantesimo si ricollegherà al momento attivo della visione stoico-senecana: non basta e non si deve stare a guardare nell’accettazione del corso provvidenziale, si può verificare la possibilità di una vita migliore. Il saggio stoico deve cercare il segno della sua predilezione divina «laboris appetens iusti», sopportare al pari di Giobbe le avversità estranee, inammissibili in quanto tali rispetto alla sua forma mentis, la quale lo vuole invece coraggioso, temerario di fronte alla situazione di pericolo. Compare qui il principio regolatore che produrrà la figura del martire cristiano, è il principio di una mentalità semitica: sacrificarsi, se richiesto e necessario, per la causa ideale. Da ciò Sansone, la pazienza di Giobbe e dello stoico, i suicidi politici fra i Romani tradizionalisti. Di questi ultimi Seneca elogia lo harakiri di Catone, il quale non ritroveremo per caso in un ruolo di primo piano nel purgatorio dantesco7. La vocazione al martirio accomuna lo stoicismo romano e il Cristianesimo delle origini. Seneca nel “De providentia” affronta il tema panlogistico collegato alla divinità (tutto ciò che è reale è stato predeterminato da questa) e alla di essa “providentia”, postulando che l’interesse e il benessere dell’insieme globale e generale prevalgono su segmenti parziali. Un altro modo per dire che bisogna rassegnarsi alla “volontà-divina”. Argomenti del genere hanno avuto vita lunga, e sempre per mezzo di un solco di pensiero semitico incarnatosi in diversi posti. Agostino d’Ippona col suo rifiuto del pelagianesimo che conduce sino alla predestinazione luterana e protestante, l’Ebraismo idealistico di Spinoza che porta fino a Hegel8. Oggigiorno anche la gente semplice esprime delle volte non molto entusiastiche rassegnazioni alla volontà-di-Dio. In parole povere il “De providentia” di Seneca ha attraversato i secoli e le società cristianizzate in virtù di quei suoi contenuti, i quali lo hanno reso un manifesto ideologicamente indifferenziato sulla Provvidenza divina e sull’argomento del male nel mondo, un manifesto ricalcato nelle sue linee, nelle sue idee, nei suoi spunti dai pensatori cristiani. A onor del vero debbo però sottolineare che la teologia del Cristianesimo ha estremizzato la posizione stoico-senecana. Seneca fa notare gli effetti collaterali di un regime di incontrollato benessere, laddove incosciente nei di esso eccessi. Egli pone dei richiami, condivisibili, di carattere esistenzialistico, i quali possono offrire delle analogie di forma con equivalenti trattazioni della Patristica. Qui, però, gli inviti senechiani inneggianti all’equilibrio, alla reazione attivistica in guisa intelligente, vengono stravolti da un preciso indirizzo religioso (nevrotico) il quale sposta l’azione mirando all’affermazione di un’ideologia fideistica discutibile dove la maggiore lucidità mentale (stoica) cede il passo alla nevrosi. L’antiedonismo etico di Seneca resta in bilico nel “De providentia”, pronto a cadere sul lato sbagliato (cristiano). V’è un inquietante passaggio che sarà ripreso e riproposto dai Cristiani in direzione della patologia anoressica nel contesto del disprezzo della corporeità: «Lenior ieunio mors est». L’ideale del digiuno cristiano, così come proposto da alcuni, è stato fra le cose peggiori della nuova religio (ieunium=salus9), L’obiettivo di ricercate forme di denutrizione (conducenti all’anoressia) finalizzate a mortificare il “corpo”, luogo del peccato, ha causato vittime. Si pensi, ad esempio, alle “sante anoressiche”. Lo spirito di fondo dello stoicismo senecano è diverso, e mantiene un margine di “ragionevolezza” proposto in previsione di affrontare e contrastare le avversità: «Patiamur: non est saevitia; certamen est». Il Cristianesimo cattolico ha invece messo al primo posto una sorta di masochistico compiacimento della “saevitia”, mettendo da parte il “certamen”. L’orizzonte di quest’ultimo, tipicamente semitico-veterotestamentario (pensiamo alla caparbietà di un Giacobbe) verrà riscoperto dal protestantesimo, il quale con le sue vocazioni volontaristiche e attivistiche cercherà di dare un senso meno tragico all’inderogabilità panlogistica della predestinazione alla salvezza eterna. Il “De providentia” ritorna sempre in qualsiasi forma cristiana: in una parte più e meno altrove. La discriminante sta nel grado di rassegnazione alla realtà dei fatti antistanti. Seneca eleva le esperienze negative, nel quadro del proprio stoicismo, a fase pedagogica. E non ha tutti i torti a sostenere ciò. Esistono eventi che possono insegnare qualcosa, e a tutti. Possono insegnare l’attenzione, la serietà, l’equilibrio, l’onestà, la giustizia, l’impegno alla ricerca scientifica nella cura delle malattie. I cristiani delle origini non hanno colto lo sprone verso un umanesimo sociale, bensì in direzione di pensieri religiosi chiusi, nevrotici e dannosi. Il fatto che le malattie, per esempio, venissero considerate un prodotto di una incontestabile volontà-di-Dio ha provocato la conseguenza di scoraggiare la ricerca medica, valutata, in quanto in contrasto con il decreto divino, qualcosa di demoniaco. Donne esperte di cure naturali finirono così per essere considerate streghe al servizio del Diavolo. E simile cosa costituisce nevrosi. A dispetto degli altrui deragliamenti v’è nel “De providentia” di Seneca un brevissimo passaggio, ma che si mostra come una perla nell’ostrica: «[...] cursus [...] omnium conditor et rector scripsit [...] fata». Il carico concettuale di queste pochissime parole si manifesta enorme al nostro sguardo, poiché ci indica quell’asse di pensiero semitico unente Giudaismo e stoicismo. Il “cursus” di cui il filosofo parla è il Logos, il progetto tetico del reale concretizzantesi negli avvenimenti. Egli ci dice inoltre che esso è “fondatore” e “reggitore”, ossia “causa efficiente” e “guida, signore”. Tali sono gli attributi della divinità stoica10. Simili aspetti ci lanciano da Roma ad Alessandria d’Egitto presso la più o meno contemporanea filosofia filoniana, la quale riprendendo concetti dell’Antico Testamento teorizzava le due potenze del Dio ebraico: quella produttiva (in quanto causa realizzatrice) e quella reggitrice (mantenitrice dell’esistenza). Nella prospettiva della prima potenza la divinità è Θεός (=Eloiym), nella prospettiva della seconda è Κύριός (=Yahwèh). Filone Alessandrino, ancora Giudeo, teorizza il Logos nella funzione di “cosmo noetico divino”. Tutti questi dettagli oltre a proiettarci verso la teologia trinitaria ci conducono alla volta del Vangelo non sinottico di Giovanni11, e ancor prima in direzione del parallelo senecano a proposito del piccolo segmento testuale sottolineato. Seneca e il filosofo ebreo citato sono idealmente sovrapponibili in relazione alla tangenza evidenziata in virtù della parentela mentale semitica, dato che i loro separati e distinti pensieri originavano da una antica matrice comune. Un exemplum del genere mostra un percorso di incontro non difficoltoso. Il Giudaismo alessandrino avvicinò il vecchio mondo ebraico alla filosofia greca, poi il resto all’interno dello spazio della pax romana venne da sé. Il Cristianesimo delle origini costituiva una teologia giudaica 2.0 con la pretesa di avere la prerogativa di esclusività religiosa erga omnes12. Il progetto fu sfruttato in modo fallimentare nella ricerca di cementare e rinforzare l’Impero romano, il quale proprio a causa delle infiltrazioni ideologiche e pratiche cristiane si indebolì (non ultima la decrescita demografica incentivata da una morale sessuofobica). Seneca non mostra contenuti cristiani, semmai il contrario. Ho chiarito la cosa spiegando altresì la maniera in cui la nuova religio ha rielaborato in peggio visioni precedenti del cosmo grecoromano. Faccio notare, partendo sempre dal “De providentia”, che la morte per lo stoico non è da temere. Alla stessa guisa in cui i mali addestrano il ben disposto ad accogliere il corso della vita, quella rappresenta una liberazione dell’individuo dalla prigione esistenziale. Simile concezione stoica e senechiana, verrà portata all’estremo nella visione cristiana, nella quale la possibilità del martirio costituirà l’evoluzione verso più radicale patologia del suicidio stoico, già di per sé via di orientamento malata. La seguente parte di questa mia analisi proseguirà la parabola dell’argomentazione sulla providentia senecana collegando questa a una tematica ancora di attinenza cristiana e inerente alla letteratura italiana. Si tratta della questione manzoniana relativa alla Provvidenza cattolica ne “I promessi sposi”. Ho già puntualizzato come la providentia (Logos) degli stoici si sia configurata dentro il Cattolicesimo. Voglio adesso far osservare la maniera in cui quella concezione abbia attraversato i secoli e sia giunta vicina e prossima a noi. La concezione cattolica del Manzoni nel contesto del suo notissimo romanzo evocato prevede la “messa alla prova” (tentatio) di Lucia e Renzo, i quali “provvidenzialmente alla fine riescono a coronare il loro progetto matrimoniale (previsto dal “cursus”). La problematica manzoniana recupera controversi aspetti di quella senechiana. In primis: perché bisognerebbe essere messi in difficoltà se prediletti? Chi ti vuol bene ti educa e ti consiglia in forme positive, e anche se impegnative e faticose, pur sempre non traumatiche. Mandare disgrazie non è amorevole. Questa coppia di nubendi manzoniana percorre un iter travagliato, a mio modestissimo avviso incompatibile col sincero favore divino. Esso poi per giunta al fine di consentire lo svolgimento dell’unione matrimoniale fra Renzo e Lucia si avvale di un’epidemia di peste, molto luttuosa, allo scopo di rimuovere l’ostacolo rappresentato da don Rodrigo. Un omicidio provvidenziale a beneficio di prediletti credenti cattolici, nel quadro di un più esteso disegno che miete vittime. La providentia da Seneca a Manzoni non smette di far discutere di sé, dei suoi metodi, della sua presunta obiettiva e calibrata azione. Il testo manzoniano citato mostra ulteriormente la sopravvivenza delle antiche radici stoiche della Provvidenza cristiana, e cattolica, laddove essa si sia esplicitata con le inclinazioni ripetute dal Manzoni alla rassegnazione alla volontà-di-Dio senza reagire alle avversità secondo la guisa attivistica protestante. L’insuccesso di Renzo con Azzeccagarbugli e il fallito matrimonio ex abrupto presso don Abbondio rappresentano una bocciatura nei confronti delle aspirazioni a reagire con efficacia alle traversie: fa e sfa tutto la Divina Provvidenza, secondo il Manzoni e il suo Cattolicesimo; l’essere umano deve stare ad aspettare passivamente. Lo Stoicismo di Seneca resta tuttavia più dalla parte dei protestanti.


NOTE

Questo testo sarà inserito in un prossimo saggio critico a stampa.

 

1 Al filosofo maestro di Nerone ho in passato rivolto la mia attenzione riguardo al De brevitate vitae, vedasi lo studio intitolato Il severo monito di Seneca nel mio saggio Critica letteraria (2017).

https://danilocaruso.blogspot.com/2016/12/il-severo-monito-di-seneca.html

A proposito dell’argomento qui analizzato trovo utile suggerire quale lettura preliminare un’altra mia analisi: Dall’inno stoico a Zeus di Cleante alla fondazione del Cristianesimo collocata all’interno della mia pubblicazione Prospettive rinnovate (2023).

https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dallinno-stoico-zeus-di-cleante-alla.html

 

2 Chi volesse approfondire un tale punto di vista ha a disposizione opere di altri autori che la pensano similmente. Oltre ai miei scritti, colgo l’occasione di segnalare il significativo frutto del lavoro di Karlheinz Deschner, pubblicato in più volumi nel tempo, dal titolo Storia criminale del Cristianesimo (Ariele, tomi I-X: 2000, 2001, 2002, 2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2010, 2013).


3 In merito a questo tema suggerisco di leggere dentro la mia monografia Ermeneutica religiosa weiliana (2013) il segmento intitolato La “Lettre a un religeux”.

https://www.academia.edu/6280171/Ermeneutica_religiosa_weiliana

 

4 Vedasi nel mio saggio Percorsi critici (2020) la parte recante il titolo I protopatristici Aristofane e Giovenale.

https://danilocaruso.blogspot.com/2020/08/i-protopatristici-aristofane-e-giovenale.html

 

5 Nella pubblicazione di nota 3 si vedano (riguardo al Giudaismo): Il Dio del Tanak non è solo, Radici egizie.

https://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/il-dio-del-tanak-non-e-solo.html

https://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/radici-egizie-nella-cosmogonia-ebraica.html

 

6 In vista di approfondimenti paralleli consiglio la lettura di un mio lavoro: Riflessioni sopra il “De rerum natura lucreziano”, nella mia opera Analisi letterarie e filosofiche (2023).

https://danilocaruso.blogspot.com/2023/07/riflessioni-sopra-il-de-rerum-natura.html

 

7 Dell’Uticense ho parlato nella mia monografia Parricidio dantesco (2021) a pag. 9.

https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco

 

8 Al teologo d’Ippona e al filosofo giudeo ho dedicato due lavori analitici: Nevrosi e irrazionalismo in Agostino d’Ippona e Il nevrotico e distopico idealismo di Spinoza, nelle mie monografie Teologia analitica (2020) e Distopie occidentali (2023).

https://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/nevrosi-e-irrazionalismo-in-agostino.html

https://danilocaruso.blogspot.com/2023/05/il-nevrotico-e-distopico-idealismo-di.html

 

9 A tal riguardo indico una via di approfondimento mediante un mio scritto: Misantropia del Cristianesimo nella mia opera Studi illuministi (2024).

https://danilocaruso.blogspot.com/2024/07/misantropia-del-cristianesimo.html

 

10 V. nota 3.

 

11 Circa i legami sul Cristo-Logos e la filosofia della Stoà si veda nella mia pubblicazione Partita a scacchi (2022) la sezione intitolata Gesù stoico e dionisiaco.

https://danilocaruso.blogspot.com/2022/06/gesu-stoico-e-dionisiaco.html

 

12 Inerente a tale tema un libro dell’ottimo studioso ebreo Shlomo Sand: L’invenzione del popolo ebraico (Rizzoli, 2010). Ne condivido il contenuto, e, nella fattispecie della mia presente analisi, utile ricordare la conversione di gran parte delle genti giudaiche al Cristianesimo all’origine della nuova religione, la quale iniziò a diffondersi proprio dalle aree di maggiore radice semitica: il Nord Africa (punico-egizio) e l’Asia Minore mediterranea (attorno all’asse palestinocipriota). La religio di Gesù Cristo nacque, a mio vedere, come passo avanti filosofico del vecchio Giudaismo; e niente di strano che precedenti Giudei, convertiti all’Ebraismo e loro discendenti passassero al grado cristiano (Giudaismo 2.0). La nuova religiosità sviluppò un particolare feroce sentimento di avversione e di rigetto verso la forma ebraica originaria e canonica. L’antisemitismo (o antigiudaismo, per meglio dire) che ne venne fuori è stato e rimane un gravissimo atteggiamento di discriminazione e pure di violenza, il quale non possiamo trascurare nella sua genesi e nelle sue dinamiche. Ne ho parlato nei miei scritti di indagine e riflessione, puntualizzando ogni volta una indelebile, profonda, sentita condanna di simile forma di ingiustificato odio (si veda ad esempio il mio scritto Le radici cristiane dell’antisemitismo dentro la mia opera Studi illuministi del 2024
https://danilocaruso.blogspot.com/2024/07/le-radici-cristiane-dellantisemitismo.html). Io considero già Olocausto quanto patito dai Giudei perseguitati nelle società cristianizzate nei lunghi secoli precedenti il ’900. La mia posizione di serietà scientifica e di obiettività mi porta altresì a rammentare che non possiamo gettare nel cestino quanto eminenti ed eccellenti ricercatori e scrittori ebrei hanno fatto notare in relazione alle ombre nella storia del popolo giudaico (le quali ovviamente non si riversano indistintamente sopra tutti gli Ebrei). Come a proposito del Cristianesimo pure qui viene richiesta allo studioso imparzialità storiografica, la quale non può minimamente definirsi “antigiudaismo”, ma responsabilità metodologica e analitica. Voglio ricordare al riguardo alcune opere, sempre di autori ebrei, in aggiunta a quella di Sand, mediante le quali la visione storica può apparire meno ideologizzata e idealizzata. Il libro di quest’ultimo si riaggancia a quello di Raphael Patai e Jennifer Patai Wing intitolato “The myth of the jewish race” (Scribner, 1975): non ci sarebbe stata continuità cronologica nel popolo (di culto) giudaico secondo una linea biologica salda e predominante bensì sarebbero avvenuti diversi episodi, nelle epoche, grazie alle conversioni di estranei, di inglobamento di soggetti esterni. Il popolo ebraico sin dall’Antichità costituisce allora nella sua estensione un insieme eterogeneo, un’entità cementata dalla religiosità, e non da caratteri etnici di natura biologica al suo interno radicalmente peculiari. Il delicato argomento va a toccare il sensibile tema del Sionismo, in rapporto a cui voglio rammentare i lavori di due storici e di una giornalista: Vivere con la spada – Il terrorismo sacro di Israele (Zambon, 2014) di Livia Rokach; La pulizia etnica della Palestina (Fazi, 2008) di Ilan Pappé; The iron wall – Zionist revisionism from Jabotinsky to Shamir (Zed Books, 1984), Zionism in the age of the dictators (Croom Helm Ltd, 1983), 51 documents – Zionist collaboration with the nazis (Barricade Books, 2002) di Lenni Brenner. Io giudico la “Bibbia” un testo mitologico avente alcuni tratti storici, e imperniato sopra un Dio solare neoatonista. Reputo, sulla base della pertinente archeologia antica egizia, in aggiunta ai contenuti di nota 5, che la città di Akhetaton (nei paraggi di Amarna), la cui edificazione è stata voluta da Akhenaton per dare una sede di culto alla sua enoteistica religiosità nei confronti del Sole, sia stata messa in piedi, usando mattoni di fango, proprio da quel gruppo di genti che diverrà il biblico embrione del popolo ebraico, emigrato poi verso l’Oriente. L’analogia biblica riguardo a simile modalità costruttiva cui questo fu sottoposto nella terra dei faraoni ci fa intuire una credibile rielaborazione nell’architettura statica dei fatti; ma l’architettura dinamica sembra trasparire, a mio modestissimo valutare. Il restauratore religioso Tutankhamon, come precedentemente ipotizzato da altri, dovrebbe essere il faraone persecutore dei Giudei in Egitto, i quali però, al di là delle righe veterotestamentarie, secondo me, non sarebbero nient’altro che semiti egizi fedeli di Aton (raggruppati ad Akhetaton) scappati, resi fuggitivi, e guidati dal biblico Mosè alla volta della Palestina in cerca di miglior sorte (in relazione suggerisco l’interessante lettura di un mio esame sul teocratico modello sociopolitico mosaico, una analisi presente nella mia monografia del 2020 Teologia analitica e intitolata Aristotele e il pericoloso regno di Dio
https://danilocaruso.blogspot.com/2020/05/aristotele-e-il-pericoloso-regno-di-dio_18.html). L’esigenza poggiata sulla “Bibbia”, a seguito di un diritto divino, di uno Stato della Chiesa cattolica o di uno Stato d’Israele, a mio semplice e razionalista modo di valutare, non pare raccogliere solide fondamenta. Non si può facilmente basare una simile pretesa ancorandosi a un piano mitologico. Abbiamo preso atto che alcuni ricercatori ebrei dimostrano essere la loro Nazione “popolo in senso lato” e che una parte di questo si è attivata in favore del Sionismo con modalità anche discutibili. Le ombre della storia di una frazione delle genti giudaiche riguardano pure il più lontano passato e i tempi più recenti. Pensiamo a Pasque di sangue (Il Mulino, 1a ed. 2007, 2a ed. 2008) di Ariel Toaff e a L’industria dell’Olocausto (Rizzoli, 2002) di Norman Gary Finkelstein. Apprezzo per la loro onestà intellettuale tutti questi eccellenti intellettuali ebrei che ho menzionato, una onestà intellettuale la quale ci chiede di essere precisi e completi nel nostro dire. Condanno l’antigiudaismo in maniera chiara e consapevole, come ho più volte spiegato nei miei scritti, ma non possiamo rifiutare la Storia, che è quella che è nei dati di fatto. Dobbiamo conoscere e analizzare pure le ombre, di chiunque. Con serietà scientifica e obiettività è lecito parlarne, nella guisa indicata dagli autori evocati. Quantunque non reputi razionale la base mitologica nella richiesta di esistenza di uno Stato d’Israele, tuttavia non penso di rifiutare in assoluto la possibilità di un piccolo Stato giudaico, per via del plurisecolare antisemitismo, cui mi pare giusto rispondere con un risanamento proporzionato ai fatti reali (però ovunque mai a scapito di residenti pregressi): ritengo che non necessariamente Israele dovrebbe essere sorto in Palestina, e che se comparso qui non dovrebbe configurarsi, come sottolineato non solo da ponderate personalità ebree, nella veste di Stato degli invasori. I Palestinesi hanno naturale diritto a un loro separato autonomo Stato. Questi peraltro sembrano essere i discendenti degli antichi abitanti giudei convertitisi all’Islamismo (nessuna massiva giudaica dispersione in era cristiana dalla Palestina, nella spiegazione di Sand): immaginiamo a che sorta di paradossi la Storia ci metta di fronte. Io credo che una ragionevole ed equilibrata circoscrizione dei due Stati sia oggigiorno la più saggia conclusione dell’annosa questione israelopalestinese, una questione causa di tragedie e di lutti.